mercoledì, maggio 30, 2007

BIOGRAPHY : AEROSMITH


LA BIO DI OGGI E' DEDICATA AD UN GRUPPO CHE HA SCRITTO PAGINE INDELEBILI NELLA STORIA DELLA MUSICA, PIAZZANDO BEN 27 SINGOLI (!!!) AI PRIMI POSTI DELLE CLASSIFICHE MONDIALI, MANTENENDO SEMPRE ALTO IL IL NOME DEL ROCK N' ROLL!

Gli Aerosmith (Boston, 1970) sono un ottimo gruppo di revival hard-rock. Non trovano altro senso di esistere se non nell'avere a inizio anni 70 ripreso l'hard-rock dei Deep Purple di fine anni 60 - all'epoca già sorpassato - e di averlo pedissequamente riproposto per oltre 30 anni, tutt'al più accentuando le basi blues dell'hard-rock (vedi Rolling Stones e Led Zeppelin). Ovviamente, il tutto, previa traduzione americana di stilemi inglesi (l'hard-rock), a loro volta basati su una secolare tradizione americana (il blues di Chicago).
E siccome nella musica popolare, in quanto popolare, trovano successo sempre le cose più semplici, immediate e retoriche, gli Aerosmith sono stati tra i gruppi più pagati e che più hanno venduto di sempre. In particolare, sono un'istituzione americana (negli Usa pare abbiano venduto 60 milioni di Lp: più di Rolling Stones, Springsteen, U2 e Madonna).
Del resto, gli Aerosmith sono una macchina da soldi più per contingenza che per premeditazione. Va loro riconosciuto, infatti, di essere talmente reazionari, feticisti, miopi e conservatori che, indipendentemente dalle vendite, avrebbero comunque speso la loro vita in sex drugs and rock n'roll - d'altra parte (come testimoniano ampiamente i testi delle loro canzoni) non conoscono né altre parole né intendono altri concetti.

In cinque anni - dal 1973 al 1977 - gli Aerosmith fanno uscire ben 5 album. Non solo è sbagliato pretendere in seguito il diversificarsi di un'operazione che fin dall'inizio si vuole fine a se stessa, ma anche il credere questo a proposito dei primi cinque lavori, l'uno la variazione sul tema dell'altro. Non è colpa degli Aerosmith. Non ci sono colpe. L'hard-rock è in buona parte questo.
In oltre trent'anni di carriera, il numero degli album salirà a 14.
Anche la line-up del gruppo rimarrà pressoché sempre la stessa: forse solo i Rolling Stones possono vantare una longevità maggiore. Il leader e cantante è Steven Tyler, nato nel 1948 a New York. Animale da palco sincero e sfrontato, nato e dotato per fare quello che fa, è la quintessenza del macho hard-rock. Ha il blues nel sangue come Jagger, ma senza quel surplus di gusto ed estetica; è insomma spartano come gli americani ci si immaginano e non spocchioso come si suol dire degli inglesi. Abbiamo poi alle due chitarre soliste Joe Perry e Brad Whitford; e infine Tom Hamilton al basso e Joey Kramer alla batteria. Tutti con il phisique du role e l'esperienza musicale del caso.

Il primo omonimo album Aerosmith del 1973 è assai importante, con gli album che subito lo seguiranno, per due motivi. Il primo è che istituzionalizza di fatto l'hard-rock negli Stati Uniti, genere che, fino a quel momento, nelle sue forme più compiute e classiche era stato qualcosa d'importazione dall'Inghilterra. Il secondo motivo è che contribuisce, assieme all'opera reazionaria dei Kiss, a traghettare il genere dalla prima fondazione dei Deep Purple sino alla rifondazione che di lì a poco compiranno gli Ac/Dc.
In un contesto di talora troppo marcato revival rhythm and blues, spicca il primo e maggiore classico del gruppo: "Dream On". Ballata melliflua sulla falsariga di "Stairway To Heaven" dei Led Zeppelin, riesce ad acquisire un carattere e soprattutto un'eleganza, per essere hard-rock, mai più raggiunte da questo gruppo e che sarà piaciuta ai Queen. Ma il brano è da considerasi un classico in generale. Negli Usa come singolo raggiungerà il numero 59 all'uscita e il 6 tre anni dopo. Per il resto ricordiamo "Walking The Dog", che con il suo piglio ruvido potrà anticipare qualcosa degli Ac/Dc.
Get Your Wings (1974) registra una maturazione e decisione complessiva, anche se manca il brano d'almanacco. Entrerà in classifica al numero 74.

Toys In The Attic (1975) irrobustisce e smalizia ulteriormente il suono. I riff scolpiti sulla pietra di "Walk This Way", quei riff che sono l'hard-rock, e la erotomania di "Sweet Emotion" costituiscono le coordinate di questo lavoro e fanno perdonare scivoloni, seppur voluti, come il revival rockabilly di "Big Ten Inch Record" e la ballata di troppo "You See Me Crying". Assai importante poi il brano "Round And Round" la cui influenza, tramite il pesantissimo riff che lo caratterizza, sull'heavy-metal dei Metallica non sarà mai sottolineata abbastanza. Helfied stesso ha del resto più volte riconosciuto i suoi debiti verso i vecchi blues-men di Boston.

