Intervista della settimana : TRANSPLANTS
Le uscite della Hellcat, marchio Epitaph gestito dai Rancid, sono state finora caratterizzate da una ortodossia abbastanza rigida: punk e ska variamente assortiti è la dieta più o meno fissa. L’omonimo album d’esordio dei Transplants però sembra fatto apposta per scombinare un po’ lo stile classico dell’etichetta. Il punk resta sempre il genere di riferimento, ma in questo caso si incrocia con l’hip-hop, un connubio finora poco praticato e dagli sviluppi ancora incerti. A rendere più curiosa l’operazione c’è anche la formazione del gruppo, un trio composto da due superstar e un totale sconosciuto. I primi sono Tim Armstrong (chitarra e voce dei Rancid, nonché motore principale di tutta l’operazione) e Travis Barker (batterista dei Blink-182), ai quali si unisce il cantante e rapper Rob Aston che, prima di questa band, ha fatto conoscenza con la scena punk solamente come roadie. Un semplice capriccio di due musicisti affermati in cerca di svago dagli impegni dei loro gruppi principali? Niente affatto: i Transplants fanno sul serio, secondo quanto ci ha raccontato Aston, ancora incredulo per essere passato dal ruolo di uomo dietro le quinte a quello di protagonista.
Dato che non hai avuto esperienze musicali prima dei Transplants, per quale motivo Tim Armstrong ti ha scelto come cantante? Come ha saputo delle tue capacità?
Lo sa Dio! (risata). Non mi ha mai sentito cantare prima, quindi non poteva avere idea di quello che fossi in grado di fare. Semplicemente, eravamo amici e mi ha dato una possibilità. E sono molto contento che lo abbia fatto.
Ma come siete entrati in contatto?
Ci siamo conosciuti quando io facevo il roadie per gli AFI. Abbiamo fatto un po’ di cose con i Rancid ed è nato tutto da lì.
Il vostro album è una sorta di ibrido fra punk e hip-hop, un’alleanza piuttosto insolita. Sono due sottoculture molto forti ma non si sono mai incrociate.
Io, Tim e Travis abbiamo sempre ascoltato un sacco di generi diversi: punk, hip-hop, hardcore, metal, reggae... Di tutto, letteralmente. Abbiamo cercato di fare qualcosa che nessuno ha fatto in precedenza. Chiunque può registrare un disco punk o hip-hop, la parte divertente di questo album è stato il tentativo di inserire in un unico lavoro tutto quello che ci piace. E penso che ci siamo riusciti.
In Italia però le divisioni fra punk e hip-hop sono abbastanza marcate. Spesso chi ascolta punk non sopporta l’hip-hop e viceversa. Accade lo stesso anche nella vostra scena?
Sì, anche qui è più o meno la stessa cosa. Ognuno ha un’idea propria di cosa sia punk o no, ma onestamente non me ne frega niente. Siamo nel 2003, se qualcuno pensa che essere punk significhi avere la cresta, mettersi un giubbotto e tutto il resto, allora OK, benissimo. Se un altro pensa che il punk debba essere una questione di atteggiamento e significhi cercare di agire come meglio si crede, mi va bene ugualmente. Io faccio solo musica.
In passato i Clash sono partiti dal punk ma sono arrivati a toccare generi diversi, dal funk al reggae. Quando avete messo insieme i Transplants, avete tenuto presente l’esempio di album come “Sandinista”?
No, anche se non sei il primo a fare questa osservazione. In “Sandinista” c’erano un sacco di cose, ma non penso che ci siano molti punti di contatto con quello che facciamo noi. L’unica similitudine è che anche nel nostro disco abbiamo cercato di combinare spunti di origine diversa. Ma non siamo entrati in studio con l’intenzione di registrare un altro “Sandinista”. Anzi, all’inizio non sapevamo neanche che ci sarebbe stato un gruppo e ne sarebbe uscito un album. C’eravamo solo io e Tim a cazzeggiare in studio. Poi ci siamo concentrati più seriamente e ci siamo resi conto di avere in mano qualcosa che valeva la pena di essere pubblicato.
Sia il punk che l’hip-hop sono nati come stili underground, ma col tempo hanno permesso a diversi musicisti di arrivare alle classifiche. L’hip-hop è diventato addirittura il genere dominante sul mercato statunitense. C’è ancora spazio per musicisti più “sotterranei”?
