giovedì, dicembre 17, 2009

RECENSIONE DELLA SETTIMANA


TITOLO : A sangue freddo
ARTISTA : Il teatro degli orrori
GENERE : Alternative Rock
ANNO : 2009
PROVENIENZA : Venezia - Milano (ITA)
ETICHETTA : La Tempesta

"Un lampo ha finalmente squarciato le tenebre nelle quali ristagna da tempo immemorabile la musica italiana”: è quello che ho pensato ascoltando A Sangue Freddo, secondo full lenght della band Il Teatro Degli Orrori.
Il nome del gruppo, nato nel 2005 come progetto parallelo ai One Dimensional Man e Super Elastic Bubble Plastic, è stato ispirato dal commediografo, attore teatrale, regista e scrittore francese Antonin Artaud e, più specificatamente, dal cosiddetto teatro delle crudeltà:

Ecco l'angoscia umana in cui lo spettatore dovrà trovarsi uscendo dal nostro teatro. Egli sarà scosso e sconvolto dal dinamismo interno dello spettacolo che si svolgerà sotto i suoi occhi. E tale dinamismo sarà in diretta relazione con le angosce e le preoccupazioni di tutta la sua vita. Tale è la fatalità che noi evochiamo, e lo spettacolo sarà questa stessa fatalità. L'illusione che cerchiamo di suscitare non si fonderà sulla maggiore o minore verosimiglianza dell'azione, ma sulla forza comunicativa e la realtà di questa azione. Ogni spettacolo diventerà in questo modo una sorta di avvenimento. Bisogna che lo spettatore abbia la sensazione che davanti a lui si rappresenta una scena della sua stessa esistenza, una scena veramente capitale. Chiediamo insomma al nostro pubblico un'adesione intima e profonda. La discrezione non fa per noi. Ad ogni allestimento di spettacolo è per noi in gioco una partita grave. Se non saremo decisi a portare fino alle ultime conseguenze i nostri principi, penseremo che non varrà la pena di giocare la partita. Lo spettatore che viene da noi saprà di venire a sottoporsi ad una vera e propria operazione, dove non solo è in gioco il suo spirito, ma i suoi sensi e la sua carne. Se non fossimo persuasi di colpirlo il più gravemente possibile, ci riterremmo impari al nostro compito più assoluto.
Egli deve essere ben convinto che siamo capaci di farlo gridare.
”Il teatro e il suo doppio” (Antonin Artaud)

La filosofia de Il Teatro Degli Orrori è tutta racchiusa in queste parole e traspare nettamente nelle liriche dei brani che affrontano tematiche sociali, politiche ed argomenti più intimi quali la solitudine, l’amore, il dolore e l’odio.
Il vocalism molto particolare, a tratti anarchico, di Paolo Capovilla varia da momenti di rabbia ad altri più pacati e riflessivi ricorrendo spesso ad una velata ironia. A volte il suo cantato è quasi parlato, una sorta di confessione di cui è testimone l’ascoltatore.
Il genere proposto da questa interessante formazione si può inquadrare in un'alternative rock fortemente intriso di sonorità acide, dense ed aggressive alternate ad altre più rarefatte ed oniriche.
Rispetto al precedente Dell'impero delle tenebre, uscito nel 2007, si rilevano delle sensibili differenze riguardanti il sound che appare nel nuovo album meno grezzo e più immediato virando quindi, seppure in maniera impercettibile, verso la semplicità.

L’inquietante ed eterea opener Io Ti Aspetto inizia con un lungo sibilo elettronico, poi gli archi del duo Angelo Maria Santisi/Nicola Manzan ed il piano di Paola Segnana disegnano una triste armonia che turba l’ascoltatore pienamente conscio dell’ansia imperante che assale l’uomo abbandonato dalla propria donna.
La successiva trascinante Due rompe gli indugi grazie al micidiale riffing in stile grunge scaturito dalla chitarra di Gionata Mirai; il testo parla stavolta di una lei lasciata dal partner con un finale quasi implorante:

Gesù, Giuseppe e Maria abbiate pietà dell'anima mia, non si vive ogni giorno, non si può morire sempre

Ma è la granitica e trascinante title track a costituire l'apice del platter. La song è dedicata al poeta attivista nigeriano Ken Saro Wiwa ucciso per le sue idee nel 1995:

Non ti ricordi di Ken Saro Wiwa?
il poeta nigeriano
un eroe dei nostri tempi
non ti ricordi di Ken Saro Wiwa?
perché troppo ha amato
l’hanno ammazzato davanti a tutti
bugiardi dentro
fuori assassini
vigliacchi in divisa
generazioni intere
ingannate per sempre
a sangue freddo

Sapiente miscela di hard rock e melodia, Mai Dire Mai mette maggiormente in evidenza le doti di Capovilla che si lascia andare ad una sorta di monologo (anche simpatico quando ad un certo punto dice: Ma chi se ne fotte!); interessante la parte finale acustica.
Con Direzioni Diverse, in collaborazione con i partenopei Bloody Beetroots, ci si avvicina alla ballata dove dominano la chitarra, gli archi, l’elettronica e tanta malinconia:

Sarebbe stato bello invecchiare insieme

Si passa dai ritmi serrati de Il terzo mondo alla sottile derisione di Alt! (che cosa può accaderti se vieni fermato da una pattuglia per un controllo?); da evidenziare il richiamo alla notissima Il ragazzo della via Gluck di Adriano Celentano.

In Majakovskij emerge in pieno l’amore per la poesia ed il teatro trattandosi di una rilettura di All’ amato me stesso di Carmelo Bene.
Lievemente inferiori nel complesso E’ Colpa Mia e La Vita è Breve mentre Padre Nostro ha un ritmo in crescendo su cui rabbiosamente il singer recita la nota preghiera ed altre amare considerazioni.
Torna l’inquietudine negli oltre dieci minuiti finali di Die Zeit (ossessivo il ripetere in continuazione tu non mi ami più… ed io nemmeno) che idealmente si ricongiunge con la song iniziale; mi ha ricordato certe atmosfere dei Tool.
Importante ricordare la collaborazione di Giulio Favero (nonchè bassista della band), uno dei migliori produttori italiani, a cui si deve la realizzazione di un suond cristallino e piacevole.

A Sangue Freddo è un lavoro mai banale, irriverente, scanzonato, intellettuale, attraente….insomma: il miglior album di rock italiano serio da molto tempo a questa parte.

Scusate se è poco.