Rocks (1976), il primo bestseller degli Aerosmith, segna il culmine del loro percorso all'interno del rhythm and blues verso una sua esasperazione e fortificazione. La pesantezza di "Back In The Saddle", la velocità di "Rats In The Cellar", le sciabolate di "Nobody's Fault" non possono che guardare in direzione del metal, anche se i tempi sono ormai maturi perché altri, vedi Judas Priest e Rainbow, diano la sterzata definitiva a questo genere. "Get The Lead Out" è il brano prototipo del gruppo, quello che recliclerà per una vita il passo caracollante di "Walk This Way". Mentre "Sick As A Dog" e "Home Tonight" sono le solite cose di troppo: un coretto Mersey-beat vecchio più d'un decennio e una serenata raccapricciante.

Draw The Line (1977) vede ormai un gruppo nel pieno della sua maturità, come attestano i numeri funambolici di "Critical Mass" e le iniezioni di buon sangue di "Get It Up". Da ora in poi alcuni dei brani migliori del gruppo saranno scritti dai suoi produttori, come è il caso del primo che abbiamo citato, che porta la firma di Douglas.

Night In The Ruts (1979) non dà alcun segno di cedimento e vanta il secondo grande brano degli Aerosmith: "Chiquita", apparentemente semplice e scanzonato, ma in realtà capace di colpire nel segno, dispensando notevoli dosi di compassione e ottimismo post-trauma. Svariate le cover: dagli Yardbirds ("Think About It") e soprattutto dal girl-group degli anni Sessanta che Tyler avrà seguito da giovane, quello delle newyorkesi Shangri Las. La versione della loro "Remember" dimostra che il mestiere di fare cover è proprio quello che si addice agli Aerosmith; d'altronde questi fanno sempre cover, essendo anche i brani che scrivono di proprio pugno, variazioni sul tema di brani tradizionali. Ma in questo, va ribadito, non c'è nulla di male. Per tutta la prima metà del Novecento la musica popolare ha funzionato più che altro così, con il compositore da una parte e l'interprete dall'altra, tanto più nella cultura propria degli Aerosmith, il blues.
Si noti come gli Aerosmith rappresentino davvero uno dei gruppi hard-rock per eccellenza; come tali, passano indenni dalla temperie punk, non fraintendendola, ma ignorandola proprio: dimostrando così di vivere in un altro mondo o in un'altra epoca.

Su Rock In A Hard Place (1982) senza i due chitarristi originali, rimpiazzati in qualche modo da Jimmy Crespo e Rick Dufay, Tyler non può che fare opera di contenimento. La composizione dei brani non è, come a volte si è fatto credere, al di sotto degli standard del gruppo, anzi. Il problema è che, essendo già questa elementare come il genere vuole, e contando soprattutto il come si suona e non il che cosa, è chiaro che un simile cambiamento di line-up non può che compromettere quell'alchimia d'intesa e partecipazione che da sola reggeva le redini di tutto il discorso impostato da un gruppo tipicamente da presa diretta come gli Aerosmith.

Messa pace in famiglia, Done With Mirrors (1985) presenta i soliti Aerosmith, ma con un suono appesantito e squadrato, con insomma aumentato il rhythm e diminuito il blues. Sarà il preludio a quanto da qui in poi il gruppo farà. È anzi questo, formalmente, l'album chiave per capire il sound degli Aerosmith, almeno per i prossimi due, più celebrati, dischi.

Permanent Vacation (1987) può così inanellare le concitate "Heart's Done Time" e "Girls Keeps Coming Apart", oltre al morboso e compiaciuto hit "Rag Doll".
Pump (1989) è il culmine del percorso degli anni Ottanta, come Rocks lo era stato per i Settanta. Lo schema è il medesimo di Permanent Vacation: da una parte le sassaiole teppistiche (l'accoppiata "Hoodoo/Voodoo Medicine Man" e quella "Dulcimer Stomp/The Other Side"), dall'altra il lascivo singolo di turno ("Love In An Elevator"). In più, abbiamo una ballata che sfugge alla retorica come "Jane's Got A Gun".

Gli anni Novanta sono per gli Aerosmith gli anni del successo davvero planetario, dei riconoscimenti, delle soddisfazioni da ogni punto di vista. Non sono delle icone, non lo sono mai stati; la gente non va in giro con le loro magliette o i loro motti - che del resto non hanno; né, tanto meno tra le nuove leve, qualcuno elegge Tyler a modello di vita. Proprio per questo, innocui come sono, dediti solo al sesso e a qualche sniffatina, sono ben accetti dalla società e possono penetrare ovunque, in rotazione fissa su radio e televisioni. In tutto il decennio producono due dischi, che restano saldamente al numero 1 di Billboard e che sono caratterizzati da un suono per metà più pesante di quello degli anni Settanta e per metà più melodico di quello degli anni Ottanta. E questi sono gli ingredienti giusti per far presa sul pubblico. I brani proposti sono per lo più sentiti e risentiti, ma comunque approcciati con l'usuale naturalezza e passione. Considerato il genere e il gruppo in questione, possiamo dire che l'unico problema di questi lavori è di essere eccessivamente lunghi: oltre un'ora; che è troppo per chi nacque con i soliti classici otto brani in 35 minuti. Con una opportuna discernita e riducendoli di una mezz'oretta se ne guadagnerebbe sotto tutti gli aspetti.

