RECENSIONE DELLA SETTIMANA
TITOLO : Kill
AUTORI: Cannibal Corpse
ANNO : 2006
GENERE : Metal
PROVENIENZA : New York (USA)
Rieccoli, i Cannibal Corpse. Diciassette anni di carriera e ancora tanta birra in corpo, anche se i bei tempi sono ormai lontani. Devastanti come sempre, senza compromessi, brutali, ma leggermente più musicali del solito (prendete con le pinze queste mie parole). Disco onesto, suonato come al solito in maniera egregia, “Kill” è inevitabilmente lontano dalle vette di lavori epocali per gli sviluppi del metal più estremo quali “Butchered At Birth” (1991) e “Tomb Of The Mutilated” (1992); lontano da quelle muraglie sonore spaventosamente deflagranti e dannatamente contagiose nella loro frenesia iconoclasta.
I brani si susseguono in rapida successione, sferragliando con impeto maniacale, in un assedio bello e buono che “The Time To Kill Is Now” inaugura con un urlo e un ritmo-mitragliatrice che azzanna la musica come un mastino inferocito la sua preda. “Make Them Suffer” è rotta da scariche adrenaliniche di batteria e le dissonanze si confondono e si disperdono, mentre la voce di George "Corpsegrinder" Fisher duella con la musica, nella solita, esaltante carneficina. In “Murder Worship” c’è spazio, invece, per un feroce headbanging , in mezzo alle terrificanti staffilate d’acciaio della chitarra.
E’ proprio vero: la brutalità è ancora più sinistra quando la tecnica fa la sua parte senza menarsela troppo con seghette mentali (“Necrosadistic Warning”). Così, lavorata con perizia, tra allunghi e tracciati più “meditativi”, “Five Nails Through The Neck” accumula una potenza dal volto quasi “meccanico”, prima di mutare in rullo compressore con la successiva “Purification By Fire”. E’ uno sbattere rovinoso, ossessivo, contro un muro di elettrica disperazione, cui manca giusto qualche cosina per ridestare antichi splendori. Ma bisogna pur accontentarsi, perché chiedere di più sarebbe davvero inopportuno. E’ un lento declino, un rarefarsi dell’ispirazione che non possiamo certo biasimare. O, almeno, non più di tanto.
Il groove fragoroso di “Death Walking Terror”, il martellare cinico di “Barbaric Bludgeonings” o, ancora, quello più ragionato di “The Discipline Of Revenge” dimostrano, tra le altre cose, un approccio più thrashy , squisitamente mixato con sentori death provenienti direttamente dal passato più remoto. E’, insomma, un disco che mantiene ancora alto il vessillo della band di Buffalo, ricercando, forse, in quel suo essere leggermente franto e in quei continui mutamenti di dinamica un avvicinamento a certe soluzioni più moderne. Ci riesce, qualche volta, con buonissimi risultati, ma, forse, con una staticità di fondo che fa sentire, ancora, tutto il suo peso enorme. Certo, questo è un discorso che potrebbe essere applicato alla quasi totalità della loro produzione, eppure, se andate a riascoltarvi i due dischi di cui sopra, scoprirete che le cose, una volta, funzionavano davvero a meraviglia ed anche per gli stomaci più forti c'era da stare costantemente all'erta.
Francesco Nunziata -Ondarock-
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