martedì, dicembre 13, 2005

NIQUE LA POLICE l'hip hop d'oltralpe


Da quasi vent’anni la Francia è ormai universalmente considerata come la seconda scena hip hop più florida e interessante. Le caratteristiche di multirazzialità e multiculturalità, le sterminate periferie e le tensioni sociali hanno fatto sì che i giovani francesi, sin dalla metà degli anni ottanta, assimilassero il rap più di quanto non sia accaduto in qualsiasi altro paese d’Europa e del mondo, ad eccezione ovviamente degli Stati Uniti. Lo stile viene personalizzato e adattato in base al contesto: le metriche e le basi classiche dell’hip hop sono spesso soggette a influenze etniche, arabe, ma talvolta anche tribali africane, ad indicare le origini della maggior parte degli artisti. Capita che dj e produttori attingano anche da vecchi successi di musica leggera francese: celeberrimo l’estratto di una canzone di Edith Piaf, “Non, Je Ne Regrette Rien”, usato dal dj Cut Killer per un pezzo prodotto per la colonna sonora del film “L’Odio”, un “must” per qualsiasi appassionato di hip hop e sottoculture d’oltralpe. Non mancano alcune derivazioni verso reggae, dancehall e raggamuffin, come nel caso di Raggasonic, Neg’Marrons e Saian Supa Crew, che spesso cantano su “riddims” giamaicani, ovvero riutilizzano ritmi di canzoni di noti artisti reggae riadattandoli per le loro liriche in francese. Così come negli Stati Uniti, anche in Francia si diffonde un’altra piacevole derivazione dell’hip hop: la musica r’n’b, di cui Saya è la massima esponente. Infine, è possibile riscontrare qualche derivazione commerciale, come gli Alliance Ethnik, autori di un rap “festaiolo” e decisamente orientato sul funky, oppure come MC Solaar, che deve il suo successo a rime impegnate politicamente ma non violente né estremiste: una sorta di Frankie HI NRG all’ombra della Tour Eiffel.
Per quanto riguarda i contenuti, si può dire che oltre alle solite tematiche da ghetto, ovvero sparatorie, donne e vita da “gangsta”, rispetto al rap americano sia presente una maggiore “consciousness”, pertanto non mancano testi di denuncia sociale. Ciò non significa che il rap francese sia politicizzato, anzi, la ribellione viene dalla strada e non da ideologie, perciò i rapper francesi, anche quelli più impegnati in cause sociali e nell’antirazzismo, sono ben lontani dai proclami politici delle italiche “posse”. Un tema ricorrente è la forte ostilità nei confronti della polizia, vista come una forza d’occupazione nelle “banlieues” (le periferie delle grandi città francesi), capace solamente di trattare tutti i giovani come fossero criminali, e soprattutto considerata l’unica forma di presenza dello stato bianco e borghese, che dimentica i quartieri dormitorio quando si parla di assistenza, istruzione e lavoro, ma se ne ricorda perfettamente quando rappresentano un problema per l’ordine pubblico. Un altro nemico “numero uno” è Jean-Marie Le Pen, rappresentante del Front National, partito politico di estrema destra che riesce a raccogliere numerosi voti, alimentando le paure della Francia bianca grazie a una campagna di criminalizzazione degli immigrati e dei loro figli. Nelle metropoli, specialmente a Parigi e nel sud del paese, sono all’ordine del giorno pestaggi e scontri tra giovani immigrati e skinheads e militanti del Front National. È in questa cornice che si sviluppano i forti contrasti, etnici ma soprattutto territoriali e generazionali, che nei primi anni novanta hanno dato luogo al fenomeno dei “casseurs”, ovvero dei giovani che, dalle periferie parigine, scendevano a devastare e saccheggiare i negozi e le proprietà del centro. Nella maggior parte dei casi, si può dire che tale fenomeno vada di pari passo con l’hip hop: i “casseurs” sono spesso gli stessi ragazzi che, tipicamente abbigliati con appariscenti tute Lacoste o Sergio Tacchini e scarpe Nike, danno luogo a improvvisate jam nelle piazze dei quartieri periferici, con sound system improvvisati e giovani MC che sputano veleno contro istituzioni, sbirri e politici. Sono proprio gli anni novanta il periodo di boom dell’hip hop: nascono migliaia di collettivi e band in tutta la Francia, anche se a fare la parte del leone sono le città più grandi e cariche di tensioni: Parigi e Marsiglia. La scuola parigina è considerata quella più “hardcore”, con testi più duri e vicini al “gangsta rap”. Tra i principali esponenti del rap parigino sono da ricordare i capostipiti Assassin e NTM (Nique Ta Mere, ovvero “Fotti tua madre”), e quindi Ministere Amer, Sniper, Rohff, Disiz la Peste e Busta Flex. I marsigliesi vengono invece considerati più inclini all’impegno sociale: gruppi come IAM e Fonky Family, pur restando fedeli all’ottica anti-sistema, prediligono usare armi come l’ironia e la cultura invece degli assalti verbali tipici dei loro colleghi della capitale. Assalti verbali che, talvolta, costeranno agli artisti denunce e arresti, come nel caso degli NTM, condannati a sei mesi di prigione nel 1996 per un’invettiva contro la polizia (nel brano “Police”) o più recentemente degli Sniper, denunciati per antisemitismo e incitamento alla violenza nel 2003, dopo la pubblicazione della canzone “La France”, contenuta nell’album “Du Rire aux Larmes”. Attualmente, il rap francese è tornato alla ribalta in seguito ai disordini di Parigi del novembre 2005. Guarda caso, le zone dell’hinterland di Parigi in cui è nata e si è diffusa la sommossa sono le stesse che hanno visto nascere e svilupparsi il rap francese: Saint-Denis, Sarcelles, Aubervilliers, Clichy-sous-Bois. Diversi politici hanno accusato i musicisti di fomentare l’odio verso polizia e istituzioni, mentre alcuni giornalisti e sociologi hanno cercato di scavare più a fondo nel fenomeno, provando a intervistare alcuni rapper e ad analizzare le vere cause della rivolta. Ne è venuto fuori quello che gli esperti del settore affermavano da tempo: le periferie erano una bomba ad orologeria già da anni, la breve comparsa dei “casseurs” era solamente un’avvisaglia di ciò che poteva accadere da un momento all’altro e che accadrà ancora, se governo e istituzioni continueranno a incrementare la repressione nelle banlieues, senza affrontare mai i problemi che sono alla base della sommossa: disoccupazione, conflitti razziali, abbandono scolastico, brutalità poliziesca e differenze sociali. Kool Shen, storico leader degli NTM, afferma infatti: “Allora, incendiare delle macchine e delle scuole può essere la soluzione? Certamente no, anche se sembra essere rimasta la sola cosa da fare. Guarda caso dopo gli scontri il governo ha deciso di sbloccare i fondi per creare ventimila nuovi posti di lavoro…”. Del suo avviso sono la maggior parte degli esponenti dell’hip hop parigino: nessuno con le sue canzoni ha incitato i giovani a compiere devastazioni, ma tutti all’unisono vedono quanto è successo come l’effetto boomerang inevitabile di una politica di esclusione che va avanti da decenni, sin dalle prime ondate immigratorie provenienti dalle colonie.
Per chi fosse interessato ai recenti avvenimenti nei sobborghi parigini, con un occhio particolare alla cultura hip hop, consiglio il libro “Banlieue”, di Guido Caldiron, recentemente edito da Manifesto libri.
Andre