mercoledì, novembre 25, 2009

ROLLING STONE (magazine) OPINION...


LA CELEBERRIMA RIVISTA DI MUSICA/ ARTE/ SPETTACOLO/ ATTUALITA', LA CUI VERSIONE ITALIANA DI RECENTE HA INCORONATO BERLUSCONI ROCK STAR DELL'ANNO (non saranno pochi quelli che non capiranno l'ironia e la provocazione di tale scelta) DA' IL GIUDIZIO SU ALCUNI DISCHI E FILM IN GIRO IN QUESTO PERIODO.
BUONA LETTURA...


Editors (In This Light and on This Evening) : Se dipendete dalle atmosfere crepuscolar-vampiriche, sarà fatale che cadiate in ginocchio per questi pezzi, anche se più di metà vi torna familiare. E se il cuore palpita lieto già dall’iniziale, trionfalmente cupa title track, perché dare retta a un critico snob che insiste che tanti brani sono prevedibili? Che offrono il fianco allo scherno tanto dei brizzolati fans di Joy Division e Depeche Mode (per tacere del synth alla Bronski Beat di The Boxer) quanto dei più giovani fans di Interpol e persino White Lies?
Solo in Eat Raw Meat, ottavo di nove brani, si tenta qualcosa di inedito(rs).
Ma meglio nuovi languori con un'eco passata, che vecchi languori che ci escono dalle orecchie.

Il Teatro Degli Orrori(A sangue freddo): "Ma porca miseria! Tutte a me devono capitare! Converrete voi, disgrazie e paure, in che paese vivrò? Il terzo mondo!".
Pierpaolo Capovilla ridacchia con il suo ghigno amaro nell'esplosione sonora di Il terzo mondo, terzo brano del nuovo album concepito con i suoi Il Teatro Degli Orrori. Niente di nuovo, si potrebbe pensare, ma A sangue freddo svela un lato inedito di questa superband che con l'opera prima aveva dimostrato potenza culturale e sonora assai rara.
Capovilla debutta con un urlo diverso da quello che apriva Dell'impero delle tenebre: lì c'era il terrore di perdersi, qui la convinzione di esserci e di non volersi assolutamente accontentare. Come in un girone infernale, Pierpaolo declama i suoi giudizi universali miscelando poesia e fragor.
Il Teatro Degli Orrori sono diventati una band unica e magnifica da cui ci facciamo volentieri incantare e menare.

