venerdì, maggio 18, 2007

RECENSIONE DELLA SETTIMANA

RIPORTO QUI UNA BELLISSIMA RECENSIONE DELL'ULTIMO LAVORO DEI TYPE O NEGATIVE, PUBBLICATA DA ONDA ROCK.

TITOLO : Dead Again
ARTISTA : Type o negative
GENERE : Metal
ANNO : 2007
PROVENIENZA : Brooklyn (USA)

Leggo commenti contrastanti su "Dead Again", nuovo parto di Peter Steele & co, disco di una maturità stiracchiata, lontana dai fasti del passato, dalle vette di "Slow, Deep & Hard" o di "Bloody Kisses", e più vicina ad un artigianato di classe, non scevro da vizi di forma, lungaggini, ridondanze. Come se quel sound che abbiamo imparato ad amare si fosse ormai incancrenito, lasciando venire a galla una rigidità malcelata, un bisogno di andare avanti per il solo gusto di non gettare la spugna. A conti fatti, siamo di fronte a un disco non brutto, ma incapace di rapirci pienamente, invero un po' noiosetto, causa un sovraccarico contenutistico e formale innegabile, oltre che (auto-)evidente fin dai primissimi approcci. Quasi che la formula, insomma, fosse ormai sul punto di collassare, liberando alla rinfusa un pò tutte le influenze che da tre lustri circa seguono lo svolgersi di un doom-progressivo dai marcati accenti gotici e dalle sensuali movenze/tentazioni "pop" (sembrerà strano, ma c'entrano qualcosa pure i Beatles...).

Gli angoli via via smussati dopo gli esordi al cardiopalma (con le ultime prove di "World Coming Down" e "Life Is Killing Me" a simboleggiare l'ascesa al suo culmine) tornano adesso a farsi sentire, a cozzare gli uni contro gli altri, in una retrospettiva "terminale" che, mentre fa i conti con la gloriosa carriera, tende la mano a tastare il polso degli apocalittici scenari urban-core dei Carnivore, vero e proprio inizio di tutto. Attaccarsi alle radici, quando la strada è ormai incerta, è sintomo che la sicurezza è il bene più prezioso. Prendere o lasciare, dunque: questo è un disco che i fan certamente ascolteranno con piacere, ma che difficilmente condurrà nuovi proseliti alla corte dell'orco Steele. O tutto il contrario di tutto, chi può dirlo?

Resta il fatto che il sottoscritto, da fan di vecchia data, non si è fatto abbindolare più di tanto, tanto che, a dirla tutta, gli ascolti continuano a risultare pesanti ed ostici, con la noia sempre pronta a far valere la sua durissima legge. Tuttavia, che ci volete fare?, un'intro come quella della title track è un piccolissimo tuffo al cuore. Penso alle atmosfere malsane e torbide di "Slow, Deep And Hard", a quel pestilenziale profumo metropolitano. C'è di più, poi, che la cavalcata ha pure uno di quei tiri epici che ti schiodano dalla sedia, ed allora va bene, va bene così... Un marchio di fabbrica, miei cari. Stanco, appesantito, "senile", ma pur sempre un marchio di fabbrica. Basterebbe questo a fargli meritare almeno un paio di attentissimi ascolti.

Anche "Tripping a Blind Man" è lì, solca quel mare apparentemente placido, costeggiando lidi pomposi, ma ancora col giusto contegno, anche quando i cambi di tempo sembrano (...sono...) un tantino forzati. Ma "Dead Again" è un disco-culmine, lo stereotipo (ahimè...) definitivo dello scibile musicale Steele-iano. Prendete "The Profits Of Doom": dentro c'è praticamente di tutto, come un piccolo bignami a uso e consumo degli sbadati, degli stolti che si sono persi (ahiloro!) le puntate precedenti. Sfilano i Carnivore, troneggiano echi "lenti, profondi e duri", ci si scambia "baci di sangue", risplendono "ruggini d'Ottobre", e via di questo passo. Passionale, la verve di "September Sun", tutt'altro che malaccia, ma maledettamente stiracchiata, maledetto Steele. E, poi, quell'aprirsi operistico, quel solo stridulo, quell'andare alla deriva, la meta ormai persa, ammesso ne fossero alla ricerca.

Sono brani, per dirla in parole povere, che accentuano il valore della "digressione" e che, di rimando, giocano con un citazionismo fin troppo scoperto ("Halloween in Heaven", con cameo vocale di Tara VanFlower dei Lycia; "These Three Things", che non disdegna, comunque, qualche passaggio davvero riuscito e coinvolgente). Strutture "erratiche", come da sempre ci hanno abituati. Resta il fatto che, arrivati a questo punto, siamo stanchi, e preferirremmo ricevere qualche scossa più intensa, qualche cazzotto giusto in mezzo agli occhi. "She Burned Me Down", "Some Stupid Tomorrow", "An Ode to Locksmiths" vanno avanti per la loro strada, accanto il fantasma eterno dei Black Sabbath, fino ad "Hail and Farewell to Britain", la cui coda viene risucchiata dal rumore di aerei e di bombardamenti. Un finale degno per un personaggio controverso ma, a suo modo, "adorabile" come Peter Steele. Peccato solo non faccia più dischi di spessore.

FRANCESCO