venerdì, dicembre 18, 2009
giovedì, dicembre 17, 2009
RECENSIONE DELLA SETTIMANA
TITOLO : A sangue freddo
ARTISTA : Il teatro degli orrori
GENERE : Alternative Rock
ANNO : 2009
PROVENIENZA : Venezia - Milano (ITA)
ETICHETTA : La Tempesta
"Un lampo ha finalmente squarciato le tenebre nelle quali ristagna da tempo immemorabile la musica italiana”: è quello che ho pensato ascoltando A Sangue Freddo, secondo full lenght della band Il Teatro Degli Orrori.
Il nome del gruppo, nato nel 2005 come progetto parallelo ai One Dimensional Man e Super Elastic Bubble Plastic, è stato ispirato dal commediografo, attore teatrale, regista e scrittore francese Antonin Artaud e, più specificatamente, dal cosiddetto teatro delle crudeltà:
Ecco l'angoscia umana in cui lo spettatore dovrà trovarsi uscendo dal nostro teatro. Egli sarà scosso e sconvolto dal dinamismo interno dello spettacolo che si svolgerà sotto i suoi occhi. E tale dinamismo sarà in diretta relazione con le angosce e le preoccupazioni di tutta la sua vita. Tale è la fatalità che noi evochiamo, e lo spettacolo sarà questa stessa fatalità. L'illusione che cerchiamo di suscitare non si fonderà sulla maggiore o minore verosimiglianza dell'azione, ma sulla forza comunicativa e la realtà di questa azione. Ogni spettacolo diventerà in questo modo una sorta di avvenimento. Bisogna che lo spettatore abbia la sensazione che davanti a lui si rappresenta una scena della sua stessa esistenza, una scena veramente capitale. Chiediamo insomma al nostro pubblico un'adesione intima e profonda. La discrezione non fa per noi. Ad ogni allestimento di spettacolo è per noi in gioco una partita grave. Se non saremo decisi a portare fino alle ultime conseguenze i nostri principi, penseremo che non varrà la pena di giocare la partita. Lo spettatore che viene da noi saprà di venire a sottoporsi ad una vera e propria operazione, dove non solo è in gioco il suo spirito, ma i suoi sensi e la sua carne. Se non fossimo persuasi di colpirlo il più gravemente possibile, ci riterremmo impari al nostro compito più assoluto.
Egli deve essere ben convinto che siamo capaci di farlo gridare.
”Il teatro e il suo doppio” (Antonin Artaud)
La filosofia de Il Teatro Degli Orrori è tutta racchiusa in queste parole e traspare nettamente nelle liriche dei brani che affrontano tematiche sociali, politiche ed argomenti più intimi quali la solitudine, l’amore, il dolore e l’odio.
Il vocalism molto particolare, a tratti anarchico, di Paolo Capovilla varia da momenti di rabbia ad altri più pacati e riflessivi ricorrendo spesso ad una velata ironia. A volte il suo cantato è quasi parlato, una sorta di confessione di cui è testimone l’ascoltatore.
Il genere proposto da questa interessante formazione si può inquadrare in un'alternative rock fortemente intriso di sonorità acide, dense ed aggressive alternate ad altre più rarefatte ed oniriche.
Rispetto al precedente Dell'impero delle tenebre, uscito nel 2007, si rilevano delle sensibili differenze riguardanti il sound che appare nel nuovo album meno grezzo e più immediato virando quindi, seppure in maniera impercettibile, verso la semplicità.
L’inquietante ed eterea opener Io Ti Aspetto inizia con un lungo sibilo elettronico, poi gli archi del duo Angelo Maria Santisi/Nicola Manzan ed il piano di Paola Segnana disegnano una triste armonia che turba l’ascoltatore pienamente conscio dell’ansia imperante che assale l’uomo abbandonato dalla propria donna.
