lunedì, ottobre 31, 2005

30/10/2005 OASIS live in Milano


A cinque mesi dal concerto dell'Alcatraz, gli Oasis ritornano a Milano, per un concerto inserito nella parte italiana del tour iniziato a Treviso e che toccherà anche Firenze e Roma. Arrivo al Forum intorno alle 20 insieme al Falco. Un pezzo di pizza ed entriamo nel palazzetto, gremito in ogni ordine di posto. I Coral, la band di supporto, ha appena finito di suonare e manca circa un'ora allo show dei ragazzi di Manchester. Becchiamo il Mod e Carletto e beviamo un paio di birre (6 euro!!!) in attesa dell'inizio dello show. Il pubblico è come sempre eterogeneo, ma non c'è l'ignoranza ce contraddistiungue i concerti dei miti del rock. Pochi ragazzini, molti fattoni e non mancano diversi grupetti di inglesi. Alle 21,15 si spengono le luci e "Turn up the sun", primo pezzo dell'ultimo disco, apre lo show. Lo spettacolo di luci è più ricercato del concerto all'Alcatraz, ma sobrio rispetto ad altre situazioni live, mentre l'audio è davvero di qualità incredibile. Il muro di suono è deciso e le sonorità sono le tipiche della band britannica. "Lyla" è il secondo pezzo che scalda il pubblico, coinvolto dai fratelli Gallagher che non si scompongono di una virgola. Il primo flashback del concerto è la tiratissima "What's the story morning glory" catata a squarcia gola da tutto il pubblico e che fa tuffare tutti nel pieno dello show. L'atmosfera non manca, i pezzi lenti e quelli movimentati si alternano tra le continue ovazioni della gente, ma l'impressione è che le atmosfere rock siano privilegiate in questo show, rispetto alle melodie pop che hanno reso gli Oasis famosi in tutto il mondo. Un'altro giro di birre da sei euro mentre "Love like a bomb" suona a tutto volume dal palco, prima di scoprire un abusivo che ce ne vende 2 a 5 euro... decisamente più onesto.
"The importance of being idle", "Part of Queue", una spettacolare "Wonderwall"... il concerto fila via in fretta. "Champagne supernova" è da brividi e Liam lascia che sia il pubblico a scandire a tutto volume il ritornello del brano. La prima parte, caratterizzata da tantissimi pezzi tratti dall'ultimissimo "Don't belive the truth" si chiude dopo un'oretta e dieci, lasciando spazio (così pensiamo) ad una seconda parte dello show dedicata ai vecchi successi. Non sarà così.
I cinque di Manchester risalgono sul palco poco dopo e iniziano i bis: "Don't look back in anger" è l'unica storica hit che gli Oasis propongono, chiudendo, dopo soli 20 minuti dall'intervallo con la cover degli who "My generation" che esalta i pochi mods presenti (il Mod, Oskar e Naska degli statuto) ma lascia a tutto il palazzetto l'amaro in bocca di uno show incompleto : "Stand by me", "Supersonic", "Little by little" e almeno altre 6-7 hit storiche mancano all'appello, ma soprattutto il tempo di esibizione è davvero ridicolo : 1 ora e 35 minuti a 32 euro è davvero una presa per il culo.
Mentre il palazzetto si vuota deridiamo qualche babbo di minchia vestito tipo Liam, prima di vedere la security del formu (tutti gli irr) che caccia gli ultimi fattoni... Insomma un epilogo decisamente sgrauso per un concerto che prometteva tantissimo e che ha dato abbastanza.... nulla di più.

Ale

sabato, ottobre 29, 2005

NABAT


I Nabat si formano a Bologna nel 1979.
La prima line-up era composta da Steno voce (già bassista di un’ altra formazione bolognese, i RAF PUNK), Stiv chitarra, Giulio basso e Davide alla batteria. Il primo gig si tiene al circolo anarchico “C.Bernieri”, dove i Nabat suonano insieme ad altre storiche formazioni delle scena punk bolognese come i già citati RAF Punk, gli Stalag 17, i Bacteria, gli Anna Falks etc.
Con la seguente formazione Steno alla voce, Stiv chitarra, UI- UI alla batteria e Abbondante al basso, i Nabat registrano un demo-tape con i concittadini RIP-OFF. La cassetta riscuote, per quanto riguarda i Nabat, un discreto successo. La band comincia a farsi conoscere anche fuori Bologna. Qualche tempo dopo Abbondante lascia il gruppo per unirsi ad una band rockabilly, mentre i Nabat, rimasti in tre, intraprendono con i Soldier Of Fortune un memorabile tour nel sud Italia.
Nel 1982, la band registra al Teatro Dehon (uno studio di registrazione di tipo parrocchiale) il primo ed indimenticabile E.P. "Scenderemo nelle Strade" contenente cinque pezzi.
Il disco esce nel giugno dello stesso hanno per la loro etichetta la C.A.S. e vende circa 2000 copie (cifra considerevole per l'epoca).
Nel frattempo alla band si unisce al basso Riccardo (ex batterista dei Rip Off e dei Bacteria).
In poco tempo i Nabat, anche in virtù di una impressionante attività live (circa 90 concerti nel solo 1982), diventano una delle più amate OI! band italiane.

Nel 1983, sempre su C.A.S., esce in una lussuosa veste grafica il secondo E.P. “Laida Bologna”. Nello stesso periodo, i Nabat sono tra i protagonisti, nonchè tra i promotori, dei due raduni OI nazionali di Monza e Bologna, ben recensiti dalle fanzine e dalla stampa musicale indipendente.
Lo scopo di questi concerti, in cui suonano band Skin e Punk, è quello di superare le divergenze che dividono i due movimenti.
“SKIN E PUNK SARANNO UNITI GLI OBBIETTIVI SON COMUNI QUESTI FOTTUTI PERBENISTI” cantano i Nabat e non si può che essere d' accordo.
Da dimenticare invece il terzo ed ultimo raduno Oi di Certaldo (maggio 1983) che finisce tra gli incidenti e le provocazioni di stampo fascista dei Rip Off e di una parte del pubblico.
I Nabat inoltre producono, sempre per la C.A.S, due ottime compilation :
“Skin+Punk =TNT” E.P. con Nabat, Dioxina, Armm e Rappresaglia e più tardi il LP “Quelli che urlano ancora” con vari gruppi della scena punk e skin italiana tra cui Cani, Klaxon, Basta, UDS, Hydra etc.

Quindi nell' 85, viene pubblicato dopo una lunga attesa il primo L.P. “Un altro giorno di gloria”, grande album con 10 grandi pezzi non solo OI. Alla chitarra c’e’ Red (ex Dioxina).
Il disco è dedicato a Nelson Mandela ed a Martò dei Judas (band bolognese degli anni 60).

La band si scioglie nel 1987. Piu' tardi membri della band suoneranno nella Punk band degli STAB mentre Stiv si unira' con gli Skrewdriver!!!!!!!!!!!

Ma il 23-1-92 ,in una magica notte, Steno ritorna sul palco ed accompagnato dagli Stab da vita ad un pirotecnico concerto, immortalato sul CD “Live alla morara” edito dalla Twins Records nel 1994.
Il disco contine una manciata dei migliori pezzi dei Nabat piu’ una cover di “If the kids are united” degli Sham 69.
Nel 1995 i Nabat si riformano in occasione del “TIZIANO ANSALDI BENEFIT TOUR” , da loro stessi organizzato per raccogliere fondi in favore della mamma del loro mitico ex manager scomparso nel 1994.
La band si esibisce insieme ai bolognesi Ghetto 84 e ai Klasse Kriminale , prima al Leoncavallo di Milano e poi al Livello 57 di Bologna.

Tra il dicembre 95 e gennaio 96 viene registrato “Nati per niente” CD pubblicato su Banda Bonnot. Dodici pezzi, più una bonus track, potenti e diretti che sono una ulteriore conferma delle capacità della band, diventata nel frattempo un quintetto. Il disco è dedicato a IQBAL MASIH leader dei bambini pakistani, morto assassinato.
L'album è stato registrato con la seguente formazione:
Steno - voce, Riccardo - chitarra, Romano - chitarra, Abbondante - basso e Toppi - batteria.

Agli inizi del 1997 Riccardo Pedrini (chitarrista dei Nabat) ha pubblicato il libro "Skinehaed: lo stile della strada" edito da Castelvecchi.
Il libro, molto bello, ripercorre la storia del movimento Skinhead, dalle origini fino ad oggi, con particolare riferimento alla scena italiana, e contiene una vasta e dettagliata bibliografia e discografia, nonchè un elenco di siti internet e di fanzine Skinhead.
Sempre Riccardo nell' estate 1998 a pubblicato "Ordigni", saggio sulla scena punk bolognese dei primi anni ottanta.

Nel settembre 1998 e' uscito per la Potere Records uno splendido bootleg intitolato "Campane a Stormo" che raccoglie le registrazioni apparse sul primo demo tape della band, due live ed alcuni pezzi tratti principalmente dal primo LP del gruppo bolognese.

Purtroppo la band si e' definitivamente sciolta nell' Ottobre 98 alla vigilia di un concerto in terra vicentina in occasione del 1 Festival SHARP Tre Venezie durante il quale pero' Steno a improvvisato un mini-gig accompagnato dai alcuni membri dei Los Fastidios.



giovedì, ottobre 27, 2005

PHIL ricorda Darrell


Dal sito ufficiale di Phil Anselmo il pensiero dell'ex leader dei Pantera, sul chitarrista tragicamente scomparso lo scorso diicembre. Parole profonde, che riassumono a pieno quale fosse lo spirito della band...

I’ve been stumbling around in a coma of loss. No truer lyric has been written than “You don’t know what you’ve got, ‘til it’s gone.” To explain my side of things with the hiatus of Pantera, please give me a moment and think about what I say. Think.

I joined the band in late ‘86/early ‘87, and the chemistry clicked like a vice grip, we hit it off like four bad mother fuckers could. Perfection. Dime, Vince and Rex could play fucking anything. You pick the style, they could pull it off. So in reality we had to find out where our musical hearts lay strongest. After short deliberation, our intention was to be the most devastating ‘hard core-heavy metal’ band in the world.

