domenica, settembre 02, 2007

RECENSIONE DELLA SETTIMANA


PER LO SPAZIO RECENSIONI, IL RESOCONTO DI ONDAROCK SULL'ULTIMO LAVORO DEGLI ARCTIC MONKEYS

TITOLO : Favourite worst nightmare
ARTISTA : Arctic Monkeys
GENERE : Indie Rock
ANNO : 2007
PROVENIENZA : Sheffield (GB)

"Whatever People Say I Am, That’s What I Am Not" è uscito poco più di un anno fa e il suo ricordo, in negativo come in positivo, è ancora vivido nella memoria di numerosi estimatori e detrattori, così come tutti i record di vendita che ha saputo sbriciolare in Inghilterra nel giro di una settimana scarsa. Ancora oggi risulta difficile comprendere appieno come una cosa del genere possa essere capitata proprio agli Arctic Monkeys e non a uno degli altri diecimila gruppi che nel Regno Unito (ma non solo) da anni producono la stessa identica musica. Ma, in fondo, la soluzione andava cercata esattamente in questo: gli Arctic Monkeys erano e sono una band come tante altre, né migliore né peggiore, e questa è stata , in modo del tutto paradossale ma non infrequente nella storia del rock, probabilmente la loro maggiore spinta propulsiva verso il successo e la rapida affermazione commerciale. La band di Sheffield non ha mai cercato di essere nient’altro che un modesto e del tutto ordinario gruppo capace di offrire soltanto una mezz’ora di onesto e godibile rock’n’roll.

Ma qualcosa è cambiato ora. Gli Arctic Monkeys sono nel frattempo diventati un fenomeno, mediatico ancor prima che musicale forse, e anche una rodata e roboante macchina di intrattenimento discretamente redditizia, coccolata e vezzeggiata, forse suo malgrado, da un’industria discografica a corto di intuizioni. Insomma, non stiamo parlando più del gruppo che era giunto al successo grazie al libero passaparola di blog e fanzine virtuali, ma di uno piccolo spettacolo itinerante che gira il mondo e fa tappa in tutte le città per mostrare le sue meraviglie. Ma non basta: anche la grafica del logo del gruppo è cambiata, così come il suo bassista. Ad allargare lo sguardo, pure l’aria che tira a Sheffield non è più la stessa: sulla scia del successo degli Arctic Monkeys, è germogliata e fiorita infatti una sorta di "scena" cittadina, capace di assestare persino qualche colpo interessante (i più famosi sono forse in questo momento i Long Blondes e i Little Man Tate, ma andrebbero citati anche Milburn, Bromheads Jacket, Harrisons…).

Non è un caso, allora, che il pezzo d’apertura del nuovo album e, significativamente, primo singolo, si intitoli "Brianstorm", come a voler rimarcare la volontà di ricominciare tutto da capo, partendo da un nuovo inizio. Il brano si riveste di una carrozzeria rutilante di chitarre angolose e sbatacchianti, e rimane intrappolato nelle spire di un unico riff ripetuto senza requie fino alla completa saturazione. Ma sembra quasi il lamento di un motore che fatica ad accendersi, mentre la chiave gira ossessiva e la macchina non parte, forse perché ha tutte e quattro le ruote bucate. Più interessante la successiva "Teddy Pickers", con i suoi colori acidi e pungenti, e una progressione ritmica geometrica e regolare che segue il movimento ipnotico di sagome astratte e multicolori: è come se gli Arctic Monkeys apparecchiassero una sorta di party estemporaneo senza inizio né fine, un flusso di corpi e movimenti sconnessi ed elettricità, uno sregolato deragliamento di tutti i sensi o un viaggio al termine della notte, che forse si riallaccia involontariamente alla grande utopia baggy degli Stone Roses di "Fools Gold" o dei Primal Scream di "Loaded". Peccato che il tutto tenda a risolversi negli innocui giochi di luce di una festicciola glamour e sbriluccicante che non ha poi molto da offrire in termini strettamente musicali, come ben dimostrato dalla successiva "D Is For Dangerous"o da "This House Is A Circus".

La percezione è quella di una netta volontà da parte della band di arricchire gli elementi e lo spettro stilistico del proprio suono, attraverso un impiego più o meno massiccio di effetti speciali e astuti trucchi di computer grafica. Ma a questo colorito e vivace armamentario di soluzioni (peraltro in alcuni casi piacevoli) non fa da contraltare un reale progresso in termini di scrittura e complessità compositiva. Tolte tutte le componenti e le protesi artificiali, rimane infatti uno sfondo forse non completamente vuoto, ma comunque pesantemente monotono. "Only Ones Who Know" è in fondo una poco convinta riproposizione di "Riot Van" del primo album, con la sua lanugine di accordi pensierosi di chitarra e la voce come al solito distaccata e volutamente monocorde, e anche "Balaclava" o "Old Yellow Bricks"(la chitarra è asportata ancora sanguinante direttamente da "When The Sun Goes Down") sembrano refoli d’aria tepida fuggiti, grazie anche alla loro esile dimensione artistica, da qualche piccolo spiraglio o porta rimasta inavvertitamente aperta nel disco precedente.

Ma sarebbe ingiusto ignorare che questo album vive anche di episodi in cui affiora, o per lo meno si intravede, qualche timido accenno di una maturità, comunque ancora piuttosto lontana da un concreto e compiuto manifestarsi (bisognerebbe poi riflettere su quale senso possa avere una parola come "maturità" per una band che ha fatto dell’immaturità e di una irriducibile "giovinezza" il nucleo centrale della propria poetica).
In "Fluorescent Adolescent" il gruppo si avventura comunque nelle strade che conosce meglio e confeziona un bel esempio di sobrio e cadenzato brit-rock, in sospensione tra Blur e Supergrass. In "Do Me A Favour" si palesa invece un vena a suo modo più sofferta e maggiori originalità e fantasia nell’organizzare la struttura delle melodie, attraverso un disegno fitto di dettagli e un suono più malleabile e polidirezionale che il gruppo riesce a padroneggiare bene. Nello stesso solco anche "If You Were There, Beware" e "505", composizioni che dispiegano e strutturano un concetto di canzone più complesso e articolato, accarezzato ora da geometrie tenui e ordinate e subito dopo sporcato da contrasti furibondi e violente scorticature.

Insomma, il grosso della storia non è ancora stato raccontato ed è ancora tutto da scrivere e decidere.