THE ORIGINAL SOUNDTRACK
Non è stata solo l’apprezzata suite offerta da Alan Silvestri a suggello del suo acclamato concerto di Madrid ad alimentare le altissime aspettative nei confronti del commento originale de La leggenda di Beowulf. A rinvigorire la fiamma del desiderio hanno contribuito una miscela fatale di circostanze non trascurabili: la lunga gestazione, stimabile intorno ai due anni in cui peraltro il compositore, nonostante le intercorse committenze, non ha contraddetto la recente propensione per un minor affastellamento di impegni cinematografici; l’allettante occasione di ritrovare il musicista nei territori dell’epica di grande respiro, che già lo aveva visto grandeggiare in La Mummia – Il ritorno (2001) e Van Helsing (2004) entrambi di Stephen Sommers; la gemma sinfonica rilasciata nel frattempo per il fortunato Una notte al museo, confermante una vena floridissima e prodiga di buoni auspici. Su tutte, poi, la consapevolezza che lo score redatto per l’adattamento in performance-capture del più antico poema in lingua anglosassone avrebbe segnato la dodicesima collaborazione dell’eccellente partnership con Robert Zemeckis, un assunto equivalente alla garanzia del massimo rendimento cine-musicale del compositore.
Quest’anamnesi degli estremi auspicanti un esito di sicura soddisfazione, ora che l’opera ha raggiunto gli schermi e la pubblicazione dello score ha evidentemente diviso la critica e la comunità della musica applicata, resta però altrettanto valida, se riletta a posteriori, quale compendio indiziario forse troppo entusiasticamente interpretato. Ad iniziare dai tempi lunghi di produzione del commento, che più che coincidere con una maggior meditazione nella concettualizzazione della partitura hanno in questo caso ospitato una serie di sussulti produttivi risultanti in una complessità di gestione del processo di scoring, forse tra le più pronunciate nella carriera del compositore. Poi il sillogismo che lega il ritorno del musicista in ambito epico ad un nuovo stato di grazia formale non sarebbe necessariamente scaturito prendendo atto del fatto che il film di Zemeckis in renderizzazione digitale, proprio perché successivo all’entusiasta e iniziatrice prova de la Mummia sommersiana e alla definente ripresa di Van Helsing (senza contare l’embrionale proposta del côté d’avventura in costume di Siegfried & Roy: The Magic Box nel 1999), matura quando le modalità di genere del tratto silvestriano appaiono già ampiamente palesate e forse - anche alla luce dei precisi riferimenti di Zemeckis allo score sul cacciatore di vampiri ritratto da Sommers - accusanti un certo logorio di frequentazione.
Proprio la tavolozza armonico-melodica di Van Helsing, intarsiata dalle asperità sinistre de Le verità nascoste, dà la misura della partitura di Beowulf, vera e propria ibridazione delle due precedenti prove il cui principale reagente è da ricondurre ad un scrittura orchestrale aspramente sonante, abrasiva e concentrata. L’alto tasso di ottoni propellenti e di archi sferzanti, incardinati sull’impalcatura battente dell’abbondante parco percussionistico, denunciano una propensione alla vigorosa marzialità di scrittura del peplum anziché ai floridi trattamenti sinfonici del fantasy contemporaneo. La dichiarazione d’intenti è nel tema portante predisposto per Beowulf, che apre lo score in “Main Title”, subito destinato a reggere centralmente l’epos virile del testo: nove note affidate alla solennità dei corni su scorta di uno staccato corale d’intaglio morriconiano, regolate da una processione melodica tipicamente silvestriana che ne garantisce la massima duttilità narrativa. Nella successiva “First Grendel Attack” è presentato il materiale musicale di controparte al personaggio principale, steso per il mostro Grendel e affermato sostanzialmente dalla combinazione archi/coro nel ritrarne l’angosciante disperazione di abnorme reietto. “What We Need Is A Hero” introduce prepotentemente il personaggio principale nella storia e il main theme a lui associato, che in “I’m Here To Kill Your Monster” guadagna una reiterazione di strutturazione sistematica con entrata a canone per corno francese e trombone particolarmente valida nell’affrescare il tono araldico dell’ambientazione. I due brani, all’ascolto svincolato dalle immagini, contribuiscono ad un crescendo sbrigliato in ultimo nelle prime pagine rappresentative del corpus action preparato dal compositore per il film, quelle di “I Did Not Win The Race”, coincidenti con uno dei rari flashback della filmografia zemeckisiana e certificante, sin dall’apertura rózsiana con l’accentuata figura marciante per pianoforte/cori/ottoni, quell’immanente piglio da “sword and sandal” caratterizzante l’intera composizione. Prima di risolvere il brano su una sognate pagina per arpa e coro il compositore anticipa rapidamente il fulcro motivico del materiale d’azione, un procedimento non dissimile da quello improntato per il sequel de La Mummia. Come concretizzava infatti in “Evy Kidnapped” il tema spiccatamente avventuroso della saga egizia, Silvestri sdogana qui le sette note della frase preposta a corroborante eroico del protagonista in “Second Grendel Attack” (estratto che tra l’altro sembra autorizzare l’unica speculazione in riferimento ad una possibile influenza del lavoro di Howard Shore per Il Signore degli Anelli sulla partitura, vista la fugace assonanza di alcune battute con il tratto shoriano).