La successiva trascinante Due rompe gli indugi grazie al micidiale riffing in stile grunge scaturito dalla chitarra di Gionata Mirai; il testo parla stavolta di una lei lasciata dal partner con un finale quasi implorante:
Gesù, Giuseppe e Maria abbiate pietà dell'anima mia, non si vive ogni giorno, non si può morire sempre
Ma è la granitica e trascinante title track a costituire l'apice del platter. La song è dedicata al poeta attivista nigeriano Ken Saro Wiwa ucciso per le sue idee nel 1995:
Non ti ricordi di Ken Saro Wiwa?
il poeta nigeriano
un eroe dei nostri tempi
non ti ricordi di Ken Saro Wiwa?
perché troppo ha amato
l’hanno ammazzato davanti a tutti
bugiardi dentro
fuori assassini
vigliacchi in divisa
generazioni intere
ingannate per sempre
a sangue freddo
Sapiente miscela di hard rock e melodia, Mai Dire Mai mette maggiormente in evidenza le doti di Capovilla che si lascia andare ad una sorta di monologo (anche simpatico quando ad un certo punto dice: Ma chi se ne fotte!); interessante la parte finale acustica.
Con Direzioni Diverse, in collaborazione con i partenopei Bloody Beetroots, ci si avvicina alla ballata dove dominano la chitarra, gli archi, l’elettronica e tanta malinconia:
Sarebbe stato bello invecchiare insieme
Si passa dai ritmi serrati de Il terzo mondo alla sottile derisione di Alt! (che cosa può accaderti se vieni fermato da una pattuglia per un controllo?); da evidenziare il richiamo alla notissima Il ragazzo della via Gluck di Adriano Celentano.
In Majakovskij emerge in pieno l’amore per la poesia ed il teatro trattandosi di una rilettura di All’ amato me stesso di Carmelo Bene.
Lievemente inferiori nel complesso E’ Colpa Mia e La Vita è Breve mentre Padre Nostro ha un ritmo in crescendo su cui rabbiosamente il singer recita la nota preghiera ed altre amare considerazioni.
Torna l’inquietudine negli oltre dieci minuiti finali di Die Zeit (ossessivo il ripetere in continuazione tu non mi ami più… ed io nemmeno) che idealmente si ricongiunge con la song iniziale; mi ha ricordato certe atmosfere dei Tool.
Importante ricordare la collaborazione di Giulio Favero (nonchè bassista della band), uno dei migliori produttori italiani, a cui si deve la realizzazione di un suond cristallino e piacevole.
A Sangue Freddo è un lavoro mai banale, irriverente, scanzonato, intellettuale, attraente….insomma: il miglior album di rock italiano serio da molto tempo a questa parte.
Scusate se è poco.
mercoledì, dicembre 16, 2009
LONDON CALLING : 30° ANNIVERSARIO...
Era il 14 dicembre del 1979, lo stesso anno della morte di Sid Vicious dei Sex Pistols e due giorni prima che l'Unione Sovietica invadesse l'Afghanistan. In Italia spopolavano Umberto Tozzi con "Gloria", Lucio Dalla e Francesco De Gregori con "Banana Republic" ma anche i Pink Floyd di "The Wall", quando gli abitanti del Regno Unito trovarono nei negozi di dischi un album (un doppio venduto al prezzo di uno), con in copertina il bassista Paul Simonon intento a distruggere il suo strumento (foto scattata durante un live a New York al Palladium) e con la grafica che riprendeva lo stile del primo album di Elvis Presley.
In quel momento, di fatto, cambiò la storia del rock. Era uscito "London Calling" (inserito da Rolling Stone America all'ottavo posto tra i migliori dischi di tutti i tempi). E' vero che i Clash quando pubblicarono questo album, il terzo della loro discografia (dopo "The Clash" del 1977 e "Give'em Enough Rope" del 1978) godevano già di un gran seguito in U.K. ma con questo lavoro riuscirono a fare il definitivo salto di qualità.