Il nugolo di singoli di Get A Grip (1993) vide le due ansiose e carnali serenate "Cryin" e "Crazy" - simili anche nel titolo - che sono l'essenzialità di almeno un terzo della musica del gruppo. L'altro terzo è rappresentato dalla ballata epica e magniloquente - "Amazing" si chiama quella in questione. Ed un ultimo terzo da rhythm and blues granitici: sia nella versione reazionaria ("Eat The Rich") che, relativamente, d'avanguardia ("Livin' On The Edge").
Nine Lives (1997) è la fotocopia del precedente, ma su di una carta di colore diverso. I rhythm and blues granitici sono "Nine Lives" (il reazionario - e uno dei loro più espressivi) e "Something's Gotta Give" (il più arrangiato a novelty); la ballata romantica è "Hole In My Soul"; le serenate, una stravagante e riuscita "Pink" e una mielosa "Kiss Your Past Goodbye".

Gli anni Duemila, dopo il singolo del '98 "I Don t Want To Miss A Thing" (colonna sonora del film "Armageddon", di cui rispecchia tutta la retorica americana) che rimane uno dei più venduti di sempre e corona il successo di tutta una carriera, registrano una lieve flessione di consensi o se non altro accennano a un disinteresse del pubblico.
Comunque l'album Just Push Play (2001), con la potente e melodica "Jaded" e l'ennesima ballata epica "Fly Away From Here", non ha nulla di più o di meno dei lavori precedenti.

Infine, Honkin' On Bobo (2004) potrebbe essere anche il risultato migliore della band. Perché è una serie di cover blues e così, da una parte, indica che oggigiorno la cosa forse più onesta in campo rock o para-rock è fare cover, dall'altra consente al gruppo di esprimersi al meglio e dimostrare ancora una volta quello che è: un'esemplare band di session-man stagionati, ideali per suonare in un palco di un blues-club.

(http://www.ondarock.it/)

martedì, maggio 29, 2007

LIVE REPORT : MARILYN MANSON - Milano, Palasharp (28/5/2007)

IERI SERA AL PALASHARP (ex Palavobis, Mazdapalace o come volete chiamarlo...) E' ANDATO IN SCENA IL CONCERTO DEL REVERENDO DEL METAL MARILYN MANSON; NOI ERAVAMO PRESENTI E VI RACCONTIAMO COME SONO ANDATE LE COSE...


Arrivo con Lino al Palavobis intorno alle 20:15. Ai cancelli c'è una coda spropositata e il vento misto al freddo del diluvio appena terminato si fa sentire. I baracchini vendono magliette e accessori dark/metal, pompando al massimo la musica di Manson, mentre i paninari fanno affari d' oro e un gruppo di attivisti gesuiti, ricorda alla folla di Dark che "gesù ti ama". Atmosfere irreali, come i vestiti di alcuni personaggi che pazientemente aspettano il loro turno per entrare. Facciamo un giretto fuori, poi ci avviciniamo all'ingresso, notando come, un sacco di oggetti affilati, borchie, guinzagli, cinture e catene siano state sequestrate dagli sbirri al pubblico entrante. Ci sono anche due cartelli appesi all'ingresso : il primo spiega che durante lo spettacolo verrà usato un linguaggio e una mimica esplicita, l'altro elenca appunto, gli oggetti che è vietato portare all'interno del palazzetto.
Noi siamo tra i più normali presenti ai cancelli e non abbiamo problemi di alcun tipo. Entriamo.

Dentro la situazione è ancora più estrema. Un sacco di ragazze in stile burlesque, parecchie metallare con succinte minigonne e calze da zoccole, tacchi a spillo, borchie, rossetti neri e reggiseni di pizzo in bella mostra, ma anche maschietti (???) con camice in latex, zeppe e piercing enormi, si mischiano alla minoranza di gente normale. Ci sono pure un paio di improvvisati sosia di Marilyn Manson, che francamentee fanno abbastanza ridere. C'è qualche faccia nota della scena underground, come i Guilty Method, ma non incontro nessuno di conosciuto, a parte una Suicide Girl italiana, che mi fa vincere una scommessa con Lino...

Sul palco si sta esibendo una band metal/elettronica, che abbozza anche qualche famosa cover, ma che non coinvolge particolarmente il pubblico. Il palazzetto si riempie e all'inizio del concerto saranno più di 6.000 le persone presenti.
Alle 21:30 si spengono le luci e inizia il concerto. La scenografia è abbastanza minimal, con un centinaio di candele accese e due grosse M sanguinanti alle spalle, che lasceranno spazio ora a crocefissi, ora a immagini di droga, a seconda del pezzo che la band eseguirà.
I brani del nuovo "Eat me Drink me" (che in Italia uscirà venerdì), si alternano a successoni storici come "mOBSCENE" e "Dope Show" e l'inmpressione è quella che ormai, il 38enne ex anticristo, si sia decisamente tranquillizzato e abbia curato, per questa tourneè, molto di più l'aspetto musicale, di quello scenografico. Non ci sono infatti ecclatanti scene scandalose, come quelle che in passato hanno reso famoso Marilyn, che anzi appare abbastanza tranquillo sul palco, vestito come sempre in modo estremo, ma senza eccedere. La musica, come dicevo, è molto curata e ben suonata, meno elettronica di un tempo e con un'impronta molto più rock.

