mercoledì, aprile 12, 2006

RECENSIONE DELLA SETTIMANA


Sono sempre contento quando uno dei gruppi che prova da MOBSOUND riesce ad avere una bella produzione. E' il caso dei Guignol (che conosco da anni e che da parecchio creano nella mia saletta) che dopo aver sudato a faticato per molto tempo sono approdati all'esordio discografico (prima un ep autoprodotto intitolato Sirene) con una buona casa discografice e un ottimo produttore : La Lilium Records e Giacarlo Onorato.
Di seguito la recensione del loro lavoro, firmata da Tommy...

TITOLO : Guignol
ARTISTA : Guignol
GENERE : Rock/Blues
PROVENIENZA : Milano (ITA)
ANNO : 2006

E’ evidente che i Guignol, al di là di ogni considerazione sulla loro musica, un pregio ce l’hanno; ovvero pubblicare il disco d’esordio solo dopo 6 anni dalla nascita. Una decisione non necessariamente dettata da scelte consapevoli, ma di fatto il quintetto ha preferito aspettare, affinando il proprio stile col tempo, prima di dare alle stampe un album a tutti gli effetti.
Per arrivare a questo risultato si sono avvalsi della produzione artistica di GianCarlo Onorato, cantautore che già da qualche lustro bazzica - seppur in maniera diversa - le atmosfere che caratterizzano gli 11 brani di questo cd. Dove i Nostri perfezionano quanto dimostrato finora e alle rivoluzioni preferiscono il solito canovaccio, che si sviluppa (come sempre) a metà strada tra Nick Cave, Tom Waits e Vinicio Capossela. Rimangono perciò invariati anche i riferimenti (se volete aggiungeteci anche il Cesare Basile solista), quasi che il blues metropolitano sia l’unica ricetta possibile.
Ma tanto basta per essere soddisfatti del lavoro, per apprezzare canzoni ben costruite i cui arrangiamenti non stravolgeranno il corso degli eventi ma appagano ampiamente.
Si prenda ad esempio “Festa di pepe”, un valzer di ottima fattura che nulla ha da invidiare alle penne degli artisti finora nominati. Oppure il noise di “Sulla tua testa”, con il testo quasi recitato (altra caratteristica dei Guignol), o ancora il classico blues della traccia d’apertura (“Il branco”), quasi fosse una dichiarazione di intenti. Bella anche la successiva “Danza dell’orso”, che nella sua progressione a tratti ricorda i Marlene Kuntz de “Il vile”.
Insomma, tutti episodi di ottima fattura, peccato solo che manchi un pizzico di varietà stilistica. Tuttavia saremmo cattivi se sottolineassimo più del dovuto quest’aspetto, perché l’opera presenta una formazione ispirata e in grado di riservarci belle soprese anche in futuro.