La parola “underground” è strana. Molti la usano come una specie di copertura per giustificare il fatto che non riescono a vendere dischi. Ma underground vuole anche dire mantenere quello che si fa in una dimensione ridotta, è in questo caso va benissimo. Però direi che questo vale per qualsiasi genere, non solo per il punk e per l’hip-hop, ed è una parte importante della scena musicale. In genere, si tratta di cose più dure, fatte senza preoccuparsi per le vendite. Direi che c’è ancora un sacco di roba interessante che esce dall’underground.
Avete ricevuto apprezzamenti dalla scena hip-hop?
Finora ci hanno accolto in modo favorevole. Qui a Los Angeles la nostra musica viene trasmessa anche da alcune radio hip-hop.
Pensi che possiate riuscire a raggiungere sia il pubblico punk che quello hip-hop?
Non ne ho idea. Abbiamo ancora lo stesso atteggiamento che avevamo quando abbiamo cominciato a registrare l’album. Se piace a qualcuno, bene. Se non piace a nessuno, bene lo stesso. Non ci interessa cambiare la scena, ci divertiamo a suonare insieme. Tutto quello che arriva in più è un bonus. Certo, speriamo che ci ascoltino in molti, qualunque sia il loro genere preferito, ma non siamo certi che possa succedere.
Sono curioso di sapere cosa pensi dei Rancid e dei Blink-182…
Sono bravi a fare ciò che fanno. Vale sia per i Rancid che per i Blink. Sono gruppi diversi, ma ugualmente di valore.
Però è inevitabile notare che i Blink- 182 sono più leggeri e adolescenziali rispetto ai Rancid e ai Transplants.
Be’, i Blink sono seguiti da molti ragazzini ma credo che le loro canzoni possano essere divertenti anche per gente che ha qualche anno di più. Dal punto di vista dei testi, le canzoni dei Transplants sono diverse dalle loro perché riguardano principalmente argomenti che mi colpiscono. Si tratta di quello che capita nella mia vita, di cose che per me sono importanti.
So che hai in programma un album da solo. Di che si tratta?
Sarà un album hip-hop, ho cominciato da poco a registrare. Non posso dire ancora con sicurezza chi sarà coinvolto perché non c’è niente di definitivo, ma non vedo l’ora di completarlo. Sono sicuro che sarà un’esperienza interessante.
Ci saranno similitudini con i Transplants?
Inevitabilmente sì. Si tratta di Rob dei Transplants che registra un disco hip-hop e quindi qualche richiamo ci sarà per forza. Inoltre, ci saranno anche ospiti che hanno partecipato anche all’album dei Transplants, come Son Doobie, che canta in “Diamonds and guns”.
Negli Stati Uniti avete già fatto qualche uscita dal vivo. Come ha reagito il pubblico?
Molto bene. E’ stato un test importante perché abbiamo suonato live prima dell’uscita dell’album, quindi nessuno sapeva bene cosa aspettarsi da noi. Ogni sera la gente ci ha accolto bene. Mi sono divertito molto e non vedo l’ora di andare ancora in tour.
Il fatto che due membri dei Transplants suonino in gruppi noti vi ha aiutato o vi ha caricato di responsabilità eccessive?
Il fatto che Tim e Travis suonino in gruppi famosi non conta molto. Adesso ci stiamo costruendo un nostro seguito, non necessariamente composto di fans dei Rancid o dei Blink, quindi non ci preoccupiamo di eventuali confronti.
La tua storia personale sembra una specie di favola punk: un roadie che diventa cantante...
Già, solo tre anni fa non avrei mai immaginato che sarei finito in un gruppo. Il lavoro di roadie mi ha permesso di imparare un sacco di cose che adesso sfrutto quando devo stare sul palco. In effetti questo è il periodo migliore della mia vita, mi sto divertendo molto.
Quali sono i prossimi piani dei Transplants?
L’anno prossimo andremo in tour. Fino alla fine dell’anno Tim sarà impegnato a registrare il nuovo album dei Rancid e Travis sarà in studio con i Blink da gennaio a marzo. Poi cominceremo a girare. Faremo dei concerti con i Foo Fighters e penso che sarà molto divertente. Entro la fine dell’anno prossimo registreremo il secondo album. Vedi, anche se Travis e Tim sono occupati in altri gruppi, dedicano tutto il loro tempo restante ai Transplants. Siamo una vera band, non un progetto laterale, anche se abbiamo dei tempi più lunghi rispetto ad altri gruppi, a causa dei molti impegni di Tim e Travis.
Continui a fare il roadie?
Sì, seguirò il tour dei Rancid. E’ divertente, mi permette di andare in giro per il mondo. Forse non è un’attività particolarmente attraente, ma è pur sempre un lavoro.
(Gianni Sibilla)
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