La band è essenziale : basso, batteria, chitarra, tastiere, ma la botta che ne viene fuori è decisamente violenta. La celeberrima cover di "Sweet Dreams" degli Eurythmics è acclamatissima, come "The fight song" e "Disposable teens", pezzi storici dell'archivio Mansoniano, che infiammano il pubblico milanese, più intento per la verità a scattare foto col telefonino che a seguire il concerto.

Lo show dire un'ora e venti, contando pure un solo bis, eseguito dopo una breve pausa di qualche minuto.
All'uscita le magliette vanno a ruba, mentre i fans più estremi si dileguano nel buio...

ALE

lunedì, maggio 28, 2007

MICK JAGGER : Clockwork Orange


Il cantante dei Rolling Stones avrebbe dovuto interpretare il ruolo di protagonista di uno dei film più importanti nella storia del cinema: “Arancia Meccanica”; lo ha rivelato colui che alla fine si è aggiudicato quel ruolo, Malcolm McDowell, durante una conferenza stampa al Festival di Cannes.
I Rolling Stones erano riusciti ad acquistare i diritti cinematografici del libro di Anthony Burgess (originalmente uscito nel 1962) e Jagger era convinto di essere il vero Drugo, il capo, il protagonista Alex, circondato dai suoi scagnozzi ‘reali’ come Keith Richards o Bill Wyman.

“Adesso per la prima volta posso rivelare che gli Stones avevano i diritti del libro e che Stanley Kubrick è riuscito in qualche modo ad accaparrarli e a scritturarmi come attore principale” ha dichiarato McDowell “Grazie a Dio nessuno ha mai finanziato il progetto degli Stones perché Jagger voleva a tutti i costi interpretare Alex lo stupratore, l’assassino, mentre il resto del gruppo avrebbe fatto i Drughi.
Incredibile vero?
Grazie al cielo la storia del cinema e della musica non è stata modificata, io ho ottenuto il ruolo che ha cambiato la mia carriera e Mick è diventato Sir Mick”.

mercoledì, maggio 23, 2007

VILE DENARO


IL NOSTRO AMICO LUCA, DJ QUATTROASSI ED ESPERTO DI HIP HOP, MI HA INVIATO QUESTA BELLA RECENSIONE SUL NUOVO DI SCO DEL CLUB D.O.G.O, USCITO NEI NEGOZI LA SETTIMANA SCORSA E GIA' ENTRATO NELLE CLASSIFICHE DI VENDITA, GRAZIE AL SUONO CRUDO DELLA GANG CHE NON SI SMENTISCE MAI.
IL PASSO NELLE MAJOR QUINDI SI E' FATTO SENTIRE... IN POSITIVO!
STAY TUNED!

TITOLO : Vile Denaro
ARTISTA : Club Dogo
GENERE : Hip Hop
ANNO : 2007
PROVENIENZA : Milano (ITA)

E' uscito il 18 maggio in tutti i negozi di dischi Vile Denaro, terzo album dei Club Dogo, formazione milanese di punta del rap italico. L'album, uscito sotto major (Virgin con distribuzione EMI) ha fatto parlare di sè già molto prima della sua effettiva uscita, come d'altronde è normale in un ambiente come quello del rap in Italia, molto provinciale, e pronto ad additarti come venduto solo per avere firmato con una grande casa discografica, ma senza aver ancora ascoltato nulla del disco in questione.Visti i deludenti lavori degli altri artisti di settore usciti sotto majors (Fibra, Inoki, Amir, Cor Veleno...), un po' tutti aspettavano i tre al varco, soprattutto dopo capitoli quali MI Fist e Penna Capitale che, nel bene o nel male, hanno segnato nuovi standard per il rap di casa nostra. L'uscita del singolo che ha anticipato l'album - Mi hano detto che... - ha fatto storcere il naso a molti, trattandosi di un pezzo molto radio friendly, almeno nei suoni e caratterizzato da rime e metriche piuttosto banali (almeno quanto il video). Ma una volta inserito il cd nell'impianto si capisce che l'attitudine è quella di sempre, le rime talvolta più crude che in passato. L'influenza della major, e il fatto che il disco sia teoricamente rivolto ad un pubblico più ampio del solito, si nota - positivamente - nella qualità del suono (masterizzato allo Sterling Studio di NYC) e in alcuni ritornelli che ad un primo ascolto possono risultare un po' stucchevoli ma a cui ci si abitua abbastanza in fretta.
Si parte con L'INCUBO ITALIANO, contro quei costumi e quei modi tipici dell'uomo italiano moralista e perbenista, all'apparenza irreprensibile ma con tanti di quegli scheletri nell'armadio da far invidia a un cimitero, di cui è in preparazione uno street-video, per poi passare al già citato MI HANNO DETTO CHE..., e alla successiva LA VERITA', senza filtri, rime crude,zero ipocrisia. Con M-I BASTARDS i due mc's, su un beat zarro-ipnotico si cimentano in un pezzo "ignorante" col solito stile che li caratteriza, ignoranza che prosegue con C.D. in cui si cimenta al microfono anche il produtore Don Joe. In PURO BOGOTA' troviamo al microfono altri due membri della Dogo Gang, Marracash e Vincenzo (mitica la chiusura della sua strofa "poi le volanti mi assediano, abbasso il tono, finchè liberoPandora dal trono di Krono, oggi epici ma resto in giro con gli amici che hano grammi in tasca e parlano sgrammaticati, a da Via Anfossi asalto sti blindati, aspeto sbirri armato come in via Imbonati") Si va avanti e incontriamo uno dei pezzi meglio riusciti dell'album, SPAGHETI WESTERN, in cui vengono presi di mira Calderoli&co. e la cosiddetta fobia dell'uomo nero, che minaccia la tranquilla esistenza di quest'italietta in panne pronta a trovare nel diverso un colpevole per tutti i propri fallimenti e le proprie paure. La seconda parte del disco si apre con TORNERO' DA RE che, ritornello a parte, offre un'ottima prova dei due mc's che si cimentano in uno storytelling che ricorda la fortunata Note Killer. Poi il mondo visto dall'ottica di una banconota in CONFESSIONI DI UNA BANCONOTA, si passa quindi a ORA CHE CI PENSO feat. Daniele Vit al ritornello (che ricorda un po' Akon e che è uno dei passaggi meno riusciti dell'intero lavoro), poi di nuovo ignoranza con DOGOZILLA. Si va verso la fine e i toni si abbassano: da GIOVANE E PAZZO si conclude, come al solito, in maniera più introspettiva e riflessiva con l'ottima DOLCE PARANOIA e LA CHIAVE feat.Stylophonic, Roba e Zenima.
In conclusione un'ottimo album, rime non edulcorate nonostante la major, poche quelle banali e momenti di assoluto spessore, beat potentissimi, che suonano in modo eccezionale. Don Joe alle macchine è una garanzia, Jake sempre ad altissimo livello, si dimostra uno dei migliori in circolazione mentre il Guercio è molto più in forma che in Penna Capitale, molto più vicino al Guercio di MI Fist, un flow diverso in ogni pezzo. Sicuramente i più professionali e i più capaci nel fare, oggi, rap in Italia, un disco che potrebbe competere con le produzioni francesi e tedesche.