You know, when the so called heavy metal press first got wind of ‘Cowboys from Hell’ they were absolutely unsure what to think. More bad reviews than good at the time. The Reason? They had never heard a band quite like us before, and I can’t blame the press or anyone for not hearing the full experience, but there were flashes in songs like ‘Primal Concrete Sledge’, and “Message in Blood’. Once again as I have said before, the press remained basically unimpressed, BUT, with the heavy metal audience, the phenomenon of Pantera had already begun. Slowly but surely, the fan base grew larger and larger (the best fans in the world I say still!)

The LP that I believe was the first ‘true’ Pantera LP was our second major release ‘Vulgar Display of Power’. As a band, our brotherhood and obvious originality and musicianship cemented us as one of the most feared and loved bands ever to step on a stage. That, is what we all lived for. We figured as long as our awesome audience was moved (head banging, skanking, stage diving, of course) we would play for us and them. Of course we had a deep connection with both our music and our audience, and we were also very different, image and attitude wise… It was extremely rare to see a lead vocalist or anyone with a shaved head unless you looked deep into the underground with bands like the Cro-Mags, Agnostic Front, Rose Tattoo, etc…(I didn’t mean to leave anyone out). The difference between us and these great bands was the fact that we also had an insanely great guitar player who was respected alongside the best of the best, and a rhythm section so unique and tight, goddamn they were tight, tight is and always will be the word. I guarantee throughout our 17 year existence it would be extremely difficult to have one memory of Rex or Vince messing up or playing a part wrong ever. That to some people may be amazing or impossible, however I mean what I say 100 times over. They were the best damn musicians I’d ever seen or heard. Period.

With ’Far Beyond Driven’, our 3rd major offering, going to #1 on the Billboard top #200, it seems appropriate to say that some Rock Magazines were taking notice, one way or another. Guitar magazines throughout the world were right on the money by calling Dimebag the best axe man of the time. That was absolutely true and within his lead style, influenced by the likes of Eddie Van Halen, Randy Rhodes, Ace Frehley, and himself (it’s true, I believe most all great lead guitar players have their own style to hear and influence. By god Darrell had that type of talent and then some). His rhythms he came up with, in ways, probably became even more influential. His influences were extremely varied and unique from guys like James Hetfield (Metallica), Kerry King and Jeff Hannemen (Slayer), Judas Priest to Motorhead, AC/DC, ZZ top, Robin Trower and even some of the ultra underground bands I would play him. In all honesty he preferred a more accomplished guitar player than some of the rawer sloppier stuff that I adored, but what he did love about the rawer stuff was its all out assault on the ears. Bless him, he did love that. Within his style he commanded and demanded the best out of himself, and all of us around him. So I will say to everyone in Texas that ever called me a friend, and especially all of my brothers that helped work with us as Pantera on the road crew; I love all of you. To the fans in Texas, and the rest across America and the world, beware of the shit you read in rock magazines. When these pathetically titled ‘journalists’ (not all of them, but a lot still), had finally caught on to the fact that we, Pantera, had beaten all the odds a band could, and the press had no choice but to build us up until it seemed that they were all of a sudden desperate to make us supermen in the magazines, it was an assignment. It wasn’t true to them, they were getting paid for it. We weren’t supermen, just a great band. During our whole career, there were always those interviews where you could tell that the ’journalist’ didn’t know shit about our band, using wrong facts, whether they made us look good or bad, not knowing a thing about our characters, our musicianship, or our careers; asking the same questions, or as ’journalists’ love to do, just plain making up whatever they wanted. For every ‘journalist’ out there, these facts may or may not fit in with the way you personally do your work , but I know and so the fuck do you that this load of bullshit behavior, that thousands of fans read on a regular basis, is absolutely irresponsible, and it’s obvious that you truly don’t care about your responsibilities to the fans, or how many lives you truly destroy. It’s all about what sells magazines, isn’t it?

A month has gone by since we, his former band mates, his current band mates, his friends and fans around the world, have lost Dimebag. I can’t necessarily speak for them, but for me, it’s the first thing that comes to mind when I awake, if I sleep at all, still. It is also the last thing I think about as I lay down to rest. God damn it still hurts me. I want to be there for Vinnie Paul no matter how long it takes. I want to be there for Rita if she’ll have me. I want to be there for the Kat and the rest of the crew as well, people that have been a part of my life for 17 ½ years. Once again, I’m hoping my biggest hope; that they realize that the bad stuff written about our bands and ourselves was coerced nonsense made to sell magazines. Bare with me, please. I beg you all. By the way, all of the level headed fans that write in and offer support, that in itself is the best therapy I’ve received yet. I have considered retirement because of a broken heart, but also in my heart, I cannot let my fans down. As the days go by I realize that I’m at war with some things inside of myself, that I don’t mind sharing with you: I always, truly always, no matter if it was my own dreams just coming to the surface, if we, just the four of us, were to sit in a room together, we’d have been laughing, crying, and laughing again. The weight of the world would be lifted off of our shoulder as we hugged each other. Play together again? I have a suspicion that our fans would demand some type of reunion. My god I thought of that so many times and because what our fans wanted, they usually got. It may have taken a little longer, but think about how long it took the original Black Sabbath to play together again!?

Then in one night early December, 2004, an event changed the entire year and our entire lives into one of the cruelest sort. Some mentally disturbed individual …crushed the dream. He took one of the most talented, extroverted people ever to grace this earth. I’m crushed for the loss of my friend that I loved, for Vince his brother, for Jerry his father, for Rita his life companion, for all of his good friends, for every music fan that was inspired and loved his playing; especially those who were lost or were injured that night we lost Darrell. None of what I have said will ever bring him back, and it hurts so bad. I add very humbly in hope that no one else out there ever has to go through something like this; Keep your loved ones close.

Yours Truly, I can take no more at this time-

Philip H Anselmo

mercoledì, ottobre 26, 2005

INTERVISTA DELLA SETTIMANA : SICK OF IT ALL




Partiamo dagli inizi e dalle origini popolari...

Lou Koller:
Sì amico, parecchio. Veniamo da famiglie umili, da una New York che sembrava essersi dimenticata le classi più bisognose per arricchire solo chi stava bene. Lo provavamo sulla nostra pelle, come tutti i ragazzi che vivevano la stessa situazione: pieni di speranze che andavano in frantumi contro la triste realtà. Poi crescendo cambiammo, capimmo che era arrivato il momento di darci da fare in modo pulito per cambiare le nostre esistenze ma stando vicino a chi era nei nostri stessi panni.

E da qui ecco partire la splendida favola intitolata Sick Of It All...

L.K.: Esatto! La musica era una delle poche cose che metteva d’accordo un po’ tutti, in quegli anni, poi iniziava a prendere forma una scena hardcore stabile che oggigiorno posso dire di rimpiangere. Tornando a noi e ai nostri inizi, non fu tutto così semplice, di gavetta ne abbiamo fatta tanta anche noi credimi, e se oggi siamo ancora qui lo dobbiamo soprattutto ai tanti amici che ci hanno sostenuto fin da allora facendoci sentire forti anche nei momenti più difficili. Da qui il nostro ringraziamento a chi ci ha tolto dalla strada, a chi ha saputo accettare i nostri caratteri spesso non facili e alle nostre famiglie, uniche nell’aiutarci sempre senza condizioni.

Una storia che coincide molto con quella di molti artisti hip hop non credi?

L.K.: Più della metà di loro non sanno nemmeno cosa voglia dire vivere in certi posti e rischiare veramente la propria pelle! (ride) Oggi fare il gangster va di moda e per definirsi tale in certi ambienti devi saperti costruire una storia credibile. A New York c’è una buona scena hip hop, meno rinomata rispetto a quella di altre zone ma ugualmente valida. Conosciamo alcuni artisti e li rispettiamo perchè loro rispettano noi e la nostra musica, pensa che in qualche occasione abbiamo pure suonato con alcune crew di neri ed è stato molto interessante!

Infatti è nota la vostra passata collaborazione con DJ Lethal...

L.K.: Sì! Ci siamo divertiti molto a sentire quello che veniva fuori dai suoi remix, al punto da portarci a inserire la sua versione di “Just look around” sul nostro ultimo lavoro.

“Outtakes for the outcast” appunto. Girando in rete ho notato pareri discordanti su questa produzione...

L.K.: È una regola del gioco! La scena hardcore è fatta da due tipi di mentalità: la purista, cioè quella che ti vuole sotto una determinata casa discografica con una certa attitudine e quella più normale e tranquilla che capisce e accetta le tue decisioni. Quando suoni in un gruppo come i Sick Of It All è logico che di fronte a un disco dal vivo o una raccolta i primi si scaglino contro di te e in fondo lo accettiamo anche per il semplice fatto che non reputiamo importanti quei pareri. Questa produzione è un regalo ai nostri fan e ne andiamo fieri, perchè in fondo vogliamo solo dar loro la possibilità di sentire canzoni introvabili senza il bisogno di spendere cifre da capogiro nei negozi di usato o cose simili. Uno scopo onesto a mio modo di vedere.

Non a caso furono in molti a voltarvi le spalle al momento della firma per Eastwest Records...

L.K.: Quella è una ferita che ci fa ancora male, perchè in fondo non abbiamo fatto nulla di sbagliato scegliendo una nuova casa discografica. Molti amici iniziarono a dire che lo facevamo per soldi e che eravamo dei venduti, non capendo che lo facevamo solo per il bene dei Sick Of It All. Ma ancora più scalpore fece la nostra scelta di passare su Fat Wreck, con decine e decine di stronzi pronti a sputarci addosso in rete ma non di persona. Odiamo questo tipo di atteggiamenti, se qualcuno ha qualcosa da dire, che ce lo dica in faccia e non nascondendosi da codardo! Non ci pentiremo mai dei nostri passi, questo è certo.

La Fat Wreck è da sempre sinonimo di punk rock e hardcore californiano, generi lontani dai vostri stereotipi. Come vi trovate?

L.K.: Molto bene! Fat Mike è una persona intelligente e onesta, quando ha saputo che eravamo alla ricerca di un contratto si è fatto subito avanti chiedendoci di passare su Fat Wreck. La risposta fu immediata e oggi a distanza di qualche anno posso ritenermi a nome dei Sick Of It All pienamente sodisfatto del loro lavoro, siamo distribuiti ottimamente, abbiamo piena libertà nel gestire concerti e merchandise... Non possiamo lamentarci insomma!

