OBITUARY : DEATH FOREVER!
OGGI FACCIAMO UN SALTO NEL DEATH, CON UN BELL'ARTICOLO SUGLI OBITUARY TROVATO IN RETE. IL GRUPPO AMERICANO APPREZZATO IN TUTTO IL MONDO, DAGLI AMANTI DEL GENERE E NON SOLO, HA VISITATO PIU' VOLTE L'ITALIA, RISCUOTENDO SEMPRE UN GRANDE SUCCESSO...
I floridiani Obituary incarnano la quintessenza del death metal statunitense. Autentici prime mover al fianco dei Death di Chuck Schuldiner, i nostri si sono abbondantemente cibati dell’analoga estetica a base di horror B-movies, catastrofismi assortiti e perversioni ultratombali. Punto di forza degli Obituary è senza dubbio il vocalismo licantropico del mitizzato John Tardy: una fiera belva che si divincola nell’agonia di putridi riff sabbathiani, alternati comunque a repentine accelerazioni mortifere. Fa specie, in questo quadro globale funereo e senza luce alcuna, l’interesse per tematiche ecologiste che ha contrassegnato il loro quarto platter "World Demise", come già raccontato da Davide. Per gli Obituary vale quanto detto a proposito dei più disturbanti lungometraggi di Romero: ci ispirano un sentimento di ribrezzo, ma ci attirano come mosche sul miele.
Discografia consigliata:
"Cause Of Death" (Roadrunner - 1990)
Meno parossistico rispetto al platter d’esordio e più ‘ragionato’, "Cause Of Death" risulta comunque un disco di fattura rilevante per qualunque appassionato di death metal floridiano. I riff chitarristici sono sempre putrescenti e morbosi, ma la potenza dinamica della band sembra meglio distribuita. La triade iniziale, "Infected", "Body Bag" e "Chopped In Half" alterna sequenze mortifere ad accelerazioni squartanti come da manuale, ma il bello arriva col riff stoogesiano della title-track e con l’azzeccata cover di un classico dei Celtic Frost, "Circle Of Tyrants". Davvero rimarchevole infine, il contributo di James Murphy alla seconda chitarra, debitamente ispirato in fase solista.
"The End Complete" (Roadrunner - 1992)
Nettamente più sabbathiano rispetto al diretto precedessore, "The End Complete" fotografa una band molto ispirata in sede di scrittura (i riffs chitarristici risultano davvero azzeccati), nonché forte di un John Tardy davvero inarrivabile. Meritano la citazione le varie "Killing Time", "Dead Silence" e la ferale title-track, ma non si può peraltro tacere di un certo retrogusto vagamente ‘grunge’ (alla maniera dei Willard, per intenderci) che aleggia su buona parte del disco. Con tutta probabilità, uno dei loro lavori migliori.
Michele Dicuonzo
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