"London Calling" è senza ombra di dubbio il disco più complesso mai registrato dai Clash, dove al punk rock si affiancano e si mischiamo lo ska, il reggae, rockabilly, il soul unito a testi sempre più politici ("Revolution Rock" su tutti) e critici sulla società benpensante inglese di fine anni Settanta. Sicuramente quello che ha definito al meglio il suono della band, prodotto da Guy Stevens, e che ha permesso di far uscire i Clash fuori dai confini nazionali esplodendo come fenomeno anche negli U.S.A fino a quel momento parecchio tiepidi nei confronti di Joe Strummer, Mick Jones, Paul Simonon e Topper Headon.
Ora, trent'anni dopo, "London Calling" è stato ripubblicato in edizione cd+dvd con booklet da 20 pagine. Il cd ripropone in versione digitalizzata l'album originale mentre il dvd "The Last Testament: The Making Of London Calling" vanta interviste alla band e video rari registrati durante le session in studio nei Wessex Studios. Un occasione imperdibile per riascoltare uno dei capitoli più importanti della storia del rock.
martedì, dicembre 15, 2009
NOTIZIA BOMBA!
LA NOTIZIA GIRAVA NELL'ARIA DA TEMPO, MA QUASI TUTTI PENSAVANO FOSSE SOLO UNA LEGGENDA E INVECE E' TUTTO VERO : METALLICA + SLAYER + MEGADETH + ANTHRAX SULLO STESSO PALCO...
QUI DI SEGUITO LA NOTIZIA UFFICIALE DA METALLIZED.IT :
Non ci credeva nessuno: se ne è parlato per settimane (leggi la prima e l'ultima news a proposito): il tour che vedrà Metallica, Slayer, Megadeth e Anthrax si terrà in occasione delle tre date europee del Sonisphere -programmate a Varsavia, in Polonia e Praga rispettivamente il 16, il 19 ed il 20 giugno 2010.
La notizia bomba è stata battuta solo pochi minuti fa sul sito ufficiale dei Metallica; seguono le parole di Lars Ulrich a proposito dello storico evento:
Chi avrebbe mai pensato che a distanza di più di 25 anni dalla sua nascita, i big 4 del thrash metal sarebbero non solo stati ancora in giro e più famosi che mai, ma addirittura avrebbero suonato insieme per la prima volta... che c'è! Dateci dentro!
Who would have thought that more than 25 years after its inception, thrash metal's big 4 would not only still be around and more popular than ever, but will now play together for the first time...what a mindfuck! Bring it on!
venerdì, dicembre 11, 2009
giovedì, dicembre 10, 2009
CHI L'HA VISTO?
Inizia oggi su DIFFERENTMUSIC una nuova rubrica gestita dalla nostra amiche Lisetta. Ci occuperemo di quei gruppi spariti nel nulla e dei quali non si è saputo più nulla... comprese notizie dello scioglimento o del proseguimento di carriera. Iniziamo coi PROZAC +, gruppo che per un certo periodo è parso in grado di costruire qualcosa di concreto nella scena punk melodica, ma che poi è imploso in sè stesso. Ora ci sono i SICK TAMBURO (progetto parallelo).
Si sono formati sul duro fronte del palco. E, dopo tanta gavetta, sono riusciti a sfondare, grazie a due album di successo come "Acidoacida" e "3 Prozac +". La loro è una musica che si esalta soprattutto nei concerti. I Prozac +, infatti, sono una band nata per suonare dal vivo. Lo dimostrano anche l'esperienza di supporter degli U2 nelle due date del "Pop Mart Tour '97" e la massacrante sequenza di oltre duecento concerti in due anni. Sono esibizioni piene di vigore, in cui Eva (voca), Gian Maria (chitarra) ed Elisabetta (basso) sanno martellare l'uditorio con i loro brani iper-veloci, duri e melodici insieme: un punk aggiornato in chiave pop e condito d'ironia.