Prima parlavamo di trend, e allora è normale parlare di rock. Hives, Libertines, Strokes e molti altri sembrano cavalcare l’onda del successo, che ne pensi?

L.K.: Che mi viene da ridere al pensiero che si definisca rock’n’roll un gruppo come gli Strokes! (ride) Non voglio passare per pessimista, ma il rock’n’roll è un genere che ha dato il meglio di sè fino a inizio anni 80, da li in poi è stato solo merda commerciale. Il rock’n’roll era fantastico ai tempi perchè selvaggio e privo di schemi, ognuno faceva quel cazzo che gli pareva senza dare spiegazioni a nessuno. Oggi invece sono tutti pettinati allo stesso modo, vestiti in giacca e cravatta, pronti a suonare canzonette da radio e nel caso facciano qualcosa di veramente trasgressivo è solo perchè hanno un sevizio patinato in ballo. Assurdo!

Torniamo ai Sick Of It All. Il palco è il vostro habitat naturale, al punto da starci per gran parte dell’anno. Non sentite il bisogno di staccare la spina ogni tanto?

L.K.: Certo, ma di fronte all’amore dei nostri fan è praticamente impossibile pensare di prendersi una pausa più lunga di due/tre settimane! Quando stacchiamo la spina amiamo goderci le nostre famiglie e i nostri amici, in quanto viaggiando moltissimo hai veramente poco tempo per star loro vicini. Ma allo stesso ammetto che dopo un po’ di tempo inizio a sentire il bisogno fisico di tornare a vestire i panni del cantante, in quanto è un lavoro fantastico che mi permette di vivere in modo dignitoso e trasmettere i miei pensieri a moltissimi ragazzi.


Infatti uno dei vostri punti di forza sono proprio i testi non credi?

L.K.: Quando sei al centro dell’attenzione devi stare molto attento a dosare le parole, in quanto stai pur certo che qualcuno non comprenderà i tuoi messaggi. Proprio da questa teoria nascono i nostri testi, che hanno il compito morale di educare soprattutto i più giovani, per fargli capire cosa fare e cosa evitare, traendo spunto dalle nostre esperienze personali e non da storie inventate. Inizialmente non era facile trovare parole che non combaciassero con odio e pessimismo, al punto da farci riscrivere i testi più volte per non sembrare troppo frustrati. Da quei momenti ho imparato a meditare, caratteristica che la gioventù odierna sembra aver perso.

Quale è il disco che ti piace di meno tra i vostri?

L.K.: “Yours truly”, perchè rispetto a tutti i nostri album ha una produzione troppo pompata e tecnologica, che non si addice al nostro modo di suonare. Capita a tutti di sbagliare nella vita no?! (ride)

La società è da sempre un tema che vi sta a cuore. Avete mai avuto problemi a riguardo?

L.K.: Solamente negli Stati Uniti. Quando vai a suonare in certe zone, soprattutto in quella centrale vai a scontrarti con la mentalità ottusa tipica dell’americano medio. Il problema è che spesso ci siamo trovati a dover fronteggiare gruppi di estrema destra pronti a creare disordini, portandoci a interrompere spesso i nostri concerti. Da quegli episodi decidemmo di evitare certe zone, dove suonare non è sinonimo di divertimento ma bensì di contestazione.


Cosa ti porta ad avere un parere così contrastante sul mondo odierno Lou?

L.K.: Basta guardarsi attorno! Parlando in modo globale, guerre, odio, razzismo e povertà hanno reso il Mondo un vero incubo. Guardando invece il quotidiano, trovo che le nuove generazioni stiano crescendo troppo in fretta, perdendo i valori e la bellezza di crescere pian piano. Bruciare le tappe è rischioso ma nessuno sembra farci più caso, Playstation, cellulare e internet sono cose normalissime per un ragazzino di quattordici anni, al punto da indurlo a far scelte sbagliate pur di averli. Queste sono cose che non capirò mai e che fino a qualche anno fa non esistevano nemmeno. Dall’altra parte noto però una schiera altrettanto numerosa di giovani cresciuti con principi sani e meritevoli di attenzioni, che spero riescano a rendere meno pesante il nostro domani.

Torniamo a parlare di viaggi e concerti. Quale è il Paese che preferisci tra tutti quelli visitati?

L.K.: Senza ombra di dubbio la Germania. Abbiamo molti amici, un nutrito seguito di fan e siamo discretamente popolari. Il Paese in sé non è il massimo lo ammetto, soprattutto a livello artistico e culinario, ma umanamente è davvero incredibile. Ogni nostro show in Germania è sold-out, con gente veramente fuori di testa pronta a dar il meglio di sè! A pazzia siete forti anche voi italiani, e vi stimiamo moltissimo perchè ci fate sentire a casa nostra. Avete città stupende ricche di arte e cultura, ottimo cibo e bellissime donne, non potreste desiderare di meglio!

Hai citato la parola cibo. Vegetariani, vegan e straight edge sono solo una parte delle filosofie di vita rese celebri negli ultimi tempi da numerosi gruppi alternative. Cosa pensi in merito?

L.K.: Ognuno è libero di fare quello che vuole della propria vita amico, e se io rispetto le tue scelte tu devi rispettare le mie. Vivi e lascia vivere insomma, mi sembra semplice come concetto.


Come vedi la scena hardcore odierna?

L.K.: Evoluta, anche se tutte le etichette che i giornalisti danno ai nuovi gruppi fanno ridere! Metalcore, emocore, post-hardcore... Tutte cazzate, in quanto l’hardcore è da sempre sinonimo di rispetto e devozione, caratteristiche che trovi anche in molti gruppi odierni. Il metalcore negli Stati Uniti sta riscuotendo enorme successo, al punto da portare MTV a far girare video che fino a qualche anno fa manco sognavi di vedere alla TV.. Una cosa sicuramente positiva per tutta la scena, in quanto il ragazzo che si avvicina al metalcore si chiederà da dove derivi tale musica scoprendo hardcore e metal.

Un’ultima domanda: molti nomi storici della scena hardcore hanno vissuto o stanno vivendo momenti difficili, mentre voi non avete mai avuto cali. Quale è la vostra formula magica?

L.K.: Non penso sia una questione di formule magiche, ma bensì l’essere da sempre persone oneste e coscienti dei propri limiti. Non abbiamo mai fatto dichiarazioni forti alla stampa, non siamo mai stati ospiti di talk show e non ci siam mai definiti i migliori al mondo. Avere poi dei fan come i nostri ti aiuta moltissimo, in quanto stai pur certo che per darci una mano in molti sarebbero pronti a far qualsiasi cosa. Arriveremo anche noi prima o poi alla nostra fase calante e quando arriverà stai pur certo che saremo i primi a smettere.

martedì, ottobre 25, 2005

RECENSIONE DELLA SETTIMANA



TITOLO : Contraband
AUTORE : Velvet Revolver
GENERE : Hard Rock
ANNO : 2004
PROVENIENZA : Los Angeles (USA)

Sono sempre stato un fan incredibile dei Guns n' Roses : li reputo il gruppo che mi ha cambiato la vita, segnando il passaggio di ascolto tra la muscia che ascolti da bambino e quella che ascolterai "da grande". Avevo 11 anni quando ho sentito per la prima volta Appetite for Destruction e da quel momento è stato amore.
A quasi 20 anni dall'uscita di quel disco e a dieci anni dallo scioglimento della band, gli attriti tra i componenti dei Guns'n'roses sono diventati ormai leggendari, quasi come l'attesa per l'uscita del fantomatico disco "Chinese Democracy". E mentre Axl litiga a destra e a manca con musicisti e casa discografica, Slash, Duff McKagan e Matt Sorum hanno pensato di occupare il tempo in maniera più produttiva, mettendo in piedi una band assieme a Dave Kasher (chitarrista dei Wasted Youth e Dave Navarro) e a Scott Weiland degli Stone Temple Pilots. Insomma, un super-gruppo atteso con la stessa intensità degli Audioslave ma che personalmente, preferisco mille volte alla nuova band di Chris Cornell.

Forse i Velvet Revolver rappresentano l'ennesima operazione commerciale della scena rock degli ultimi anni, ma il talento e la mente di questi artisti uniti insieme, non poteva non produrre un disco che, almeno sul piano tecnico, fosse ineccepibile. Lo stile del gruppo è quello dei veccchi tempi e non pare anacronistico rivedere, nel 2005, teschi, cilindri, bottiglie di Jack Daniel's e Black Death Vodka.
Per quanto riguarda la qualità del prodotto a livello di canzoni, qualche difettuccio c'è : l'originalità non è il forte di questi artisti, che nel mettere insieme i propri stili non creano nulla di nuovo. Ciò che ne viene fuori è una sorta di revival dell'alternative rock americano anni 90 con una spruzzata di hard rock.
La chitarra di Slash la fa da padrona in gran parte dell'album, dando incredibili scariche di purissimo hard rock in brani come "Do it for the kids" o "Illegal I song".
La voce di Scott sembra miscelarsi benissimo con le sonorità dei Revolver, anche se a tratti farebbe sicuramente piacere a tutti, sentirla più naturale e meno effettata.
Lo stile Guns n' Roses arriva in"Fall to pieces", con tanto di intro acustica arpeggiata e arrangiamento da "Lies!".
La pienezza delle chitarre non ci molla un secondo : "Headspace" è forse il pezzo più tirato del disco, mentre "Superhuman" si adagia su di una melodia che cerca di uscire da schemi ormai noti.
A stemperare i toni minacciosi del rock arriva tutta la poesia e la dolcezza di "You got no right", che rappresenta uno dei brani lenti più belli del disco assieme a "Loving the alien", che chiude il disco in un'atmosfera molto 70s.
Un disco essenziale insomma, che forse non scriverà una pagina significativa nella storia del rock n' roll, ma che ci dimostra, ancora una volta, che quando gli artisti sono di un certo calibro, il lavoro che viene fuori è sempre una figata...
Quest'estate i Velvet Revolver si sono esibiti a Londra, durante il Live8 e la loro performance ci ha riportato per un attimo ai fasti dei Guns n' Roses, tra rose, borchie e tanta trasgressione...
LUNGA VITA AL ROCK N' ROLL!

lunedì, ottobre 24, 2005

i martiri del rock : JIM MORRISON


Jim Morrison nacque l'8 dicembre 1943 a Melbourne in Florida da un ufficiale di marina e da un casalinga. Cantante, poeta, film-maker, è stato soprattutto una leggenda della musica.

