giovedì, luglio 19, 2007

EVOLUTION FESTIVAL 2007 : IMPRESSIONI DALLA RETE


GIRANDO IN RETE HO TROVATO QUESTI DUE REPORT SULL'EVOLUTION FESTIVAL, LA SAGRA METAL ORGANIZZATA QUALCHE SETTIMANA FA NEI PRESSI DI FIRENZE...

Arrivo a Toscolano Maderno: ore 11.30. Purtroppo il traffico del circondario, rimpinguato dalle frotte di turisti accaldati e pronti ad un tuffo nel lago, non è clemente con il sottoscritto, e così salta la visione del concerto dei londinesi Panic DHH, prima band sul palco dell’Evolution Festival, nuovissima iniziativa bresciana che credo farà ancora parlare di sé.
Il paesaggio è davvero sorprendente: acqua e colline ovunque intorno… una location abbastanza inusuale – perlomeno nel nord Italia - per un evento di questo tipo. L’aria è caldissima, ma fortunatamente all’entrata la fila per i “raccomandati” come me (ovvero PRESS, CREW, ARTISTS, GUESTS, ecc) è decisamente esigua: in un paio di minuti mi viene fornito uno splendido pass e mi ritrovo pronto ad entrare, con tutti gli onori. A dire il vero, quasi tutti. Infatti l’accesso o meno al backstage è rimasta una questione fumosa sino all’ultimo momento: alcuni riuscivano ad entrare anche senza il pass della CREW o del ALL AREA (ma guarda caso soprattutto ragazze), altri aventi diritto dovevano limitarsi alla zona concerto, e quindi niente cibo gratis, né tantomeno foto con gli artisti o sbirci di retroscena. Inconvenienti che capitano. Cose che invece non sarebbero dovute succedere sono stati i problemi audio, protrattisi fino all’ultima band.
Si sa che nessuno regala mai nulla, e in tutta onestà il prezzo contenuto d’ingresso (30 euro) unito alla bellezza della location, i costi abbordabili del cibo, la line up decisamente valida, destavano qualche sospetto. Evidentemente l’organizzazione è andata al risparmio con l’ingaggio dei fonici. Ovviamente posso portare testimonianza solo del loro lavoro per quel che concerne il mixer esterno (nulla si sa della qualità del suono su palco), ma dal punto di vista del gradimento del pubblico, è un elemento comunque di estrema importanza. Osservare quattro persone che ridono e scherzano come dei cretini sotto il gazebo, senza curarsi minimamente dei ronzi e dei fischi delle casse, del volume inesistente di molti strumenti, del missaggio grossolano della pasta sonora, devo dire che può risultare molto irritante, soprattutto sotto un sole che spacca le pietre. Un mio amico fonico li ha così giustificati “eh si sa che succede così, quando non sono interessati a quel tipo di musica”. No comment.
L’entrata in scena dei DARK TRANQUILLITY, sommersi da un’anomala calura mattiniera (anche perché sarebbero dovuti essere una delle big band della serata), è strana ma decisamente piacevole. E’ bello iniziare una lunga sessione di concerti con un gruppo importante. Negli ultimi tempi i DT sono riusciti a rendere perfetta l’intesa sul palco, sfornando prestazioni esemplari e perfettamente in linea con la controparte su disco. Stanne è in grande forma, si scusa col pubblico per il cambio di ordine del bill (li aspettava un altro concerto il giorno dopo, se non erro in Finlandia) e parte in maniera dirompente. L’unica pecca che ho rilevato è stata nella scelta dei brani, decisamente noiosi e poco spinti, se escludiamo la sempreverde “Punish My Heaven” e la finale “Final Resistance”. Comunque, una prova di tutto rispetto, e un ottimo inizio di giornata, tralasciando le chitarre inesistenti di Sundin. Soporiferi invece i tedeschi THE VISION BLEAK, fautori di un gothic piuttosto personale, ma eccessivamente cadenzato, piatto e lontano dalla prova cd (sono state infatti rimosse le belle partiture orchestrali). Da rivedere probabilmente in un altro contesto e valorizzando maggiormente ciò che li aveva resi interessanti su disco.
I DARK LUNACY, l’unica band che al Gods era riuscita ad avere un suono di tutto rispetto, potente e ben equalizzato, grazie alla magia dei fonici dell’Evolution cade rovinosamente come i gruppi che li hanno preceduti, perdendo probabilmente anche più punti. Il drummer dei DL vanta una potenza incredibile, il che mette in crisi i preset di batteria che erano stati mantenuti per i The Vision Bleak. Il risultato: una batteria altissima in primo piano, e un growl flebile in secondo. Meglio non parlare delle chitarre e dei samples d’orchestra. Nonostante ciò, è parso chiaro come i Dark Lunacy siano stati in grado di tenere alta la bandiera italiana con buon gusto e dignità.