LUCA

venerdì, maggio 18, 2007

RECENSIONE DELLA SETTIMANA

RIPORTO QUI UNA BELLISSIMA RECENSIONE DELL'ULTIMO LAVORO DEI TYPE O NEGATIVE, PUBBLICATA DA ONDA ROCK.

TITOLO : Dead Again
ARTISTA : Type o negative
GENERE : Metal
ANNO : 2007
PROVENIENZA : Brooklyn (USA)

Leggo commenti contrastanti su "Dead Again", nuovo parto di Peter Steele & co, disco di una maturità stiracchiata, lontana dai fasti del passato, dalle vette di "Slow, Deep & Hard" o di "Bloody Kisses", e più vicina ad un artigianato di classe, non scevro da vizi di forma, lungaggini, ridondanze. Come se quel sound che abbiamo imparato ad amare si fosse ormai incancrenito, lasciando venire a galla una rigidità malcelata, un bisogno di andare avanti per il solo gusto di non gettare la spugna. A conti fatti, siamo di fronte a un disco non brutto, ma incapace di rapirci pienamente, invero un po' noiosetto, causa un sovraccarico contenutistico e formale innegabile, oltre che (auto-)evidente fin dai primissimi approcci. Quasi che la formula, insomma, fosse ormai sul punto di collassare, liberando alla rinfusa un pò tutte le influenze che da tre lustri circa seguono lo svolgersi di un doom-progressivo dai marcati accenti gotici e dalle sensuali movenze/tentazioni "pop" (sembrerà strano, ma c'entrano qualcosa pure i Beatles...).

Gli angoli via via smussati dopo gli esordi al cardiopalma (con le ultime prove di "World Coming Down" e "Life Is Killing Me" a simboleggiare l'ascesa al suo culmine) tornano adesso a farsi sentire, a cozzare gli uni contro gli altri, in una retrospettiva "terminale" che, mentre fa i conti con la gloriosa carriera, tende la mano a tastare il polso degli apocalittici scenari urban-core dei Carnivore, vero e proprio inizio di tutto. Attaccarsi alle radici, quando la strada è ormai incerta, è sintomo che la sicurezza è il bene più prezioso. Prendere o lasciare, dunque: questo è un disco che i fan certamente ascolteranno con piacere, ma che difficilmente condurrà nuovi proseliti alla corte dell'orco Steele. O tutto il contrario di tutto, chi può dirlo?

Resta il fatto che il sottoscritto, da fan di vecchia data, non si è fatto abbindolare più di tanto, tanto che, a dirla tutta, gli ascolti continuano a risultare pesanti ed ostici, con la noia sempre pronta a far valere la sua durissima legge. Tuttavia, che ci volete fare?, un'intro come quella della title track è un piccolissimo tuffo al cuore. Penso alle atmosfere malsane e torbide di "Slow, Deep And Hard", a quel pestilenziale profumo metropolitano. C'è di più, poi, che la cavalcata ha pure uno di quei tiri epici che ti schiodano dalla sedia, ed allora va bene, va bene così... Un marchio di fabbrica, miei cari. Stanco, appesantito, "senile", ma pur sempre un marchio di fabbrica. Basterebbe questo a fargli meritare almeno un paio di attentissimi ascolti.