Voce leader dei Doors, è stato uno dei principali riferimenti per intere generazioni di giovani negli anni della guerra del Vietnam, dell'assassinio dei fratelli Kennedy e di Martin Luther King. Animale da palcoscenico, eroe maledetto, angelo ribelle, il Re Lucertola - Lizard King - è stato profeta della libertà. Per i suoi inviti alla trasgressione l'FBI ha aperto un dossier su di lui, e nel 1969 è stato perfino arrestato per oscenità. La sua morte precoce nel 1971 lo ha trasformato in un mito: da allora le raccolte dei Doors continuano ad andare a ruba, e ogni anno migliaia di giovani si recano in pellegrinaggio sulla sua tomba nel cimitero di Père Lanchaise a Parigi.

Di famiglia medio borghese, aveva due fratelli ai quali non si sentì mai particolarmente legato. Trascorse la sua infanzia cambiando spesso paese a causa dei trasferimenti di suo padre, uno dei motivi che lo hanno sempre immerso in un contesto di solitudine. Tra lui e la sua famiglia non correvano buoni rapporti così appena fu possibile se ne andò per frequentare l'università cinematografica dell'UCLA.

Si può dire che fu proprio durante gli studi universitari che Morrison si creò la prima vera cerchia di amici. L'humus e le possibilità che regnavano nell'ateneo e nel frequentare le lezioni gli davano infatti l'opportunità di conoscere un numero straordinario di persone. Inoltre, fu proprio frequentando l'Università che incontrò un futuro compnente dei Doors, il chitarrista e compositore Roy Manzanek, il quale coinvolse Morrison nelle sue già avviate attività musicali, come quella di apparire per gioco in alcuni concerti organizzati da lui.

L'idillio però non durò a lungo, poichè Morrison abbandonò l'università dopo che un suo cortometraggio fu rifiutato per una apparizione al "Royce Hall".

Iniziò così a frequentare la spiaggia di Venice, luogo che vide la nascita di molte canzoni come "Hello, I love you" e "End of the night". Formò poi un gruppo appunto col suo amico di università Ray e decise di chiamarlo "the Doors", nome ricavato dalle strane elucubrazioni che Morrison era solito fare: egli infatti sosteneva esistessero nel mondo il noto e l'ignoto, e che questi due mondi fossero divisi da una sorta di porta: ed è proprio una di queste "porte" comunicanti che lui voleva essere.

Intanto, il cantante era arrivato ormai al punto di prendere pasticche di LSD con grande facilità, arrivando a fare azioni bizzarre e discutibili, come quella di andare nel deserto per provare la mescalina nella sua forma pura: aveva letto che, secondo alcuni studi, dava effetti di vera follia...

Esplosi i Doors con il primo, splendido album (uno dei migliori esordi della storia del rock), Morrison divenne per milioni di fan un'avvincente ribelle, mentre per l'America benpensante rappresentava una sorta di pericolo pubblico. La sua vita "sentimentale", sempre molto affollata, era minata da comportamenti lunatici ed imprevedibili: passava da una calma assoluta ad attacchi improvvisi di violenza. Nel 1970 Jim sposò Patricia, una delle sue donne, con un matrimonio "Wicca" (un rituale che corrisponde ad una specie di unione cosmica). Il atrimoni, come prevedibile, non durò a lungo, a causa dell'inesausta "poligamia" di Morrison.

Dopo una vita all'insegna di eccessi di tutti i tipi, Morrison si spense il 3 luglio 1971, a soli 27 anni, generando da quel momento un'infinità di pettegolezzi e false notizie circa le modalità (o addirittura la veridicità) della sua scomparsa. Le cause della sua morte infatti sono tuttora ignote: Pamela Carson, la sua compagna del momento, morta oltretutto di overdose tre anni dopo di lui, disse solo di averlo trovato morto nella vasca da bagno. Quando gli amici arrivarono a Parigi, poi, la bara era già chiusa. Non poterono dunque vedere il cadavere del cantante ma solo visionare il suo certificato di morte.. L'autopsia non fu fatta. Il certificato medico parla genericamente di "morte naturale" per arresto cardiaco.

A Parigi, nella Ville Lumiere, si era trasferito quattro mesi prima assieme alla sua ragazza. Ne aveva abbastanza dei Doors e della California, malgrado la band gli avesse dato fama e ricchezza. Voleva costruirsi una nuova vita come poeta. "Il rock è morto", ripeteva.
Oggi la sua tomba nel cimitero parigino Pére Lachaise è un monumento nazionale e viene visitato da una media di cento fans al giorno.

venerdì, ottobre 21, 2005

QUATTROASSI & BRAVIRAGAZZI


Domani sera festa grande al Barrios Cafè : per una specialissima festa di compleanno (4 festeggiati!!!) due tra i migliori soundsystem di Milano, vi faranno ballare fino a notte a ritmo di ska, rocksteady, hip-hop, revival....
QUATTRO ASSI ...FINE SELECTA!

giovedì, ottobre 20, 2005

opinioni : RESPECT



Dopo le Suicide Girls, i nostri esperti tornano a dire la loro.
l 3 personaggi che, nella storia della musica, rispettate di più inassoluto: non importa il genere che fanno, non importa se sono vivi o sono morti, non importa se la massa li conosce o no, non importa se essi siano musicisti o produttori o qualunque altra cosa.

PACO
KEITH RICHARDS : grandissimo chitarrista e straordinario personaggio, immagino che in vita sua le abbia provate proprio tutte, eppure è ancora lì, in grandissima forma a dare lezioni alle generazioni di rockettari che scimmiottano il suo inarrivabile stile.


JOE STRUMMER : (appena sopra Jello Biafra, Ian MacKaye e Henry Rollins)- se penso ad un leader carismatico (in ambito musicale), penso a lui.


PAOLO CONTE : (appena sopra De Andrè e Battiato)- Il più grande cantautore in assoluto: colto, sagace, ironico e fuori da qualsiasi schema; molti sue canzoni ( sotto le stelle del jazz, Genova per noi...) mi fanno venire i brividi pur avendole ascoltate centinaia di volte.



CARLETTO
GARY BUSHELL: storico inventore/produttore/poeta dell'Oi!music e della strada

ICE CUBE: pietra migliare del rap americano

VASCO ROSSI: c'è bisogno di spiegarlo?


MOD
VASCO : Indeciso se scegliere lui o De Andrè, ho optato per il rocker di Zocca perchè "l'ho
vissuto" di più, sia dal punto di vista dei concerti dal vivo, sia per quanto riguarda emozioni
momenti e situazioni che ricollego a determinate sue canzoni.

BOB MARLEY : Anche se per quello che riguarda la musica jamaicana ho preferenze di altro
tipo, sicuramente è grazie a lui, alla sua musica e alle sue canzoni se poi sono arrivato a scoprire
altri artisti e altre sfaccettature, vecchie e nuove, del suono che costituisce buona parte della mia
colonna sonora.

ESA : Discorso simile a quello relativo al discorso Bob Marley posso farlo per quanto riguarda
il rap... Per me l'hip hop americano è arrivato sicuramente dopo quello italiano. Le prime cose
che ho ascoltato erano degli Articolo 31, in particolare Strade di città del '93(disco molto valido,
soprattutto alla luce di quello che hanno fatto successivamente). Ma la "botta" l'ho presa grazie a
Esa, che ho continuato a seguire e che un po'più sporadicamente seguo tutt'ora.
Probabilmente senza Dalla sede degli OTR ('97), non mi
sarei messo a riscoprire robe tipo Sangue Misto, tutta la roba della vecchia scuola bolognese,
molta roba americana e francese (le prime cose d'oltralpe le ho sentite in collaborazione con Esa...
Rival Capone, CNN, La Connection) e tutto quello che è arrivato dopo.
E poi a qualunque evento vai, che sia la jam di quartiere o il mega show in un locale, è facile
trovarlo al di là del fatto che sia lì per cantare, per mettere i dischi o solo per divertirsi...
è l'hip hop italiano.


ALEXIO
JELLO BIAFRA :Voce dei Dead Kennedys, ideatore della Alternative Tentacles e co-fondatore
di Maximum Rock'n'Roll, la fanzina per eccellenza.
A 15 anni scopri il punk, eversione individuale, sberleffo a qualsiasi dottrina, tutto ad un tratto
capisci che essere diverso dagli altri non è poi così male, anzi.

JOHN COLTRANE : A Love Supreme, il punto più vicino di contatto fra l'uomo e Dio attraverso
la musica. Tutto grazie ad un sax. E certo, in formazione c'erano anche McCoy Tyner al piano,
Archie Shepp all'altro sax tenore e la coppia ritmica Jimmy Garrison-Elvin Jones. Ma 'Trane da
solo basta e avanza.

TOM WAITS : Ovunque appoggerò il mio cappello, lì sarà la mia casa. Rain Dogs è il miglior
libro scritto su quell'America che non ho mai visto e probabilmente così non vedrò mai. Forse
perchè non esiste.
Forse perchè per vederla servirebbe un Jockey Full of Bourbon. Ah, uno degli ultimi punk rimasti.
Anche se ha sempre avuto addosso una giacca.


ANDRE
BOB MARLEY : d'accordo con Simone, non c'è bisogno di spiegare il valore della musica e della persona di Bob Marley... basta leggere il testo di Burnin and Lootin per capire cos'è veramente il reggae, al di là della ganja, del sole, dell'amore universale, di Jah e degli anatemi contro i froci.

ICE CUBE : ero indeciso se lui o Notorious BIG (RIP)... però effettivamente è solo grazie a lui, agli NWA, al film "Boyz n the Hood" in cui è uno dei protagonisti e alla rivolta di LA del 92 che è nata la mia passione per l'hip hop... Ex vero "bad boy" di Compton, ormai ha abbandonato la strada ed è diventato un discreto attore, ma se lo merita...

una parola sola: RESPECT

DJ GRUFF : talvolta indisponente e totalmente bollito, ma tutto il migliore hip hop italiano o è passato tra le sue mani (Kaos, Sangue Misto, Isola Posse...) oppure gli deve qualcosa.