Durante i loro concerti, i fan più scalmanati rinnovano rituali punk: sputano e tentano a ripetizione di invadere il palco, "pogano" e urlano qualche amichevole volgarità all'indirizzo della band. Ma Eva, l'esile cantante dalle variopinte parrucche, non perde il tempo neanche per un attimo: salta, balla e canta con invidiabile energia. Tutto rievoca apertamente l'era punk, con tanto di sirene dell'auto della polizia nello stile dei Clash di "Police on my back".
Nel 1997 l'album Acidoacida li ha proiettati nelle top ten italiane, in forza di un riuscito cocktail di punk e pop, con testi che descrivevano, in modo forse superficiale ma senz'altro efficace, il disagio giovanile. Un disco facile, ma non banale, trainato dalla deliziosa "Acida", in bilico tra ritmi martellanti e melodia. Il loro primo exploit era stato però "Pastiglie", un pezzo ironico sulla vita da "impasticcati", che era valso loro una certa notorietà nella scena underground italiana.
I loro testi hanno provocato malumori e qualche polemica sulla loro presunta "tossico-filia" (Prozac è la marca di un noto antidepressivo). In effetti, più di un sospetto di ruffiano "scandalismo" suscita un testo come quello di "Betty tossica": "Ha 15 anni ma ne mostra 30/ vive nei parchi assieme ai gatti/ tutti si innamorano di Betty tossica/ un'eroinomane, la più bella che c'è". Ma la band si è sempre difesa sostenendo che i loro testi "non fanno altro che mostrare un approccio laico e non moralista al disagio giovanile".
L'altra accusa, invece, è quella di convertire il punk a facili melodie. "In fondo - replica Gian Maria Accusani, chitarrista e autore dei testi - anche i pezzi del punk californiano a cui ci ispiriamo erano delle canzoni con melodie anni '60, ma suonate più dure". Non si può dare torto, in effetti, a questi discepoli dei Ramones, perché i loro brani riescono a graffiare anche solo con un paio di accordi azzeccati e un refrain accattivante.
Quella dei tre punk venuti da Pordenone, insomma, è una formula ibrida, che accontenta i nostalgici dei Sex Pistols strizzando l'occhio alle classifiche. Al punto che Acidoacida è riuscito a vendere oltre 160mila copie.
Ma il rischio che Accusani diceva di temere più di ogni altra cosa - "la ripetitività" - è emerso puntuale con 3 Prozac +, il loro secondo album, che sbatte in copertina rifiuti e desolazione. Un disco che si compiace nel presentare tutto ciò che è squallido (le immagini del cd mostrano nel dettaglio: merce avariata, gomme abbandonate, discariche abusive), ma che non riesce ad essere immediato e comunicativo come Acidoacida. Molti brani girano a vuoto e sembra di riascoltare pezzi precedenti, ritoccati con un arrangiamento diverso. Prosegue l'approfondimento del disagio, con pezzi come "Stonata" ("Mi sento bene/ solo se mi faccio male."), "Ordine e disordine" ("Mi uso e abuso di me/ mi spingo sempre oltre il limite/ Ma il limite non so più dov'è, il limite non esiste"). E i rimandi a una vita fuori dalle regole continuano, come in "Pds" (che non sta per Partito democratico della sinistra, ma per "persa-diversa-sconvolta"), in cui Eva canta: "Sono così come sono, così mi piaccio/ Sono così diversa, diversa fuori e dentro/ Sono così, non cambio, nata così per scherzo".
Troppo per non suscitare il sospetto che la band di Pordenone sia vittima di qualche prematuro segno di manierismo e di stanchezza. Intanto, "3 Prozac+" è stato anche tradotto in inglese per il mercato internazionale.