L'uomo che fissa le capre (di Grant Heslov con George Clooney, Ewan McGregor, Kevin Spacey): Capre di guerra. Non stiamo parlando dell'amministrazione Bush – non solo di quello, almeno – della sua (in)capacità politica, strategica, militare. Piuttosto citiamo un libro geniale, scioccante e divertentissimo di Jon Ronson (Arcana), da cui l'esordiente Heslov ha tratto un film come questo (esordiente si fa per dire: ha già lavorato a eccellenti sceneggiature come Good Night, and Good Luck, e vanta una discreta carriera da caratterista). Due opere (il libro più del film), con una carica di eversiva spensieratezza non comune.
L'impianto della storia gira attorno all'ossessione dei regimi per l'esoterismo e il paranormale, s'impernia su disadattati con superpoteri improbabili e spesso indimostrabili (come la capacità di spostare le nuvole o far venire un infarto alle famose capre) che hanno fatto parte del più affascinante esperimento delle forze militari Usa, l'Esercito della nuova Terra (esistito veramente: era il primo battaglione Terra, costituito negli anni '70 in gran segreto). Il tutto, guarda un po', nasceva dal solito Vietnam e finiva nei primi anni '80, ma in un nuovo e tragicamente grottesco teatro di guerra, lo ritroviamo nei suoi "generali": George Clooney, Jeff Bridges e Kevin Spacey; ancora legati al passato, a quei giorni in cui indossavano la divisa, si drogavano, predicevano il futuro e ballavano nelle caserme al ritmo dei Beach Boys.
Siamo di fronte a due film: del primo è protagonista Ewan McGregor, giornalista di provincia con compagna bellissima e vita noiosa ma serena, che parte per l'Iraq quando lei lo lascia per il capo, in cerca di ricatto e riscatto morale. Un inetto adorabile, tra i ruoli preferiti dallo scozzese, che vuole fare l'eroe ma riesce al massimo a bere da solo in un 5 stelle kuwaitiano. Finché non si ritrova davanti il buon Clooney, incazzoso e asociale, che lo inizierà ai segreti militari più bizzarri del secolo scorso, quelli ispirati da «Gesù Cristo, Walt Disney, Mao Tse Tung, per vincere le guerre con pace e amore». Qui c'è tutto il racconto di quell'idealismo fricchettone, di un'esperienza co(s)mica e lisergica, di un Heslov abile regista che alterna sketch, belle riprese e capacità di seguire gli attori, di un mondo inaspettato e irresistibile, quello del "progetto Jedi" (Guerre stellari è il riferimento, narrativo e visivo, costante). La seconda parte mostra la liberazione dal passato (e delle capre) con finale dopato e l'(auto)ironia sull'America rammollita di Obama. E poco altro.
Come molta comicità surreal-demenziale a stelle e strisce, il film si innamora di se stesso, s'aggancia al suo umorismo raffinato e un po' folle perdendo di vista il suo nucleo, il potente sottotesto politico. Ma non perdetevelo: riderete, vi godrete quattro grandi attori gigioneggiare con gran classe e vi verrà voglia di leggere un capolavoro. Per scoprire cose che non vorremmo ricordare. Già, perché come sottolineato all'inizio del film, siamo in: "Carolina del Nord, 1983. E questa storia è più vera di quanto possiate immaginare".

Robbie Williams(Reality Killed the Video Star): La verità è che il primo singolo, Bodies, non è il pezzo forte del nuovo disco di Robbie Williams. Il suo incedere su un basso synth ultra-pimpato e il refrain fra Tears for Fears e inno da stadio paiono tanto prevedibili da passare inosservati. Meglio, direte voi: significa che il resto dell'album è più incisivo. Vero a metà. E per un paio di motivi:
1) Robbie Williams era fra i pochi assi del pop – come lui forse solo Madonna e Kylie – a sfornare "singoli spiazzanti". Quelli capaci, cioè, di ribadire a un tempo stile e caratura (anche mediatica) di chi li interpreta, innovandone le sonorità.
2) Sbagliare un singolo di questi tempi è fallo che si paga. Perché, e qui ha ragione Robbie, la realtà ha ucciso le star del video. Star come lui, a dirla tutta.
Insomma, che la musica non generi più immaginario sarà triste, ma è palese da 10 anni: per rendervene conto pensate all'influenza dylaniana, o a una qualsiasi dichiarazione di Lennon, e confrontatele con l'impatto sociale che oggi produrrebbe un'uscita… del cantante dei Tokyo Hotel. Ecco, che la musica conti poco è evidente. Che l'unica risposta alla crisi – la hit planetaria – sia per paradosso una delle sue cause, è invece questione spinosa. È un enigma che solo pochi illuminati, e Robbie con loro, avevano risolto ricorrendo a canzoni immediate quanto complesse dal punto di vista produttivo.
Forse complice una stasi artistica prolungata, stavolta Robbie ci ha pensato troppo. E, inglese in terra americana, ha diviso il disco in due anime. Da una parte sfogando la propria disinvoltura british con pezzi esplosivi, fatti di elettro-ritmiche anni '80, tastiere à la Pet Shop Boys, melodie che manco Patsy Kensit in calore e ritornelli beatlesiani capaci di attaccarsi alle sinapsi. Dall'altra, il fu Take That ha diluito l'istinto killer fra suggestioni non proprie e tipiche di certo pop-soul Usa (e getta). Ecco allora atmosfere ripetitive con archi debordanti, zuccherosi piano/voce e temi da musical natalizio su cui nemme-no Billy Joel indugerebbe troppo.
Il futuro dipenderà dal marketing. Una deformazione cui anche Robbie ha contribuito. Poco male, lo ritroveremo in qualche X-Factor. Ché la realtà del video può pure resuscitarle, le star.