ALE
VASCO : chi si chiede il perchè non è degno di risposta

BOB MARLEY : non sono mai stato un grande appassionato di muscia Reggae, ma quando si parla di Bob si va oltre un genere musicale : testi, musica, melodie di un'altra categoria.

ELVIS : The King! Il resto sono chiacchiere


SIMONE
BOB MARLEY : non penso che ci sia bisogno di spiegare cosa Bob può dare con la sua musica ad una persona.
Non esiste suo componimento che non rifletta uno stato d'animo comune, unico nelle sue idee e nella sua immagine.

PHIL ANSELMO : rispecchia la mia gioventù ribelle e anticonformista. Simbolo di rabbia e di grinta è sempre stato per me un esempio al quale ispirarmi.

MARCO MASINI : insultato e disprezzato da tutti, Masini rappresenta per me qualcosa di veramente importante. Resterà sempre il cantante preferito di mio fratello, colui che lo faceva sorridere e piangere. E' per me il classico esempio di come la musica possa dare delle emozioni a chi, per come vive, non ne dovrebbe avere.


 





mercoledì, ottobre 19, 2005

INTERVISTA DELLA SETTIMANA : PUNKREAS


I Punkreas sono ripartiti con il loro tour di fine anno con nuove date Italiane per chiudere in bellezza allo storico club berlinese "SO36", in compagnia di vecchie e nuove conoscenze della musica indipendente italiana, per l'ultima edizione del PunkItalia Festival. Dalle date di questo tour verrà ricavato un album live, in uscita la prossima primavera, fedele testimonianza del granitico impatto live di questa storica formazione... Punkadeka, portale della musica punk in italia, ne ha parlato con Flaco chitarrista della band.

Siete partiti nuovamente in tour, quali sono le cose che vi appassionano di più: le esibizioni dal vivo o il creare la vostra musica?
Sono tutte e due cose appassionanti, ma se ti devo dire la verità, quelo che mi appassiona di più in assoluto sono i 5 minuti prima di salire sul palco. Non c'è niente di più adrenalinico dell'attesa, per me

Puoi darci anticipazioni sulla scaletta dei pezzi nei quali vi esibirete nel tour? ... come li sciegliete? Saranno diversi a seconda delle date?
Abbiamo una scaletta di riferimento, a partire dalla quale facciamo girare a turno un pò di pezzi "intercambiabili". Tra l'altro stiamo registrando in vista di un live da pubblicare in primavera, per cui proveremo un pò di pezzi per vedere cosa funziona meglio. Certo, se non eseguissimo Aka toro, Canapa, Sosta, Tutti in pista, non usciremmo vivi dal locale.

Qual'è stato il vostro miglior concerto in assoluto?
Difficile dare una risposta secca. Sicuramente ricordo con particolare orgoglio la prima volta con i Nofx a Milano (sarà stato il '98-'99) e la volta ad Imola con i Rage against the machine, in uno dei loro ultimi concerti prima dello scioglimento. Ma dal punto di vista della nostra esibizione, forse uno dei migliori è stato un Tora Tora di un paio di anni fa alla festa di Radio Sherwood a Padova

..e il peggiore?

Mi viene in mente un'esibizione molto tempo fa, vicino a Reggio. C'erano stati scazzi con l'organizzatore, che secondo noi aveva lesinato sui costi e ci aveva fatto trovare un impianto indegno per la serata. Ci scocciava però far saltare la data. Purtroppo quando suoni può capitare di trovarti in questa situazione senza vie d'uscita: se non suoni la gente penserà che sei uno stronzo e che gli manchi di rispetto, se suoni con l'impianto scadente non si sente nulla, e la gente pensa che sei un incapace. Quella sera decidemmo di suonare comunque, ma patteggiamo una riduzione del costo d'ingresso, per pareggiare la cattiva situazione tecnica. Tuttavia le cose non andarono molto lisce e lo scazzo con gli organizzatori continuò, prima, durante e dopo il concerto, e ti assicuro che non volarono solo parole. Nei giorni seguenti trovammo su internet messaggi dell'organizzatore che sosteneva che avevamo devastato il camerino, dopo aver preteso cene luculliane. In realtà il camerino era indistruttibile, essendo una specie di bunker in calcestruzzo arredato solo con un tavolo e uno specchio, e per cena fummo noi a chiedere che ci portassero una pizza (fredda), perchè i problemi tecnici da risolvere non ci davano il tempo di andarcene tranquillamente a mangiare, come d'abitudine. In tutti questi anni non abbiamo mai replicato a quelle menzogne. Ne approfitto adesso.

"Quello che sei" è uscito ormai da diversi mesi... riascoltandolo ora, vorresti cambiare qualcosa?
In realtà è un pò presto per riascoltarlo. Bisogna prima smettere di suonarlo per avere la giusta distanza. Per ora
Per ora lo terrei così com'è

Nella prima stampa del cd c'era in allegato un dvd "La grande truffa della marijuana" con il discusso video di "Canapa" e un filmato nel quale racconti accuratamente la storia della marijuana. All'inizio di settembre abbiamo organizzarto a Parma un Punkadeka festival Antiproibizionista in collaborazione con il "Canapaio Italiano" (al quale hanno partecipato Derozer, Water Tower e altri..). Secondo te questo tipo di sensibilizzazione può servire a qualcosa? Si riuscirà mai ad avere la legalizazione in Italia?
Si, sono convinto che sensibilizzare sia utile e necessario, anche se a volte si ha l'impressione di tentare di svuotare il mare con un cucchiaino. Penso che ormai sia percezione comune l'insensatezza sociale della proibizione della canapa. Spero che in un futuro non troppo lontano appaia chiaro che è l'intera guerra alla droga, col suo corollario di libertà negate, spreco di mezzi e risorse, drammi personali e carcere, arricchimento di mafie e servizi segreti di stato, ad apparire una vera follia da fermare al più presto. Parlo di tutte le droghe. Il proibizionismo non ha mai portato ad altro che al crimine, al peggioramento qualitativo delle sostanze commerciate clandestinamente (hai presente che tipo di alcool si spacciava in U.S.A. durante il proibizionismo?), e al conseguente aumento del rischio per il consumatore

In "Questa è la storia" toccate il grave problema palestinese, dopo gli ultimi fatti di cronaca e lo "pseudo-ritiro" dai territori da parte degli israeliani credi cambierà qualcosa?
Molto difficile capirci qualcosa da qui. Sicuramente il sospetto è che il ritiro da Gaza preluda all'occupazione permanente della Cisgiordania, dove infatti pare si continuino a costruire nuove colonie. Purtroppo mi tocca riaffermare il punto di vista espresso nella canzone: l'origine dello stato di Israele riposa nel fatto che europei e americani hanno ritenuto la Palestina una terra colonizzabile, senza alcun riguardo per i suoi abitanti. I palestinesi hanno avuto lo stesso trattamento degli indiani d'America. Ora, nessuno potrebbe chiedere seriamente lo smantellamento deli Stati Uniti, nè quello di Israele, perchè - per quanto sia crudele - la forza è diventata in qualche modo diritto. Ma se non si parte da questa verità storica inoppugnabile, non è che si possano fare molti passi avanti. I palestinesi sono un popolo che è stato ingiustamente privato dei suoi diritti, e che è stato minacciato di sterminio. Mi piacerebbe sapere cosa avrebbero fatto i tedeschi, o gli italiani, o i francesi, se si fosse deciso di riscattare l'Olocausto costruendo uno stato ebraico sul loro territorio.

Qual'è il pezzo dei Punkreas a cui sei più affezionato e perchè?
Anche se a volte ci avventuriamo in esplorazioni sonore un pò più complesse, continuo a pensare che il rock'n'roll migliore sia quello semplice, diretto, quasi banale nella sua elementarità. Per questo ti dico: "Occhi puntati".

Si vocifera che per l'ultimo singolo i Subsonica abbiano preso ispirazione da voi... Suoni più veloci, cantato in "Cippa Style" e il video ricorda molto l'artwork di "Pelle" ... ne sai qualcosa?
Confesso di non avere ancora ascoltato con attenzione il disco. E' un pò che mi riprometto di farlo. Posso solo raccontarti un aneddoto. Nel novembre scorso, quando eravamo a Torino a registrare, abbiamo incontrato in un paio di occasioni Max Casacci e Samuel, che sono sempre incredibilmente gentili con noi. Una di quelle volte, siamo stai nel loro studio di registrazione, dove stavano preparando il loro album e, dopo averci fatto sentire una track in lavorazione, Max ha commentato : "Ricorda un pò a Sosta, vero?". Non so se si tratti della canzone in questione, ma sicuramente Max conosce i nostri lavori, anche perchè frequenta lo studio di Carlo Rossi,dove abitualmente registriamo. In ogni caso, sia chiaro, se è vero che abbiamo anche solo minimamente ispirato qualcosa ai Sub, la cosa ci fa solo un grande piacere.