Anche "Tripping a Blind Man" è lì, solca quel mare apparentemente placido, costeggiando lidi pomposi, ma ancora col giusto contegno, anche quando i cambi di tempo sembrano (...sono...) un tantino forzati. Ma "Dead Again" è un disco-culmine, lo stereotipo (ahimè...) definitivo dello scibile musicale Steele-iano. Prendete "The Profits Of Doom": dentro c'è praticamente di tutto, come un piccolo bignami a uso e consumo degli sbadati, degli stolti che si sono persi (ahiloro!) le puntate precedenti. Sfilano i Carnivore, troneggiano echi "lenti, profondi e duri", ci si scambia "baci di sangue", risplendono "ruggini d'Ottobre", e via di questo passo. Passionale, la verve di "September Sun", tutt'altro che malaccia, ma maledettamente stiracchiata, maledetto Steele. E, poi, quell'aprirsi operistico, quel solo stridulo, quell'andare alla deriva, la meta ormai persa, ammesso ne fossero alla ricerca.

Sono brani, per dirla in parole povere, che accentuano il valore della "digressione" e che, di rimando, giocano con un citazionismo fin troppo scoperto ("Halloween in Heaven", con cameo vocale di Tara VanFlower dei Lycia; "These Three Things", che non disdegna, comunque, qualche passaggio davvero riuscito e coinvolgente). Strutture "erratiche", come da sempre ci hanno abituati. Resta il fatto che, arrivati a questo punto, siamo stanchi, e preferirremmo ricevere qualche scossa più intensa, qualche cazzotto giusto in mezzo agli occhi. "She Burned Me Down", "Some Stupid Tomorrow", "An Ode to Locksmiths" vanno avanti per la loro strada, accanto il fantasma eterno dei Black Sabbath, fino ad "Hail and Farewell to Britain", la cui coda viene risucchiata dal rumore di aerei e di bombardamenti. Un finale degno per un personaggio controverso ma, a suo modo, "adorabile" come Peter Steele. Peccato solo non faccia più dischi di spessore.

FRANCESCO

giovedì, maggio 17, 2007

THE FUTURE IS UNWRITTEN


Domani, 18 maggio, esce in Gran Bretagna il film documentario sulla vita di Joe Strummer, "The Future is Unwritten", diretto da Julien Temple e prodotto dalla Vertigo Films (La stessa casa di Football Factory, Goodbye Charlie Bright etc etc...).
Stando alle ultime indiscrezioni, il film non sarà una semplice pellicola sulla vita di una rockstar, l'intento di Temple infatti, è quello di sviscerare Strummer a 360 gradi: musicista, attore, poeta e, soprattutto, grande comunicatore.

Attendiamo con ansia l'arrivo in Italia di questo film documentario, anche se la paura è quella che la nostra industria cinamatografica, troppo intenta a dare spazio ai colossi di hollywood, snobbi questo lavoro, come spessa accaduto in passato con alcune ottime produzioni britanniche.

Da acquistare al volo la colonna sonora, che presto verrà recensita sulle pagine di DIFFERENTMUSIC.
Stay tuned!

mercoledì, maggio 16, 2007

CONSIGLI PER GLI ACQUISTI...


E' da poco arrivato nei negozi “Struggle Music”, l'album realizzato da due dei migliori protagonisti dell'hip hop italiano: il produttore Dj Shocca e l'MC Frank Siciliano.

Nel disco troveranno spazio alcuni tra i più importanti rapper italiani, come a sottolineare il momento d'oro di un genere che si sta ‘naturalizzando' nel nostro paese, sentiremo i pesi massimi Club Dogo, Amir, 'la storia' Bassi Maestro, tutti a proprio agio sulle basi del duo Shocca/Siciliano.

Per l'occasione sabato 12 Maggio è stata organizzata una festa di presentazione al centro sociale Rivolta di Marghera, in provincia di Venezia, con una grandissima jam session con Dj Shocca e Frank Siciliano sul palco a presentare, brano per brano, gli ospiti che hanno partecipato a “Struggle Music”.

Qui di seguito la scaletta del disco coi relativi MC :

Unlimited Struggle: Intro
Con I Soldi In Testa: Marracash
Spacca Tutto: Mistaman & Giuann Shadai
Giorni: Gialloman & Nemo
Vivere Così: Amir & Jack The Smoker + Dj Rockdrive
Ritrovarsi Ancora: Stokka & Mad Buddy
Catrame: Club Dogo + Reverendo
Non C'è Tempo Per Noi: Frank Siciliano, Mistaman & Gialloman
It's The New: Inoki & Tek Money & Dj Double S
Fatti Portare Giù: Frank Siciliano & Mistaman
Giuro: Micromala
Indietro: Bassi Maestro & Medda
Suona Sempre: Ghemon & Tony Fine

giovedì, maggio 10, 2007

THE ORIGINAL SOUNDTRACK


PER LA RUBRICA DEDICATA ALLE COLONNE SONORE, ECCO UN BELLISSIMO ARTICOLO TRATTO DA MUSICAOS, SU UN FILM CHE HA FATTO STORIA...

L’America è un paese malato…malato soprattutto di uno dei più grandi e terribili morbi che, oltre al cancro, affliggono da tempo immemore questo frettoloso e confuso secolo: la televisione.