Cosa questa che non si può dire per i VISION DIVINE. Escludendo la solita spavalderia di Thorsen e le presentazioni del nuovo (bravo) cantante Michele Luppi, un simpatico buontempone, e tralasciando pure il missaggio disastroso dei fonici… le loro canzoni restano terribilmente noiose. Non una nota, non un ritornello rimane impresso, solo assoli insensati in sweep e vocalizzi ai limiti delle possibilità umane. Sarebbe gradita la formazione del primo album…
E poi, improvvisamente, la rivelazione della giornata. Gli ORPHANED LAND nel giro di poche note spazzano via la concorrenza, con melodie ineguagliate ed una prestazione tecnica davvero invidiabile, capace di cancellare ogni sospetto destato dalla perfezione su album. Qualche santo protettore si è degnato anche di settare l’audio in maniera corretta, fornendo così una esecuzione chiara e godibile per tutti. Una band che ha lasciato i fan sbigottiti fino alla fine, perfino durante la stravolta ma perfetta cover di “Nel Blu Dipinto di Blu” di Modugno. Da rivedere assolutamente.
Un po’ di interdizione per i finlandesi LORDI. La band sul palco fa la sua bella figura, con tante maschere d’effetto, i suoni curati, e il vocione potentissimo del cantante Tommi. L’unico appunto va mosso alla qualità del loro hard rock, che risulta noioso nel volgere di pochi brani, e qualche errore tecnico, soprattutto per quel che concerne i riff di chitarra. Irrinunciabile la hit finale “Would You Love a Monsterman?”, cantata a squarciagola dal pubblico.
La delusione è grande per gli ENTOMBED, band che da sempre non incontra i miei favori, e che ha solo confermato le mie impressioni con la sua esecuzione all’Evolution. La band scandinava ha sfornato una nutrita scelta di pezzi death ‘n roll (grazie a Darksomepoet per la definizione n.d.a.) incredibilmente noiosi e privi di mordente. Va detto comunque che l’esecuzione è stata pregevole e priva di cali di tensione (ma forse è perché la tensione era già molto bassa…).
Un grande concerto invece quello di SEBASTIAN BACH, frontman degli indimenticati Skid Row, coadiuvato da una line up di tutto rispetto, tra membri di Iced Earth, Testament, Halford e Death: l’istrionico cantante di Los Angeles non poteva fallire. E così è, tra hard rock potentissimo e riff suonati in maniera perfetta. Bach non è ancora vecchio, e lo dimostra correndo come un folletto sul palco, scalando, un po’ goffamente, i layer e farneticando buffe frasi in italiano ad un pubblico che dimostra di apprezzare ogni espressione di affetto di un singer ancora in grado di dire molto nel vastissimo mondo dell’hard rock/metal.
E’ la volta dei NIGHTWISH, tra ritardi spaventosi sulla tabella di marcia e gli sbadiglii di un pubblico che comincia a sentire la stanchezza (me compreso). O, almeno, del pubblico che ha assistito all’intera giornata: in effetti nel corso della serata gran parte delle persone tra le prime file è costituito da fan della band finlandese arrivati soltanto al tramonto per assistere all’esecuzione dei loro beniamini. Fortunatamente, tanta attesa è stata compensata da un suono discreto (escludendo, ancora una volta, le chitarre bassissime) e un concerto decisamente valido. Rispetto agli anni passati, Tarja ha migliorato notevolmente la sua presenza scenica, anche se in tutta sincerità è parsa stanca e con poca voce. L’aiuto le è venuto dal bassista, dotato di una voce potentissima, nonostante probabilmente avrebbe fatto anch’egli una figura migliore se non fosse stato brillo. La scaletta proposta ha dato molto spazio a brani recenti, e ha escluso completamente le hit di Oceanborn, il che a mio avviso è stata una mossa azzardata e di cattivo gusto. In qualsiasi caso, una band che si è dimostrata un degno headliner della giornata.
RENAZ
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Come promesso, eccomi pronta a raccontarvi un week end fuori dal comune. Per un motivo o per l’altro, mi era già capitato di seguire concerti da una posizione privilegiata, ma questa è stata la prima volta che ho avuto l’occasione di esplorare le quinte di un festival di queste dimensioni.