Spazio Libero: Dì quello che vuoi agli utenti di Punkadeka.it

C'è una cosa che penso distingua noi Punkreas dalla maggior parte degli utenti di Punkadeka, che immagino piuttosto giovani. Noi siamo nati e cresciuti in piena guerra fredda, con la contrapposizione dei due blocchi, in un'epoca in cui l'Italia era una terra di frontiera, con il Partito Comunista più forte dell'Europa Occidentale, e le stragi di stato finanziate dagli Stati Uniti e realizzate dall'estrema destra. Non era una bella situazione, ma paradossalmente rendeva possibile una progettualità politica vivace e non elitaria. Oggi siamo una bella colonia americana, sotto il controllo morale del Vaticano. Sembra di essere tornati ai tempi del Metternich e della Santa Alleanza. I nostri politici - fatte salve alcune rare eccezioni - sono nella migliore delle ipotesi dei grigi burocrati, e nella peggiore degli affaristi che non hanno alcun interesse nella cosa pubblica, a meno che non si tratti di arraffarla. Non siamo più nemmeno terra di frontiera, per cui possiamo scordarci i finanziamenti e gli appoggi più o meno occulti del passato. Penso che stiamo entrando in una nuova fase geo-politica, di cui questa crisi - che non è solo economica, ma anche morale - è un effetto. Penso che "indietro non si torna più ", per citare una nostra canzone, ma che per andare avanti bisogna prendere coscienza del fatto che non solo il sogno della rivoluzione comunista è sfumato, ma anche che la realtà del liberismo e del capitalismo avanzato è diventata un incubo sociale, morale e ambientale. La competizione e il profitto non sono parametri degni di guidare una società di uomini.


martedì, ottobre 18, 2005

MOTLEY CRUE : autobiography


I componenti dei Motley Crue si svelano al loro pubblico in una scioccante autobiografia. Il materiale, raccolto in tre anni di conversazioni, rappresenta il drammatico e dettagliato resoconto della vita del gruppo che ha sconvolto il mondo della musica. Chitarre, eroina e donne, tutto quello che gira attorno alla band è descritto senza censure, ma anche senza autocompiacimento. Dal video hard di Tommy Lee con Pamela Anderson al drammatico incidente di Vince Neil, tutto il rosso e il nero di un'icona rock dei decadenti anni Ottanta.
Un racconto davvero piacevole e che non lascia nulla all'immaginazione. I Motley raccontano tutto e in un batter d'occhio si passa delle tristi e commoventi pagine sulla terribile fine della bimba di Vince, a quelle che riguardano gli eccessi di NIKKI ( che ha ammesso nel libro che solo OZZY è più psicopatico di lui!!!!!!!!!!!).
Bellissima la parte dedicata all' incredibile storia dell' uomo più sfigato, meno indicato a stare nello showbusiness e piu' sottovalutato della storia del rock : MICK .
Neil Strauss, cronista anche della bellissima biografia di Marylin Manson ha raccolto tutto quello che i fans (e non solo) volevano sapere su una delle band più memorabili della storia del rock.
Naturalmente, anche le imprese "Sentimentali" del signor THOMAS LEE
hanno una parte tutta loro e vengono racontate dallo stesso Tommy con una sottile ironia degna dei migliori playboy.
Colpisce molto, leggendolo tutto, come i
Motley Crue non siano semplici rocker, ma qualcosa di più profondo : sotto la loro maschera da duri infatti, celano un'umanita che perfino il sottoscritto non avrebbe mai immaginato. Insomma 400 pagine di delirio, vita vissuta on the road.... ...400 pagine di Motley Crue!

venerdì, ottobre 14, 2005

Biography : CYPRESS HILL


Tutto iniziò nel 1985 in una stradina di un quartiere povero della grande e maledetta città degli Angeli. Los Angeles più che un paradiso è un inferno; quei tre ragazzini che si incontravano nei dintorni di Southgate lo sapevano bene, se lo portavano dentro come un'illuminazione. La stessa illuminazione che li colpì alla vista della piccola collina vicino al grande stradone polveroso. Il nome della via: Cypress Avenue. Indizi si sussurrano a bassa voce. Intanto i tre ragazzini continuano a vedersi ed uscire insieme, iniziano a progettare le prime rime ed i primi scratch che vengono improvvisati su una consolle antidiluviana( a quei tempi il nome del gruppo era Devasting Vocal Excellence); tutto ciò non importa, tutto ciò non è limitante. E' la gavetta, la dura gavetta, ed i Cypress Hill la conoscono fin troppo bene.

Come immaginare formazione più eterogenea: Dj Muggs è un italoamericano trapiantato a forza a Los Angeles da New York, Sen Dog è un cubano (fratello di quell'incredibile Mellow Man Ace che mostrò al mondo il rap in spanglish e che lo distribuì a tutti i suoi "hermanos") e B-Real un messicano dalle origini cubane. I tasselli del puzzle sembrano non tornare. Apparentemente. L'alchimia che si viene a creare tra i tre è magica: le scarne produzioni di Muggs (che si affida a notevoli campionamenti funky spesso inframezzati da sonorità tipicamente ispaniche) permettono ai due mc (dai flow notevolmente diversi ma altrettanto caratteristici) di giostrarsi il microfono con la maggior libertà possibile, svincolati da riff pesanti e ripetitivi. E' il 1991, nasce "Cypress Hill" omonimo album d'esordio del trio di Southgate. La produzione spetta alla Columbia-Ruffhouse che, lungimirante, ha intuito al volo le potenzialità del gruppo.

Il primo singolo è "The Phuncky feel one" la cui b-side è "How i could just kill a man", hit underground che colpì il panorama musicale direttamente in volto. La domanda macabra di B-Real (come posso uccidere un uomo?) risuonava ossessiva per le strade di Los Angeles sconvolte da faide tra gang e drive-by shooting. Una colonna sonora involontaria. L'album vende bene ed il nome dei Cypress Hill inizia a girare con sempre più consistenza; canzoni come "Real estate", "Hand on the pump" e "Latin lingo" rimangono impresse nella memoria collettiva (tanto che vengono riproposte live tuttora a più di dieci anni di distanza), ma è la prima traccia "Pigs" a sconvolgere la critica. Pigs, porci, soprannome nemmeno troppo velato per i poliziotti di Los Angeles colpevoli di numerosi episodi di razzismo legati ad un uso del potere che diviene abuso dello stesso.

Passano due anni ad ecco la conferma. La perla: "Black Sunday". Muggs continua a sfornare beat che ora si colorano di sonorità più cupe. Fitte linee di basso che ottenebrano la mente e l'assopiscono, sonorità ossessive, ipnotiche. "I wanna get high" è la colonna sonora di una generazione di stonati (il mondo ancora si chiede il perchè della frase "catch a hoe and another hoe..Merry Christmas!"), "Hits from the bong" la segue e la completa, l'interludio "Legalize it" non necessita di commenti.

Il lato oscuro del disco si risolve in "Cock the hammer", "A to the K" e "Lick a shot", pezzi di una caratura incredibile che verranno ripresi in versione rock nel disco "Live at the Fillmore".
Il periodo è incredibilmente prolifico: live, show, festival. L'ispirazione non manca e si vede soprattutto in studio. 1995 il terzo passo: "III-Temples of Boom". "Who be the one steppin in the room? Everybody welcome to the Temples of Boom!" Recita così la prima traccia di quest'album allucinato che si proietta come ampliamento di "Black Sunday". Le sonorità si fanno più criptiche presagendo la svolta intimistico-simbolica di "IV". Questi templi del Boom sembrano i potetici simulacri dove viene praticato il culto dei Cypress Hill. Come il cipresso sulla collina-cimitero di "Black sunday" anche "III" si affida molto alla grafica. I teschi iniziano a campeggiare sulle copertine e sui manifesti con maggior frequenza; i toni cupi di grigio e blu che descrivono le ipnotiche geometrie dei templi introducono a quello che è considerato uno degli album più allucinati dell'intera produzione dei "tres delinquentes"

"Boom biddy bye bye", "Killafornia", "Locotes", "Illusions"; ogni pezzo suona come un classico irrinunciabile. Su tutti "Throw your set in the air", superba jam-song che conquista le folle e le platee di mezzo mondo. Ma qualcosa si sta rompendo all'interno ed all'esterno di un gruppo che è sempre stato esempio di coesione e distensione. Gli attacchi di Ice Cube alla sua voce (accusata di essere quella di un castrato) ed alla sua persona non sono piaciuti a B-Real che snocciola insulti in rima su "No rest for the wicked" al grido di "Muggs, make it rough!" (Muggs, fallo cattivo!). Ice Cube non si tace e, nel disco della Westside Connection "Bow Down", si proclama "King of the Hill".

Ora i rapporti sono distesi (la partecipazione dei Cypress ad una sua colonna sonora lo dimostra), ma il buon Cube ha proprio colto un granchio incredibile nell'insultare i Cypress Hill: il futuro lenirà le ferite, ma i pezzi di dissing sono tutti li, nel passato, e, per quanto male facciano, non possono fare a meno di ricordare che Cube non ne è uscito a testa alta.
Gli anni che vanno dal 1996 al 1998 sono anni bui. L'alchimia si è rotta.
Solo Muggs sembra tenere le redini del gruppo; nello stesso anno (1996) produce il suo primo disco solista ("Soul Assassins" nel quale mette a disposizione dei migliori mc mondiali i suoi beat)

La Collina si adagia sulle sue incomprensioni.
1998:il mosaico si ricompone. Muggs richiama B-Real e Sen (gli screzi maggiori erano infatti tra le due voci trascinanti) integrandoli con il percussionista Eric Bobo e con Barron Ricks (membro dei Call'o da wild). La cupezza non è svanita, è solo limitata e convogliata in un progetto di ampia portata dal titolo "IV". Quarto album. Sintetico, criptico al limite dell'incommerciabilità. I fan capiscono e gridano al miracolo. Il mondo dell'hip hop viene sconvolto dai beat di Muggs che, per l'occasione, si permette di integrare i suoi campioni a parti suonate con la massima disinvoltura. La copertina è esemplificativa: tre teschi che si coprono gli occhi le orecchie e la bocca. Non c'è più nulla da dire, nulla da vedere e nemmeno da sentire. Solo fidarsi ed adagiarsi alla poltrona in attesa dei Cypress Hill.

Il 1998 consegna al panorama musicale un gruppo rigenerato. L'incredibile massa di proseliti che segue i Cypress Hill nelle continue esibizioni live (massa altamente eterogenea, come il gruppo d'altronde...) si unisce alle folle dei grandi festival. Inizia così una nuova stagione live per i Cypress Hill, una stagione che li vede impegnati prima nello Smoked Out festival e poi nello Smokefest (al fianco di primizie del calibro di Outkast, Rage Against the Machine e Limp Bizkit) manifestazioni che permettono al trio di Southgate di guadagnarsi un'ottima fama anche nel panorama rock.