Oliver Stone, da sempre istancabile regista-accusatore, punta il dito contro la suddetta e sull’uso criminoso che da tempo se ne fa. Chiariamo: se la televisione (come d’altronde il computer o qualsiasi altro mezzo di comunicazione) fosse ben usata (ma parlo di un uso estremamente lontano dalle facilonerie varie a cui siamo abituati…), forse non servirebbero più scuole né tantomeno mezzi affini per diffondere una cultura finalmente di vasta portata e alla mano di tutti…ma, naturalmente, come nella migliore delle tradizioni, ciò resta solo una mia semplice utopia. Sin dal 1991, anno in cui Stone realizzò JFK, egli aveva già in mente di sviluppare un film che potesse prendere di mira i diseducativi contenuti dei vari palinsesti televisivi (specialmente americani) che, per una pura e squallida questione di share, propongono ad un sempre più disorientato, ignorante ed amorale pubblico, una massiccia dose di violenza…a non finire…un martellamento continuo…perché la violenza fa spettacolo e, da sempre, la magica accoppiata con il fattore sesso decreta il continuo successo di tali scadenti ma ‘vincenti’ show televisivi (ricordo che specialmente negli Stati Uniti la televisione è una buona fomentatrice di una certa psicosi di massa…controllare il numero di armi vendute annualmente…).

Poi, per una pura coincidenza, sempre nel 1994 l’astro nascente Quentin Tarantino, prima di portare a termine la stesura di Pulp Fiction, inizia a lavorare al suo secondo script, Natural Born Killers, in cui si narra di una coppia di sbandati che, da un giorno all’altro, iniziano a seminare il panico per gli states, catturando ovviamente l’attenzione dell’esercito dei media e divenendo così in breve tempo la coppia più famosa d’America dai tempi di Bonnie e Clyde…inutile aggiungere che la sceneggiatura finisca poi nelle mani di Stone, divenendo così il film che tutti conosciamo.
Solo che l’originale lavoro di Tarantino subisce una totale alterazione per mano del trio Veloz/Rutowski/Stone che, adattando i contenuti dell’enfant prodige alle proprie necessità per avviare una più seria e attenta analisi dello strapotere del fenomeno mediatico, fa sì che l’autore della storia entri in conflitto con la produzione, chiedendo così di essere eliminato dai credits come sceneggiatore…di Tarantino resta solo il soggetto…il resto, è tutto marchio Oliver Stone.

Il film è fondamentalmente diviso in due blocchi distinti: la prima parte si sofferma sulle vicende della coppia Knox (Mickey/Woody Harrelson e Mallory/Juliette Lewis), parlandoci del loro regno di terrore, che logicamente non può che attrarre in un breve lasso di tempo tutta l’attenzione dei vari e morbosi network che, di colpo, s’interessano alla vicenda (specialmente la trasmissione ‘American Maniacs’, condotta dal viscido Wayne Gale/Robert Downey, jr.); contemporaneamente, un poliziotto (Jack Scagnetti/Tom Sizemore) è sulle loro tracce; la seconda parte, invece, è ambientata nel carcere, una volta che i due sono stati catturati dalle autorità: sono rinchiusi in una prigione di massima sicurezza ma, la loro predisposizione naturale alla fuga, fa sì che anche in questa occasione il loro spirito di sopravvivenza abbia la meglio, in un finale che più rocambolesco non si potrebbe.

Il film, alla sua uscita scatenò un vero e proprio putiferio: l’enorme, ipertrofica e surreale violenza contenuta in ogni singolo fotogramma, ha fatto gridare ‘allo scandalo’ orde di benpensanti (specialmente cattolici); molti atti di emulazione, verificatisi dopo che alcuni ragazzini imbecilli videro il film, hanno contribuito alla pessima fama che si è creata attorno a questa pellicola maledetta, creando oltretutto numerose traversie legali in cui Stone è tutt’ora impegolato (addirittura una denuncia da parte di John Grisham…un suo amico perse la vita a seguito di un’aggressione per mano di alcuni ragazzi che avevano visto la pellicola…come se io denunciassi Carlo Vanzina per molestie sessuali e tentato stupro perché alcuni bricconcelli hanno palpato il sedere di mia sorella dopo aver visto un suo film…semplicemente ridicolo!).

L’opera di Stone credo non abbia eguali nella storia del cinema: ad una sceneggiatura frutto di mistura e capovolgimento di diversi generi (horror, drammatico, screwball comedy, road movie), corrisponde una realizzazione da paura. La violenza che permea il lavoro di questo eterno sperimentatore è tutta incentrata su un uso grottesco ed insolito del blocco audiovisivo: un montaggio frenetico, alterna sequenze girate in 35, 16 e 8mm (molte delle quali processate anche in Betacam, Scooptic e Super8), inquadrature sghembe e angolazioni impossibili, cambi repentini di colore (si passa frequentemente dal colore al b/n e viceversa), frequenti ricorsi al flash-forward e numerosi insert di cartoni animati (specialmente nelle scene di caos fisico e mentale) e un uso assolutamente insolito ed innovativo di una scoppiettante (e follemente congegnata) COLONNA SONORA (oltre 75 brani)…il tutto a sottolineare la confusione di un mondo in preda ad un totale caos.