Già, perché il mio Evolution è stato vissuto di fianco ai ragazzi dei Gory Blister, la storica death metal band, come membro della crew. Siamo partiti il giorno precedente, arrivando a Firenze ormai a sera. Giusto il tempo di lasciare le valigie in albergo, che siamo andati in cerca del William’s pub, dove la band aveva appuntamento con alcuni membri del forum ufficiale del festival. La serata è stata perfetta, sia per la simpatia dei presenti, che per il bell’ambiente, l'ottimo cibo e la birra, e le foto non sono mancate, anche se non abbiamo potuto fermarci troppo – il giorno dopo c’era da lavorare…


Al mattino, colazione e ultimi preparativi, e poi via verso l’Ippodromo delle Muline. La location è facile da trovare, un po’ meno la strada riservata agli artisti, che ci permette di arrivare in macchina fino a dietro il palco. E’ ancora presto, la maggior parte della gente deve ancora arrivare, e i concerti di Flashback of Anger e King Crow non sono ancora iniziati. Un membro dell’organizzazione ci consegna i pass e i cordini, e possiamo iniziare a esplorare l’ambiente.


C’è frenesia, gli show inizieranno un po’ in ritardo – e questo sarà solo uno dei numerosi problemi di un’edizione piuttosto sfortunata. Il cambio della location rispetto a quella splendida di Toscolano Maderno dei due anni scorsi, le defezioni di alcuni gruppi ne mesi scorsi, problemi logistici (meno stand del previsto – e dire che l’anno scorso c’era un “metal market” ricchissimo, dove avevo trovato delle vere e propri chicche) e ai suoni hanno reso difficoltoso un festival che nelle sue prime due edizioni era stato uno dei migliori di sempre in Italia. In compenso, non mancano gli alberi sotto cui il pubblico può ripararsi dal sole…


Non ho visto molto delle esibizioni di Flashback of Anger e King Crow, impegnata a dare una mano con gli ultimi preparativi per lo show dei Gory Blister. Quando è ora, sul palco sale il carismatico Trevor, frontman dei Sadist, che presenta la band in modo sentito. Si sente l’entusiasmo del pubblico presente sotto il palco; il banner con il logo del gruppo sventola, parte l’intro, e inizia lo show che, ovviamente, a me interessa di più in tutta la giornata.