1999, soffia un'afosa brezza ispanica: "Los grandes exitos en espanol"; Sen Dog e B-Real, forti delle loro radici latine, sentono il bisogno di riproporre i loro pezzi migliori nella lingua che gli ha visti crescere e muovere i primi passi nel mondo del rap: quel "latin lingo funky bilingual" che era già stato ispiratore di un brano omonimo ("Latin lingo" in "Cypress Hill" del 1991). Nasce così "Los grandes exitos en espanol", una specie di greatest hits
un ottimo lavoro, molto curato e ragionato (grazie anche all'aiuto di Mellow Man Ace) e, soprattutto, estremamente fedele ai pezzi originali pur mantenendo quella carica di calore ed innovazione data dal rap in spagnolo (un vero e proprio ritorno alle origini). L'unico pezzo che non viene ritoccato è "Tres equis" (anche questo presente nel primo album) che era già stato inciso completamente in spagnolo; l'ultimo brano, l'unico inedito, è di un'incredibile potenza metrica e sonora: "Siempre peligroso" (che vede la partecipazione di Fermin IV dei Control Machete) è il classico pezzo-pogo che scatena il panico nelle menti assopite.

Come detto in precedenza "Los grandes exitos en espanol" è un disco di transizione. La realizzazione, seppur difficoltosa e certosina, non placa le aspettative feroci dei fans.
Esce "Skull&Bones". Due cd, uno rap classico ed uno rock. Due cd non per la commercializzazione (che si sa, ne risente notevolmente) ma per far capire che la loro anima si divide in due parti imprescindibili e complementari. "Skull side" è, a mio parere, una gemma grezza. Grandi idee, grandi progetti, ma una realizzazione che risente della poca cura e passione. Le basi non incidono particolarmente (anche se pezzi come "Highlife" e "(Rap) Superstar" rimangono dei capolavori) e gli mc sembrano trascinarsi stancamente in attesa di qualcos'altro. In attesa di qualcosa di nuovo. "Bones side": i dubbi si dissipano immediatamente. Una miscela esplosiva di rap-rock che ha il pregio di fondere in se il meglio di entrambi i filoni. Un crossover inestricabile dove la rabbia di Sen e la voce meliflua di B-Real si incastrano alla perfezione. Brad Wilk(batteria): RATM, Christian Olde Wolbers (basso) e Dino Cazaares (chitarra): Fear Factory, Andy Zambrano (chitarra) e Jeremy Fleener (basso): SX-10. Questa volta non ci si è sprecati in quanto ad ospiti, e, con una formazione così, ti senti quasi obbligato a dare il meglio di te.

La nuova carica musicale e compositiva nata dalle sperimentazioni dei Cypress trova la sua dimensione ideale nell'ambito live, settore nel quale i Cypress Hill hanno sempre dimostrato di non avere nulla da imparare anche da gruppi ben più quotati. La nuova line-up per i tour prevede (oltre agli inamovibili Muggs, Sen Dog e B-real) Eric Bobo alle percussioni, Jeremy Fleener ed Andy Zambrano alle chitarre e Franck Mercurio al basso.

Viene alla luce "Live at the Fillmore" (storico locale di S.Francisco) nella duplice veste di album e DVD. E'il primo live-album dei Cypress Hill e devo dire che se ne sentiva tutto il bisogno.
Muggs inizia a lavorare febbrilmente su beat e campioni, vengono contattati diversi musicisti (con il solito zoccolo duro formato dagli SX-10) ed ospiti, si scaldano le voci ed i microfoni: tutto è pronto per "Stoned Raiders". Il singolo trainante è "Lowrider" che ricorda, nelle sonorità spagnoleggianti e nel ritornello musicale, le prime espressioni funk del trio di Southgate, ma non lasciamoci ingannare, "Stoned Raiders" non è un ritorno al passato bensì una riproposizione in chiave moderna delle sonorità che hanno caratterizzato la loro carriera. Pezzi rap tipicamente west coast ("Southland Killers", "L.I.F.E.", "Lowrider") si alternano a jam-song ("Red, Meth & B", "Kronologik"), a brani visionari ("Memories", "Psychodelic vision") ed a incroci rap-rock ("It ain't easy" e la magnifica "Triuble"). La storia del gruppo sembra concentrarsi in 73 minuti densi di musica, 73 minuti di passione e di ricordi; 73 minuti di innovazione.
2002: progetti di transizione in attesa di un nuovo disco; Muggs pubblica "Dust", un disco interamente curato da lui che riprende le sonorità trip-hop espresse assieme a Tricky e le integra con produzioni drum&bass. E' l'ennesima dimostrazione della duttilità di Muggs, un produttore che non ha nulla da invidiare ad altri più famosi e commercializzati. Il 2002 è anche l'anno di "Stash", un breve ep di 6 tracce destinato al mercato statunitense, dove si trovano remix di brani classici come "Illusions", "Throw your set in the air" e "(Rap) Superstar". "Stash" è il preludio, l'attesa; un antipasto che preannuncia un ben più lauto banchetto. Due anni, due anni è il tempo che abbiamo dovuto aspettare per gustarci il "pasto". 2004: "Till death do us part", "Finchè la morte ci darà una parte". Frase sibillina che suona come un manifesto di "eternità musicale". I Cypress Hill sono qui, nel mondo del raap, nel mondo del rock...nel mondo della musica che conta. I Cypress Hill sono qui e lo sono per restare.

giovedì, ottobre 13, 2005

RECENSIONE DELLA SETTIMANA


TITOLO : Mosquito Latino
AUTORE : Bassistinti
GENERE : Ska
ANNO : 2002
PROVENIENZA : Varese (Italia)

Il panorama ska italiano non è affatto male e, se così è, lo dobbiamo anche a gruppi come i BASSISTINTI, capaci di creare una buona miscela di musica giamaicana, bluebeat londinese e ska latino.

Ho sentito per la prima volta MOSQUITO LATINO qualche mese fa (nonostante il lavoro sia datato 2002) e devo dire di essere rimasto ben impressionato: ritmiche veloci, sonorità piacevoli e allegria in tutto l'album.
Un disco che forse non lascia il segno, ma comunque un buon lavoro.
Si inizia con una canzone strumentale, “Rootsgate” una sorta di apripista per la reggaeggiante “Cultureggae” . La title track, “Mosquito Latino” è messa in terza posizione e rimanere fermi nell'ascoltare il suo ritmo incalzante, tipicamente 2tone, è veramente difficile. Qualcuno dice che ricorda troppo la splendida “Doin’Time” nella versione Uptown Dub dei compianti Sublime e forse non ha tutti i torti, visto che, con i suoi fiati, ti trasporta letteralmente su un’assolata spiaggia caraibica...
Si prosegue con “Ska Radio”, un tuffo vero e proprio nell'orignal jamaicano più puro e
“Saluti&Baci” che per sonorità e testo ricorda molto gli Statuto.
L'ascolto è davvero piacevole e lo ska tirato lascia spazio anche a dancehall e ragamuffin, come
nel caso di “Yankee” e "No more", che parlano di politica usando frasi sicuramente già sentite... è certamente difficile trattare certi argomenti, farlo senza essere banali ancora di più, ed è per questo che sono proprio queste due le canzoni che, a mio modo di vedere, fanno scendere un po' il livello del disco.
“Besame mi corazon” ci fa tornare in Jamaica a suon di Soka e Sòn, dando sfoggio delle capacità musicali e di arrangiamento dei sette varesotti. La voce di Mulaska da le giuste vibrazioni e il vecchio suono ska-rock della band sembra aver lasciato definitivamente spazio ad un filone simil-skatalites.
Il ritmo ska latino di "Follow me" sottolinea come, ogni singolo suono sia stato ricercato nella creazione del disco.
"My love" e "More dub" chiudono un disco che si completa con una traccia cd rom.
Tutto sommato un buon lavoro per gli ska boys lombardi, così bravi nel riuscire a mischiare molte influenze musicali, stando attenti a non creare un pastone senza senso. Non è un caso infatti, che undici anni di carriera, li abbiano portati, tra gli altri, a dividere il palco con artisti del calibro di Buju Banton o la New York Ska Jazz Ensamble.
Come dicevo inizialmente, lo ska italiano è una bella realtà e loro ne fanno parte alla grande...

Ale "moneta"

mercoledì, ottobre 12, 2005

HISTORY OF SKA



Come esplicitamente richiesto da un lettore del nostro sito, pubblichiamo i titoli (con relativi interpreti) delle 15 canzoni ska più significative della storia. L'elenco è stato selezionato dai QUATTROASSI e i brani non sono in ordine di "classifica"; un'altra precisazione : per le canzoni scritte da un autore e interpretate da molti personaggi, è stata riportata la versione più bella :

Bad Manners - Sally Brown
Prince Buster - Madness
Peter Tosh and The Skatalites - Shame and Scandal
The Wailers - Hooligan
Madness - One step beyond
Toots and the Maytals - 54 46 that's my number
Madness - Night boat to Cairo
Laurel Aitken - Rudi got married
The Selecter - On my radio
The Specials - Concrete Jungle
The Skatalites - Garden of Love
The Ethiopians - Train to Skaville
Bad Manners - Stop Making Love beside me
Lord Tanamo - I'm in the mood for ska
Madness -
The House of fun

QUATTROASSI fine selecta!

martedì, ottobre 11, 2005

I martiri del rock : JIMI HENDRIX


Jimi Hendrix è stato considerato all’unanimità il più grande chitarrista elettrico di tutti tempi. La sua vita si concluse tragicamente. Era il 18 settembre 1970: Hendrix fu trovato riverso sul letto di una stanza del Samarkand Hotel di Londra, stroncato da una dose eccessiva di barbiturici. Da allora è stato un susseguirsi di omaggi alla sua memoria, ma anche di insinuazioni sulla sua morte, considerata “misteriosa” come un po’ tutte quelle delle rockstar. Intorno al patrimonio di Hendrix si è scatenato un vespaio di beghe legali e di operazioni speculatrici. Come in vita, anche dopo la morte il grande chitarrista nero è stato manipolato da impresari senza scrupoli. Hendrix, infatti, fu uno degli artisti più sfruttati dall'industria discografica, che non esitò a pubblicare tutto ciò che egli aveva suonato. L'ultima uscita, in ordine di tempo, è “The Jimi Hendrix Experience”, un box di hit e inediti assemblato dalla Hendrix Foundation (di fatto il padre di Jimi, Al).

Ma al di là del valore dei suoi dischi (Are You Experienced? ed Electric Ladyland i migliori), il musicista americano segnò la storia del rock inventando un nuovo stile di suonare la chitarra, uno stile vulcanico, che ruppe con la tradizione e aprì nuove frontiere alla sperimentazione sugli strumenti musicali in genere.