Il successivo album Miodio segna una nuova tappa nel progresso della band, con piccole evoluzioni nell'organizzazione delle melodie e degli arrangiamenti, ma sempre nel solco della collaudata formula di un pop-punk frizzante e un po' straniato. I testi confermano una ironia di fondo (a cominciare dal titolo, da leggere indifferentemente come "Mi odio" o "Mio Dio"), ma anche la consueta analisi del malessere esistenziale giovanile. I brani sono ancora una volta gradevoli, anche se un po' ripetitivi, intonati con approccio cantilenante dall'inconfondibile Eva e - in quattro casi su tredici, compreso il singolo "La storia di Piera" - dal più aspro Gian Maria Accusani. In generale, si ha l'impressione di un disco che tenta con fatica di intraprendere la strada di una maturazione indispensabile per il futuro della band.
mercoledì, dicembre 09, 2009
DISCHI CHE HANNO FATTO LA STORIA...
SETTIMANA CORTA DOPO IL PONTE DI SANT'AMBROGIO. INIZIAMO SUBITO CON UNO DEGLI ALBUMPIU' IMPORTANTI DELLA DISCOGRAFIA MONDIALE, CONSACRANDO GLI U2 A GENI INDISCUSSI DELLA MUSICA POP ROCK DI TUTTO IL PIANETA... ACHTUNG BABY
Gli anni novanta si aprono con tre caplavori : R.E.M. Out of time, Nevermind dei Nirvana e Achtung baby, il giro di boa degli U2.
Non solo infatti il 1991 ma tutto l'ultimo decennio del secolo è ben rappresentato in Achtung baby, e rapprensenta per gli U2 un periodo di cambiamento epocale della loro musica. Come un onda impetuosa la maturità travolge il gruppo di Dublino che crea un opera immagnifica nella sequenza impeccabile di dodici brani che riascoltati decine di volte non stancano mai, ma anzi, non finiscono mai di affascinare per la seguenza di suoni che trasudano senzazioni, emozioni.
Il disco è un caleidoscopio dal quale vengono proiettate stupefacenti immagini, le stesse che saranno trasmesse dai videoclip in tutto il mondo e che insieme alle luci, migliaia di luci, esplodono e arrivano dirette al cuore e alla mente delle centinaia di migliaia di persone che hanno assistito ad uno dei più importanti e mastodontici spettacoli dal vivo della storia del rock. Lo ZooTv Tour e il successivo Zooropa Tour trasmettono a chi osserva e ascolta emozioni nuove, e forse irripetibili. La potenza esplosiva dei significati della musica e dei messaggi ad essa legata, non solo dal testo dei brani ma dalle immagini trasmesse sui video oltre che dal puzzle di una copertina che è già tutta un programma. I dodici brani sono immagini, significati, dodici stelle tutte illuminate di luce propria. Apre le danze Zoo Station con un riff elettronico che fa accapponare la pelle e ci fa sentire pronti per sensazioni "migliori anche di quelle vere" (even better than the real thing). One non teme rivali è una delle più affascinanti lovesong di sempre. Uno dei brani in cui la successione impetuosa che caratterizza il susseguirsi dei brani si ferma e ti abbraccia, per poi lasciarti e farti roteare, nuovamente, con una spinta travolgente di suoni che vanno a mille all'ora (the fly) e per poi ancora fermarsi con la strazianti e riflessive acrobat e ultraviolet. Il disco si chiude con un annuncio acritico (love is blindness), con un canto malinconico, quasi a salutare il caplavoro appena concluso, che lascia commossi ed esterefatti i fan del gruppo. Una ventata inattesa d'aria "fredda" che lascia un segno indelebile nei fan degli U2 ma anche in coloro chce il gruppo non lo aveva mai ancora ascoltato.
Nessuno di essi troverà più negli U2 un'ispirazione tanto forte da creare simbolismi e mitiismi. Quest'album arriva con il consueto supporto del genio di Brian Eno e di Daniel Lanois che produce Bono e compagni nell'apice della loro carriera artistica. Influenze e contributi che sfruttano sapientemente le doti del gruppo irlandese e che permettono di collocare quest'album ai primi posti tra quelli realizzati nell'ultimo decennio del ventesimo secolo. Un simbolo. L'album non trova ripetizioni e le cover successive non saranno altro che un vano e miserevole tentativo commerciale di cavalcare l'irripetibile successo dovuto ad una ispirazione superiore.