THE ORIGINAL SOUNTRACK
Colonna sonora non d'impatto e non di immediato ascolto, La 25a Ora potrebbe sembrare simile se non addirittura "basata" su altri score già orecchiati. I brani scorrono in un continuo ripetersi di archi alle prese con una tessitura musicale lenta, sia pur capace di infondere quel senso di precarietà e di disperazione che percorre la trama del film, almeno all'apparenza. Ma Terence Blanchard, trombettista jazz di tutto rispetto e autore ben noto per le musiche di Original Sin e Mo' Better Blues, ci spinge ad un ascolto più intimo, per scoprire quanto le 15 composizioni disegnino un'atmosfera sospesa fra reale ed immaginario, fra le dure situazioni che il destino impone e i sogni, le aspirazioni, l'anelito alla libertà del protagonista, fra collettivo e personale.
E se nella visione complessiva si avverte la mancanza di un tema unitario in senso tradizionale, al contempo i brani hanno ognuno un suo baricentro da cui si propaga il messaggio, come episodi autonomi fra loro legati. A partire dall'apertura, l'Open title, una sottile, struggente inquietudine si fa strada e sembra introdurci al frenetico susseguirsi di eventi della storia, con ritmo crescente e gli interventi di flauto, ottoni e infine della voce.
Di indubbio stampo classico per il continuo utilizzo dell'esecuzione orchestrale, questa soundtrack spazia però da citazioni che riecheggiano atmosfere medievali e misteriose, come in “Fu Montage”, a sonorità più tipicamente orientali. Ne è perfetto esempio “Playground” in cui i tasti del pianoforte vengono picchiettati ad arte per produrre toni e ritmo di sapore tradizionalmente giapponese.
Non mancano momenti di autentica tensione, come nel lunghissimo “25th Hour Finale”, i cui 12 minuti sono scanditi da militareschi rulli di tamburi, da ottoni potenti e da una sgomenta, profonda voce mediorientale, in contrasto e quasi in antagonismo con l'orchestra, che canta lo sconforto di un uomo. É una voce contro il vento, l'insieme delle forze occulte che la attorniano e la sovrastano, insomma, il fato. A chi ha ormai perso tutto, anche la propria vita, a chi considera illusione il futuro, non resta che lanciare un messaggio di dolore, il grido di un uomo solo, che è però anche il grido di una società vittima delle sue stesse azioni, che alla fine guarda sconsolata il risultato prodotto: morte, solitudine, desolazione. Insomma in una parola l'immobilità, avvertita con senso di miseria in “Ground Zero”, probabilmente il pezzo più sconcertante, nella sua attualità, dell'intero CD.
Unico nostro rimpianto: che un'opera di indiscutibile eleganza e profondità sia difficilmente fruibile come musica a sé considerandone la pura valenza compositiva e stilistica e quindi poco scindibile dal contesto del film che accompagna.
(www.cineclick.it)
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