Con il coro a bocca chiusa di “I Am Beowulf” (la traccia più aderente alla premiere spagnola) si apre idealmente la seconda parte dell’album rappresentativo dello score, contrassegnata dal passaggio di consegne della spavalda fanfara per il protagonista ad una composizione maggiormente meditativa ed elegiaca. Il cambio di tono del film e del commento sono evidenziati dall’infittirsi di un temperamento crepuscolare nella scrittura, cui contribuisce enormemente l’introduzione dell’ambigua cellula motivica ideata per la madre di Grendel. Fortemente debitorio del Jerry Goldsmith di Basic Instict ma altrettanto benefico nei confronti del personaggio destinatario, il motivo per arpa monopolizza “The Seduction”, quasi una seconda versione dell’altrettanto sensuale e instabile “Forbidden Fruit” da Le verità nascoste. Ad interrompere brutalmente la concentrazione drammatica di “King Beowulf”, “Full Of Fine Promises” e della particolarmente intensa “He Has A Story To Tell” (con uno dei migliori saggi d’orchestrazione mirata offerti dalla selezione discografica) è “Beowulf Slays The Beast”, estratto dal climax adrenalinico del lungometraggio e dichiaratamente segmento esemplare delle difficoltà affrontate dal compositore nel confrontarsi con l’impetuoso progetto sonoro dell’opera. Indicativo, a tal proposito, come dopo una rocambolesca vetrina del motivo eroico Silvestri a 1’50” inneschi un pattern elettronico punteggiato dalla deflagrante gestione ritmica delle percussioni, senza però trovare coerenza formale e dotare di compiutezza autonoma un brano oltremodo variato nel blocco conclusivo (non presente su disco).
Con l’espiazione e la morte di Beowulf (“He Was The Best Of Us”) lo spartito volge al termine sostando fatalmente sull’ambiguità del tema della madre di Grendel e apponendo così una chiusura incerta e sospesa, inedita tanto al cinema di Zemeckis quanto alle strutture silvestriane. E anche per questo di notevole effetto.
L’interpretazione ballad di Idina Menzel del secondario tema elegiaco associato a Beowulf (“A Hero Comes Home – End Credit Version”) cala infine il sipario, lasciando spazio all’attestazione di un risultato di robustissima professionalità, frequentemente fregiato di interventi al di sopra della media, ma anche lontano dalle citate, pregresse vette epiche raggiunte dal musicista newyorchese. L’estrema stringatezza del trattamento sinfonico, così come l’insistenza ad oltranza di alcuni episodi ritmici, sembrano testimoniare le problematiche di una musicazione in continua compensazione con un’eccedenza del visivo (il performance-capture unito al 3D) e in competizione con l’esuberante extra-campo sonoro. Le formalità che lo scenario storico di riferimento aveva forse pronosticato si riducono agli interventi monodici di Robin Wright Penn (“Gently As She Goes”, “A Hero Comes Home”) di collocazione diegetica in temperamento di musica cortese (alla stregua delle musiche di corte, rimaste inedite) e alla breve digressione di stampo modale che intarsia le ultime battute di “I Am Beowulf”. Di nuovo dunque Silvestri ha scelto la strada del bisogno filmico, senza cedere alle velleità di genere che magari avrebbero messo in ridondanza il già delicato sistema sonoro del testo. Come in Contact – dove alle sirene del vocabolario fantascientifico di grande impatto il compositore aveva risposto aderendo con discrezione all’iter intimo dei personaggi – la musica in Beowulf stenta a vivere lontano dalle immagini. E per quanto sia forse destinata a rimanere fuori dall’élite delle migliori prove del connubio Silvestri-Zemeckis, l’apporto al fotografico rimane votato a quella coscienza di equilibrio scrupoloso che continua a determinare la forza del duo.
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