Lo spettatore è continuamente bombardato da immagini e concetti (anche qui non mancano i soliti interventi indiani, un classico ormai nella filosofia del regista) e da semplici vittime-spettatori passivi si diviene ben presto carnefici-operanti, per poi tornare un attimo dopo nuovamente spettatori-vittime e così via. Stone non opta per una via di mezzo e ama sballottolare e stuprare il proprio pubblico: il film è un’opera contro la violenza e usa quest’ultima per rappresentare una sorta di auto-catarsi…la violenza contro la violenza stessa. C’è chi approva. C’è chi critica. Ma, ad ogni modo, un altro passo avanti nella carriera di Stone, uno dei pochi registi capaci di perseguire le proprie idee, a costo di infastidire platee borghesi e benpensanti e critici ottusi e bigotti con un film dalla potenza visiva più unica che rara, assolutamente innovatore, sperimentale e magnifico. Come regola per ogni fatica di Stone, ineccepibile sotto molti punti di vista: azzeccatissimo il cast con attori credibili e perfettamente in forma (a partire dalla coppia omicida Mickey/Mallory, a finire al losco poliziotto Scagnetti, al gretto direttore del carcere McClusky, al viscido giornalista Gale); assolutamente all’avanguardia il montaggio (Berdan, Corwin), la fotografia (Richardson) e l’uso della colonna sonora.

In Europa è pressocchè impossibile vederlo in versione integrale. Alla sua uscita, la commissione di censura operò circa 150 diversi tagli alla pellicola; per fortuna, la Vidmark Entertainment si occupa di distribuire il film in tutto il suo splendore originale (è facilmente reperibile in rete).

mercoledì, maggio 09, 2007

MARILYN MANSON : new video...


NUOVO VIDEO PER IL REVERENDO... E CRESCE L'ATTESA PER LA DATA DEL 28 MAGGIO A MILANO...

Fino a qualche giorno fa era disponibile solo una breve anteprima di 50 secondi, adesso il video del primo singolo “Heart Shaped Glasses” è stato ‘caricato’ per intero ed è possibile vederlo su YouTube.
Come nella migliore tradizione Mansoniana, il mini film nasce per shockare i benpensanti e i perbenisti, coloro già pronti con le forbici della censura; si parte subito con scene di sesso tra Marilyn e la sua nuova fiamma Evan Rachel Wood (attrice di ‘Thirteen’, ‘King Of California’), poi il classico viaggio spericolato in macchina sulle colline di Hollywood, il club dove MM si esibisce e si incontra con la lolita Wood (gli ‘occhiali a forma di cuore’ richiamano proprio il film di Kubrick), ancora sesso in mezzo a una tempesta di sangue e il finale, anche questo un cliche, con la coppia che decide di concludere la propria esistenza con un lunghissimo salto dalle ripide colline californiane.

mercoledì, maggio 02, 2007

PETER CRISS : DISCO IN ARRIVO!


RIECCOCI QUI A PARLARE DI MUSICA DOPO LA PARENTESI VACANZIERA 25 APRILE/1° MAGGIO.
IL PRIMO POST E' DEDICATO A PETER CRISS, BATTERISTA STORICO DELLA FORMAZIONE ORIGINALE DEI KISS, PRONTO PER USCIRE SUL MERCATO CON IL SUO DISCO SOLISTA.

Peter Criss, batterista originale dei KISS, pubblicherà il 24 luglio il suo nuovo disco solista, intitolato "One for All". Il disco uscirà per Silvercat Records.
La carriera musicale di Peter Criscuola iniziò con il jazz. Allievo di Gene Krupa, con il nome d'arte di Peter Cris suonò in diverse jazz band di New York e del New Jersey nel corso degli anni 1960.
Nel 1972 si unì a Paul Stanley e Gene Simmons, che stavano cercando un batterista per il loro gruppo, i Wicked Lester. Con l'ingresso di Ace Frehley la band cambiò nome in KISS. Anche Cris cambiò nome, aggiungendo una S al cognome e diventando Peter Criss.

Criss fu il batterista del gruppo per quasi tutti gli anni settanta, durante i quali i KISS pubblicarono dieci album. Alla fine del 1979 lasciò il gruppo per dedicarsi alla carriera solista, anche se la rottura venne ufficializzata alcuni mesi più tardi. Sulle copertine di Dynasty (1979) e Unmasked (1980), Peter Criss compare ancora, ma il batterista in realtà non aveva suonato in nessuno dei brani contenuti nei dischi, essi vennero suonati da Anton Fig.
Criss pubblicò due album solisti, Out of Control nel 1980 e Let Me Rock You nel 1982. In seguito collaborò con diversi gruppi musicali e con gli ex-colleghi dei KISS nei loro progetti individuali.
Nel 1996 la formazione originaria dei KISS tornò a suonare assieme. La presenza di Criss ai concerti e nelle registrazioni in studio fu discontinua, sia per presunti problemi di salute sia per contrasti contrattuali con gli altri componenti del gruppo, e alla fine decise di abbandonare il gruppo definitivamente.

Il suo posto venne preso dall'attuale batterista della band, Eric Singer, che già suonò ai tempi di Revenge e Carnival of Souls ma dovette abbandonare per permettere il ritorno della line-up originaria.
Il suo stile musicale ha appassionato tantissimi batteristi (perlopiù Heavy Metal), tra cui si possono menzionare Vinnie Paul, Dave Lombardo, Deen Castronovo, Tommy Lee, Scott Travis e Charlie Benante.