martedì, novembre 22, 2005

DISCHI CHE HANNO FATTO LA STORIA

Inizia oggi una nuova rubrica, dedicata ai dischi che hanno segnato la storia della musica. Raffaele Patti ci porta alla scoperta di uno dei dischi più importanti della scena metal di sempre: MASTER OF PUPPETS dei METALLICA

L'intro è di quelli che non ti aspetti: una chitarra dolce e decisa che ne sostiene altre due saggiamente armonizzate. Sembra di essere direttamente catapultati in un classico western firmato Sergio Leone, ma si sa, spesso le apparenze ingannano; stiamo per entrare nel capitolo più importante della saga heavy-metal, dove a farla da padrone è il thrash con i suoi più grandi interpreti (e ideatori al di là di false leggende e bugie metropolitane): i Metallica. L'avventura ha il nome di "Master Of Puppets" (mastro burattinaio), album biblico per i thrasher di tutto il mondo e prova tangibile di come nella musica, così come nel comun vivere, possano coesistere e trovare libera espressione fusioni di elementi apparentemente poco conciliabili: rabbia selvaggia e ingenua melodia danno vita a leggendari riff, che rendono le chitarre pazienti schizofrenici nelle mani di esperti psicologi. E' il capolavoro indiscusso dei Metallica, è il capolavoro indiscusso del thrash.
I Metallica si presentano al loro terzo appuntamento in forma smagliante, forti anche di un'etichetta come l'Elektra in grado di innalzare e ampliare il target, e con quella che i fan considerano la loro formazione storica e anche la meglio riuscita: Hetfield voce e chitarra, Ulrich batteria, Hammett chitarra solista, e infine Burton, mitico bassista elettrico degli anni Ottanta, tragicamente scomparso in un incidente stradale (durante una tournée svedese), pochi mesi dopo il concepimento del disco. La sua scomparsa sarà per il gruppo e per i fan una perdita incolmabile.
Siamo nel pieno svolgimento degli anni Ottanta, la musica si dipana in maniera confusa e abbraccia generi diversi e sfaccettature che molto spesso non collimano tra loro; sono questi gli anni del synth-pop, del ritorno di fiamma di generi quali l'hard-rock o la psichedelia, mentre gruppi come i Metallica o i Megadeth esplorano frontiere più estreme, cercando nell'heavy-metal una forma di espressione che sappia, attraverso parole e suoni, denunciare in maniera attiva e aggressiva le falle del sistema socio-politico; celebre la frase e canzone del disco precedente "Ride The Lighting": "Fight fire with fire" ("combatti il fuoco con il fuoco").

Dopo l'introduzione già citata in partenza, il brano di lancio del disco, "Battery", sembra riportare alla memoria dei puristi il riff d'apertura del precedente lavoro: il passaggio di chitarra è violento e scarno, e a esso ben presto si sovrappone la veemenza incontrollata del batterista Lars Ulrich, il quale riversa potenti rullate che, come macigni, aggrediscono l'ascoltatore... "only the brave!". Ben presto fa il suo primo ingresso la voce di Hetfield e, nonostante il riff sia fatto di semplici slide su un accordo di base in mi, la sua voce riesce a intonare una convincente strofa per un ritornello che in crescendo comunica movimento e forza. L'esercizio di chitarra che apre la seconda parte della canzone è l'essenza dei Metallica: poche note intrise di vigore e melodia, giusti antipasti per il "primo" assolo di Hammett, che dimostra gli evidenti miglioramenti di due anni di lezioni impartitegli, come leggenda narra, dal mitico Joe Satriani.

Si sta giusto per tirare il fiato quando, d'improvviso, squarci di chitarra irrompono di nuovo senza apparente tregua: si impadroniscono della scena quelle che molti considerano le frasi migliori mai pronunciate dal thrash; è il momento della title track, della summa del movimento partito pochi anni prima dalla Bay Area di San Francisco: è il momento di "Master Of Puppets". Gli accordi penetrano e si insinuano nella mente come tormentoni, il riff incalza in maniera petulante, la voce non lascia scampo: "Ma ster! Ma ster!". L'irruenza lascia come da copione spazio alla dolcezza: arpeggio in perfetto stile Metallica, mentre Hetfield è superbo nel cucire un assolo mai banale e ricco di pathos. La breve pausa di riflessione termina con lo stesso arpeggio suonato in palm-muting con una distorsione carica, dura che fa sprofondare la melodia in rabbia ancor più rude; c'è ancora tempo per un nuovo guitar solo di Hammett, un ritorno al tema portante del brano e una risata sarcastica del nostro burattinaio.

La terza traccia dell'album "The Thing That Should Not Be", apre il primo di due esercizi sperimentali (l'altro passaggio è quello di "Leper Messiah"), nei quali il gruppo cerca di esprimere durezza e vigore non attraverso la velocità del suono, ma attraverso la ricerca di fusion rumoristiche che sappiano comunicare il lato "pesante" della musica.
La schizofrenia sonora rientra prepotentemente d'attualità nella ballata di turno "Welcome Home (Senatarium)": un brano sospeso tra "Fade To Black" dell'album precedente, dal quale assorbe la morbidezza dell'esecuzione , e "One" del lavoro successivo, del quale anticipa la veemenza devastante della sequenza conclusiva; pur non essendo la miglior ballata dei Metallica, può a ragione essere considerata la più completa ( forse la "ballata perfetta" del thrash).

A questo punto l'album sta per volgere al termine, mancherebbero però un brano strumentale e una degna conclusione: eccoci accontentati. Lo strumentale in questione è "Orion", colosso del prog-metal (sperimentato dal gruppo in verità già due anni prima con "The Kall Of The Ktulu"), dove tecnica ed estetica sonora riescono, pur esprimendosi in dosi massicce, a essere parti dello stesso insieme, trovando sinergie considerate prima quasi irraggiungibili; l'ultimo grido dell'album appartiene invece a "Damage Inc.", brano dal sapore speed-metal che rievoca le origini dei quattro, riaccendendo gli entusiasmi dei nostalgici di "Kill 'Em All", filtrando però la ricetta con una consapevolezza nuova e matura, degna di un gruppo prossimo alla leggenda.
L'ultimo giro di critiche spetta alla traccia cinque dell'opera: "Disposable Heroes": un saggio di ritmica come pochi altri se ne ricordano.

Il 1986 può, a ragione, essere considerato la "cima Coppi" del thrash, grazie soprattutto a questo disco, in grado, come pochi, di regalare emozioni forti. Gemme chitarristiche , potenti rullate e armonici giri di basso sono magistralmente manipolati dai quattro cavalieri che, come guerrieri romantici, si muovono in cruenti campi di battaglia, senza mai perdere di vista la saggezza armonica dello spirito.