Nonostante la scaletta accorciata di un pezzo, per via del ritardo di cui sopra (che costringerà più o meno tutti i gruppi a tagliare l’esibizione prevista), la band ha una buona mezz’ora per dimostrare tutta la propria energia e l’affiatamento ormai consolidato. Non vi sono soste né punti morti, le canzoni uniscono come sempre tecnica e potenza, i membri del gruppo sono infaticabili. Brani come “Skymorphosis”, “Asteroid, “I shall hang myself” (mai proposta prima in sede live con la presente formazione) trascinano i fans a cantare e inneggiare il nome del gruppo, che chiude l’esibizione con la cover di “1000 eyes” dei maestri Death, degno tributo al compianto Chuck. E, alla fine, il commento generale del pubblico è uno: la band ha davvero “spaccato”. C’è da rimpiangere che troppo spesso i gruppi italiani non ottengano né le vetrine né l’attenzione e il supporto che meriterebbero... Oggi, però, c'è da essere soddisfatti.


A salire sul palco a questo punto sono i Behemoth, e, dopo di loro, i Kataklysm (che avrebbero dovuto suonare subito dopo i Gory, ma che hanno chiesto lo scambio con i Behemoth per via di problemi logistici che li hanno fatti arrivare più tardi). Non ho potuto seguire da vicino le loro esibizioni, perché sono stata impegnata a fare la spola tra il backstage e lo stand delle magliette, dove ogni tanto ho dato una mano nel corso della giornata; ma i commenti dei fans che ho colto qua e là sono stati tutti soddisfatti. Certo, per gli amanti del metal estremo si è trattato di una gran bella accoppiata… Vorrei però dire due parole sulla mia esperienza di venditrice di t-shirt: potrei scrivere un’enciclopedia sui clienti “tipo” che mi sono capitati davanti. Quello che spende qualsiasi cifra per una maglia, e quello che invece guarda per ore ma non tira fuori un euro nemmeno per le magliette un po’ più economiche; quello che non riesce a credere che non ci sia la sua taglia, e quello che non si fida se gli dici che sono tutte maglie piuttosto abbondanti; quello che rimugina sospettoso, non credendo che si tratti proprio del merchandise ufficiale, e la signora che voleva una maglia “con i teschi e i mostri” per il figlio… E poi quelli che tornano ogni ora sperando che siano arrivate finalmente le magliette dei Virgin Steele, e quelli che si fanno dire il prezzo di ogni cosa e poi continuano a chiederti quello che, come gli hai già spiegato, manca. Io mi sono beccata proprio il momento di maggiore affluenza di clienti, ed è stata una vera faticaccia!


Tocca intanto agli attesissimi Cynic, riuniti dopo vent’anni. Li vedo a tratti: simpatica l’idea di far salire sul palco un fan (scelto tramite un concorso) per cantare “Uroboric form” insieme alla band, meno quella di presentare la voce sporca solo registrata. Certo che la classe e la tecnica dei musicisti non manca… Mentre si prepara il palco per i Kamelot, si tiene il “Bluargh contest”, durante il quale alcuni ragazzi, presentati sempre dall’ormai “anchor man” Trevor, si sfidano a colpi di growl, scream e urla di vario tipo.
Brandendo il pass (eh eh…) mi sposto allora davanti al pubblico, oltre le transenne, per studiare i Kamelot. La scenografia alle loro spalle è molto bella, ma la band offre uno show a mio parere un po’ freddino. Il disco “Karma” mi piace molto, ma l’impressione che mi lascia l’esibizione è che a un certo punto la loro musica risulti un po' noiosa e poco coinvolgente. Dopo tre canzoni, come al solito, la security chiede ai fotografi di spostarsi, così cambio postazione e salgo dietro il palco (doppio eheh) per godere del concerto da una prospettiva certo insolita. E, ne frattempo, c’è anche spazio per foto e autografi nel backstage (con musicisti, devo ammetterlo, tutti simpatici e disponibili, e questo fa davvero piacere: ricordo con particolare piacere Tom Angelripper, David DeFeis, un Warrel Dane pronto a chiacchierare). Tocca a questo punto proprio ai Sodom del buon Tom, e non ce n’è per nessuno. Grande show, che vedo a pezzi davanti e dietro il palco. Esaltante “Napalm in the morning”… Sicuramente una delle band che ha brillato di più in questo festival. D’altronde, avevo già ottimi ricordi di Tom Angelripper come solista al Tradate Iron Fest di due anni fa.


