RECENSIONE DELLA SETTIMANA
TITOLO : The Black parade
ARTISTA : My Chemical Romance
ANNO : 2006
GENERE : Punk Melodico
PROVENIENZA : New York (USA)
I My Chemical Romance non hanno ormai certo bisogno di presentazioni. C'è chi li ama e c'è chi li odia. Se da una parte ai loro concerti ci sono giovani che urlano e cantano le loro canzoni, dall'altra c'è invece gente pronta a prenderli a bottigliate perché non sopporta la loro maniacale cura ed attenzione per l'aspetto esteriore, le venature pop delle loro canzoni ma, soprattutto, l'atteggiamento a volte strafottente del loro leader Gerard Way. Ma in fondo questa è la sorte che tocca a tutti quei gruppi che, se si può dire, hanno la "fortuna" di essere presi sotto l'ala protettrice di MTV. Dal canto loro i My Chemical Romance il successo se lo sono anche meritato, grazie alla loro proposta sonora che, partendo da una base emo e punk, sfocia addirittura in ambienti più gotici ed addirittura screamo, quando la band concede maggiore spazio alla sperimentazione.
Dopo il grandissimo successo di pubblico ottenuto dal precedente "Three Cheers For Sweet Revenge" i ragazzi non si sono fermati a dormire sugli allori sfornando, non appena calmatesi le acque da esso agitate, un nuovo album, "The Black Parade", un disco ambizioso ed al tempo stesso rischioso, trattandosi di un lavoro concettuale. Quando si ha a che fare con questa categoria di album è infatti semplice cadere nel ripetitivo oppure annoiare l'ascoltatore, ma tali preoccupazioni non sembrano aver toccato minimamente i cinque del New Jersey, che con "The Black Parade" riescono ad accontentare anche i palati più raffinati, dando una grande prova di tecnica e bravura, districandosi come sempre in diversi ambienti musicali, questa volta raggiungendo pure sonorità più classiche. Anche per i più scettici e diffidenti sarà infatti inevitabile notare, lungo le tredici canzoni che compongono il disco, la grande influenza che band come Queen e Guns N' Roses hanno avuto sulla formazione americana, da rilevarsi soprattutto nel suono delle chitarre ("Teenagers" e "I Don't Love You" in particolar modo), nei numerosi assoli dal sapore retrò, ma anche nell'inserimento sporadico di un pianoforte, strumento molto utilizzato dalle due leggendarie band sopraccitate.
Nonostante questi forti richiami al passato, "The Black Parade" si presenta comunque come una opera strettamente punk rock, un lavoro che riesce a differenziarsi nei confronti dei suoi predecessori per una maggiore luminosità, per una maggiore vivacità riscontrabile nelle varie canzoni, un lavoro dunque forse meno immediato dei precedenti ma comunque di alto livello e da non sottovalutare. Il lato più gotico e depresso della band infatti lo si rileva maggiormente nei testi, dove, utilizzando a parodia una parata funebre ("the black parade"), Way ha voluto dare un'immagine sicuramente negativa della società di oggi, nella quale la morte sembra dominare sulla vita, fornendo anche una visione pessimistica relativa al futuro e muovendo una critica nei confronti delle nuove generazioni di giovani ("they said all / teenagers scare / the living shit out of me", recita il testo di "Teenagers") senza lasciare nessun messaggio di speranza.
L'album si apre con l'acustica "The End", dove con sarcasmo Gerard Way narra, in prima persona, della morte del protagonista dell'album, "The Patient"; l'atmosfera si fa già più movimentata con la seguente "Dead", nel cui finale le chitarre vengono violentate dal duo Toro/Iero con un assolo energico e tagliente per sfociare poi in un coro quasi gioioso, in netta contrapposizione con gli argomenti non propriamente felici del testo. Tra i pezzi che maggiormente colpiscono sicuramente vanno annoverati il primo singolo "Welcome To The Black Parade", con la sua marcia iniziale che si tramuta in un puro e semplice punk rock, la ballata al pianoforte "Cancer", ottimamente interpretata da Way, che riesce ad esprimere al meglio l'atmosfera maliconica della canzone, e "Sleep", forse il pezzo più dark e dunque più vicino alle sonorità degli album precedenti, caratterizzata da un finale distorto ed urlato.
La produzione dell'album, a cura di Rob Cavallo (già autore del pluri-premiato "American Idiot" dei Green Day), si rivela davvero ottima e sicuramente sembra aver lasciato intrinsecamente il segno nel suono della band, considerato anche come alcuni episodi e particolari richiamino quanto fatto da Billie Joe Armstrong e compagni (il riff di "House Of Wolves" sembra quasi una versione velocizzata di "Hitchin' a Ride" con influenze più rock che ricordano addirittura i Kiss di "Detroit Rock City"). Forse è proprio questo che potrà fare storcere il naso ad alcuni fan della band, soprattutto a quelli più legati al loro lato più hardcore, che in questo album sembra andato perduto, vista l'assenza di episodi caotici e chiassosi come le passate "Hang 'Em High" o "Never Told You What I Do For a Living".
Questa terza prova della band non presenta certo l'immediatezza del suo predecessore, al suo interno di certo non si trovano canzoni di forte impatto come "Helena" o "I'm Not Okay", tuttavia è innegabile l'alta qualità che caratterizza tutti i brani, dal primo all'ultimo. Può essere dunque molto difficile apprezzare subito un lavoro complesso ed articolato come questo, come può essere anche molto difficile riconoscerne l'accuratezza e l'impegno che ne stanno dietro, perché "The Black Parade" è un disco che ha bisogno di tempo per essere assimilato e conosciuto in tutti i suoi aspetti. Di conseguenza se ad un primo ascolto può deludere, occorre concedergli ancora una seconda, una terza possibilità, ed allora le soddisfazioni cominceranno ad arrivare.
Nicolò Riccomagno
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