500 Giorni insieme(di Mark Webb con Joseph Gordon-Lewitt, Zooey Deschanel, Geoffrey Arend):Tom e Summer lavorano insieme, ma si conoscono in ascensore. A Tom vengono gli occhi a cuore quando lei confessa di condividere l'amore per gli Smiths, che lui si spara in cuffia. Segue un andirivieni nel tempo del titolo (scandito da pezzi musicali), vivisezione noiosa e masochistica di una storia che parte all'insegna di "nessuno si senta impegnato" e si trasforma in una mazzata a senso unico. Per lui.
L'esordio del videoclipparo Webb ha ottimi production values ma nessun aiuto dagli sceneggiatori per rianimare un plot stravisto e masturbatorio. Meglio comprare il soundtrack (Wilco, Carla Bruni, Regina Spektor, Feist…) e immaginarsi un altro film.

Nirvana Bleach (Deluxe Edition): La storia racconta che alla fine degli anni '80 il rock non graffiava più (anzi molte star dell'epoca tenevano moltissimo alla loro manicure), in America l'hip hop sembrava rappresentare la nuova rabbia della strada finché, a chi cominciava a chiedersi: "Il rock è morto?" la più semplice delle risposte, ossia Nevermind, arrivava da Seattle (la città del grande Jimi) ed era firmata Nirvana. Era il 1991 e con questo album il mondo riscopriva il piacere di una musica che lacerava dentro, dal suono distorto e dai testi diretti: il rock tornava a essere sporco, incontenibile nell'apparenza e nella sostanza e Kurt Cobain era il nuovo idolo maledetto, disperato e bellissimo.
Ma se Nevermind ha rappresentato l'alba di una nuova era, non si può ignorare che l'avventura dei Nirvana è iniziata il 15 giugno del 1989 con Bleach: un disco incredibilmente puro e semplice, nella sua sincera violenza e nella ingenua immaturità. Registrato in tre sessioni fra dicembre 1988 e gennaio 1989 ai Reciprocal Recording Studios di Seattle e prodotto da Jack Endino (che aveva lavorato con loro fin dai primi demo l'anno precedente), come tutte le opere diventate col tempo cult, è ricco di aneddoti. Fra questi, forse il più divertente riguarda il chitarrista Jason Everman che figura nei crediti, nonostante lo stesso Cobain abbia dichiarato in seguito che Jason non aveva suonato una nota in tutto il disco e l'invito a far parte della band fosse stato fatto solo per raggiungere i 600 dollari necessari a pagare le registrazioni.
Anche se alla sua uscita Bleach ha venduto solo quasi 40mila copie (oggi ha superato i 2 milioni), è stato il seme da cui la leggenda Nirvana ha potuto crescere. È un lavoro autoprodotto e di conseguenza il budget non permetteva i ritocchi e i ripensamenti tipici di una grande produzione: il risultato è quindi diretto e immediato, sia nei suoi momenti più illuminati che in quelli più confusi. Questa ripubblicazione rimasterizzata non modifica essenzialmente il suono originale, non l'ha trasformato in un bel compitino ordinato, ma saggiamente ne ha mantenuto lo spirito grezzo che aveva la band all'epoca.
In questa edizione deluxe è stato aggiunto il concerto inedito che i Nirvana hanno tenuto il 9 febbraio 1990 al Pine Street Theatre di Portland, con Chad Channing alla batteria: dentro, oltre a molti brani dell'album, c'è anche una versione di Molly's Lips dei Vaselines (già precedentemente ripresa dai Devo). Se Bleach non brillava di perfezione, soprattutto questo concerto evidenzia i loro limiti tecnici, ma al tempo stesso porta in primo piano la potenza della loro musica, così cruda e viscerale e lo rende un documento imperdibile.