Non posso parlarvi granchè dei Fates Warning, purtroppo, perché sono di nuovo in giro e vedo proprio poco del loro spettacolo. Il caldo si fa meno soffocante, però iniziamo seriamente a preoccuparci del ritardo in scaletta, che persiste nonostante i tagli alle varie esibizioni. Sono rilassata con i Virgin Steele, band che sinceramente non ascolto da parecchio tempo, ma autrice di alcuni dischi che mi piacciono molto e che a questo punto devo proprio rispolverare. L’avevo già vista dal vivo, e l’impressione è anche questa volta buona; David è un personaggio carismatico, sia sopra che fuori dal palco. Bella la scenografia con la copertina che riproduce il Perseo con la testa di Medusa di Cellini – che il giorno dopo vedremo dal vivo proprio a Firenze…


A questo punto, però, inizia la parte più dolente della giornata. Ceniamo nel backstage e aspettiamo la performance dei Nevermore (che ormai non so nemmeno più quante volte ho visto). Purtroppo, Warrel Dane, che poche ore prima era gentile e disponibile con noi, ora sta male, come è stato spiegato anche dagli organizzatori del festival nel forum ufficiale. NON era ubriaco, ma proprio debilitato fisicamente, e la sua prestazione ne risente. La scaletta viene di molto ridotta (nessun brano dal mio preferito “Dead heart in a dead world”) e per questo lo show lascia molti dei presenti insoddisfatti. Ancora una volta, è la sfortuna a farla da padrone…


Ormai che è calato il buio, sono sinceramente esausta e non ho molta voglia di guardare lo show di Sebastian Bach (sarà che gli strilli delle fans mi risultano irritanti quanto quelle delle ragazzine per le boy band). Per di più Seb si fa ben proteggere dalla security anche nel backstage (lo vediamo giusto per qualche minuto, senza che si conceda alle foto invocate dai presenti) e persino mentre percorre di fretta i pochi metri che lo portano sul palco. Meglio allora qualcosa che proprio non mi aspettavo capitasse: sapete chi comparso a questo punto nel backstage, appoggiato a un albero a chiacchierare? Piero Pelù! D’altronde, eravamo a Firenze... Almeno lui non ha fatto il prezioso ed è stato ben disponibile per una foto. Mentre osserveremo lo spettacolo dalla parte posteriore del palco, sarà un paio di metri più in là a guardare lo show come noi.

Sebastian Bach fa vorticare il microfono, riceve gli striscioni del pubblico, presenta diversi classici degli Skid Row, tenta un italiano imperfetto. Sinceramente, però, lo avevo apprezzato di più due anni fa, durante la prima edizione del festival.... Alla fine, quando ormai è quasi mezzanotte, ci spostiamo davanti: le macchine sono già caricate, ci attende l’albergo. Manca poco, Seb annuncia “Youth gone wild”… E cala il buio. Tutte le luci si sono spente, la band continua comunque a suonare, a un certo punto con una torcia; poi anche i suoni vengono staccati. Grande rabbia e stupore, ma, come abbiamo appreso poi (e come potete leggere ad esempio qui), sono state le forze dell’ordine a intervenire imponendo la fine dello show, che Seb stava portando avanti nonostante fosse già stato avvertito di essere in ritardo. Che dire, ora si discute e si reclama; certo, si poteva sperare in una fine migliore per il festival.

In conclusione, è stata una giornata entusiasmante, vissuta da una prospettiva diversa che mi ha consentito di vivere emozioni del tutto particolari. Sono soddisfattissima per l'esibizione dei Gory Blister, e felice di aver potuto esplorare le quinte di un evento che finora avevo sempre vissuto da spettatrice (rendendomi conto della quantità di lavoro che c'è dietro, e che difficilmente potrete immaginare se non vi è mai capitato di viverlo di persona). Il pass che vedete in foto è un souvenir prezioso che ora conservo sulla scrivania... In attesa del prossimo Evolution.