Nato il 27 novembre 1942 a Seattle, da un incrocio fra indiani, neri e bianchi, James Marshall Hendrix comincia a suonare la chitarra a undici anni, poco dopo la morte della madre. A 16 lascia la scuola per darsi al vagabondaggio, guadagnandosi da vivere con gruppi di rhythm and blues e di rock'n'roll. Dopo aver prestato servizio militare come paracadutista, a 21 anni si inserisce nel giro dei session-man. Diventa il chitarrista di Little Richard, Wilson Pickett, Tina Turner, King Curtis. Nel 1965 al Greenwich Village forma il suo primo complesso e ottiene un contratto per esibirsi regolarmente. Jimi è già padrone di una tecnica superiore, il blues scorre puro lungo le corde della sua chitarra, ma l'America rapita dal beat è tutta presa dai suoi giovani fenomeni bianchi. La fama del prodigioso chitarrista giunge però alle orecchie di Chas Chandler, ex-Animals, manager a New York in cerca di nuovi talenti. Chandler lo porta con sé a Londra, dove gli procura una sezione ritmica, lo introduce negli ambienti rock e nel colorato mondo del flower-power inglese, propiziando l'amicizia con Donovan. Hendrix conquista l'Europa col blues elettrico, dilaniato e lancinante dei singoli “Hey Joe” e “Purple Haze”, cui fanno seguito un paio di tour, nel corso dei quali l'entourage del chitarrista alimenta l'immagine di Hendrix personaggio mefistofelico, dedito alle più estreme esperienze di droga e sesso. Jimi sta al gioco infiammando le platee con un repertorio coreografico che è diventato parte inestricabile del suo mito: la sua Fender Stratocaster è, di volta in volta, la proiezione del suo membro, oppure compagna di torridi amplessi elettrici, suonata coi denti, i gomiti, gli abiti, strofinata contro l'asta del microfono o contro le casse alla ricerca del feedback più corrosivo.
L'eco delle gesta dell'indemoniato performer giunge così in America. Nel frattempo, nel '67, viene pubblicato Are You Experienced?, primo album della Jimi Hendrix Experience, il trio che il chitarrista ha formato col bassista Noel Redding e il batterista Mitch Mitchell. E' una straordinaria opera prima, che segna il passaggio da un rock-blues ad alto potenziale a una musica magmatica che rincorre la psichedelia arricchendola di richiami all'esoterismo afroamericano ma, soprattutto, di un modo di suonare la chitarra mai visto in passato.

Il punto di partenza è il blues, con cui Hendrix cala nel suo sound lo stesso aroma di zolfo del Delta blues di Robert Johnson, ma utilizzando ogni possibile effetto (distorsioni, delay, wah-wah) e ogni parte del suo corpo (tutta la mimica della mano, del braccio, persino della bocca) per tirar fuori dallo strumento il maggior numero di suoni, voci, timbri, quasi fosse un corpo posseduto da esorcizzare. Con Hendrix, nasceva la moderna chitarra elettrica: non più semplice strumento, ma voce e orchestra al servizio del rock. Si passa così dalla grinta sensuale di “Foxy Lady” al soul viscerale di “Fire”, dall'attacco epilettico di “Manic Depression” alla lunga cavalcata psichedelica di “Third Stone From The Sun”, durante il quale la voce (filtrata e rallentata) mormora parole oscure e la chitarra si impenna in un caos di sibili e vibrazioni, fino all'esplosione finale.

Il festival di Monterey (18 Giugno 1967) è la consacrazione di Hendrix come animale da palcoscenico. Al termine della sua estenuante esibizione (con una versione demoniaca di “Wild thing”), dopo aver dato fuoco alla chitarra, raccoglie un'ovazione interminabile. In breve la sua Fender, simbolo fallico, idolo sacrificale, immolata sull'altare del palco al termine dei suoi concerti, con tanto di roghi e distruzioni selvagge, diventa la più potente icona del rock.

Dopo l’uscita di Axis bold as love, disco più morbido con tenere ballate come “Little Wing”, “Bold as love” e “Castles made of sand”, arriva il terzo album, il doppio Electric ladyland, con il bolgie frenetico di “Crosstown traffic” e le due lunghe jam psichedeliche di “Voodoo Chile” e di “1983”. E’ l’occasione anche per cogliere meglio il senso delle liriche di Hendrix, sempre inquiete ed equivoche, piene di riferimenti alla morte, alla religione, alla magia e al soprannaturale. “I miei testi nascono spesso dai sogni che faccio – aveva raccontato -. Ad esempio ‘Purple Haze’ è la ricostruzione di quando ho sognato di camminare sott’acqua”. E le ballate blues mettono in luce tutta la compostezza del suo canto, che riesce ad essere insieme limpido e lancinante, calmo e sofferto, acido e caldo.

Ma già nel 1968 comincia il declino fisico, morale e artistico di Hendrix. Insorgono i primi dissidi all'interno dell'Experience. E lo stesso chitarrista sembra più dedito agli atteggiamenti provocatori che alla musica. Viene arrestato in Svezia per aver sfasciato una camera d'albergo. L'anno dopo si separa da Chandler. Viene arrestato due volte la prima per teppismo, la seconda per droga. Quindi si trasferisce a New York, dove frequenta le "Black Panther". Ma il palco è ancora il suo regno. Ad agosto, trionfa a Woodstock con una versione tutta distorta dell'inno americano (“Star spangled banner”), con la sua chitarra che imita i bombardamenti del Vietnam.

La sua smania di libertà tracima in eccessi continui. “Sono gentile con le persone finché non cominciano a urlarmi intorno – racconta in un’intervista a Melody Maker -. Qualche volta vorrei mandare al diavolo il mondo, ma non è nella mia natura. Quello che odio è la società di oggi, con le sue relazioni di plastica e i suoi compartimenti stagni. Io rifiuto tutto questo. Nessuno mi ingabbierà mai in una scatola di plastica”. Ma Jimi comincia a sentirsi stritolare dalla macchina del successo di cui lui stesso è stato un docile ingranaggio. E l’angoscia gli cresce dentro. Come scrive il critico Paolo Galori, l’ultimo Henrix è “un musicista solo e visionario, pronto a volare ancora più in alto, fino a bruciarsi le ali, distrutto dagli eccessi nel disperato tentativo di non replicare se stesso di fronte a chi gli chiede prove della sua divinità”. E lui, il suo epitaffio, lo aveva già scritto: "La gente piange se qualcuno muore, ma la persona morta non sta piangendo. Quando morirò voglio che la gente suoni la mia musica, perda il controllo e faccia tutto ciò che vuole”.

Dopo aver formato il primo complesso rock di soli neri, la Band of Gypsies, con Buddy Miles alla batteria e Billy Cox al basso, si esibisce nell’agosto 1970 all'Isola di Wight. Un mese dopo, lo ritrovano morto a Londra, vittima di un’overdose di barbiturici. “Prima o poi doveva succedere”, commenterà laconico Chandler.

Gli afro-americani, che avevano già perso per morte violenta sia l'"apostolo" Martin Luther King, sia il leader del loro orgoglio Malcom X, perdono anche colui che aveva restituito la paternità nera al rock’n’roll. La morte di Hendrix, seguita 16 giorni dopo da quella di Janis Joplin e nove mesi dopo da quella di Jim Morrison, chiude un’era: quella dei raduni oceanici, della contestazione in musica, della psichedelia senza confini, del rock dell’utopia estrema. Addio sogni hippy, addio età dell’Acquario. Gli anni ’70 sono già alle porte, nuovi generi e nuove rockstar sono in arrivo, ma l'eco della chitarra distorta di Hendrix continuerà a risuonare in tutta la musica che da lì in poi ascolteremo.



lunedì, ottobre 10, 2005

opinioni : SUICIDE GIRLS


Interrogati da DIFFERENT MUSIC, i nostri più affezionati lettori ed esperti, si esprimono sul fenomeno SUICIDE GIRLS, queste nuove grupies da 4 soldi, che vanno in giro vestite da punk a spogliarsi di tanto in tanto e fare le zozze coi gruppi più in vista. Loro dicono di essere uno stile di vita, voi cosa ne pensate?e ne viene fuori che... non sono molto amate.
Buona lettura :


ANDRE :
ahahaha c'era un periodo che non si parlava d'altro...
che troie di merda... qualcuna di quelle italiane la conosco pure, bazzicavano, anzi Cazzicavano al bulk.
Tatuaggi, creste, rossetto nero, (s)vestite di borchie e calze a rete strappate... altro che stile di vita, queste lerce cercano di darsi un'attitudine punk-gotica trasgressiva per giustificare la loro lascivia... tuttavia appare subito evidente qual'è il loro vero intento: sbaldraccheggiare in rete per qualche soldo... Tra l'altro, parlando di qualità... di belle fighe ce ne sono, ma molte sono pure dei cessi!!
La cosa che fa più ridere è che su suicidegirls.com (venni in possesso di una password -ovviamente aggratis- qualche anno fa ;)))))... ) oltre a farsi ritrarre nude e anche in pose lesbiche, rilasciano interviste, partecipano a una specie di messageboard con gli sfigati utenti (e paganti) del sito, facendogli rizzare inutilmente il cazzo con discorsi su pompini, sborra e cazzinculo, in modo che costoro pensino che prima o poi potranno conoscere le loro beniamine.
Anzi, le incontrano addirittura, qualcuno mi diceva di aver visto le foto della festa di suicidegirls, in cui questi nerd con i calli sulle mani cercano di provolare le ragazze del sito, ovviamente senza risultati!!
Morale: BBBBBIIIIATCCHH!!!!
le suicidegirls italiche di cui conosco l'esistenza, sempre se non si è aggiunta qualcuna negli ultimi anni, sono:
Aiki, Albertine e Polli

PACO:
Ho sempre apprezzato la filosofia delle groupies, che in sostanza
sono delle troie iperselettive che non si fanno pagare per le loro
prestazioni.
Non ho capito la differenza tra groupies classiche e Suicide Girls
(l'abbigliamento?).
Da piccolo sognavo di diventare rockstar per via delle groupies.
Aiki mi sembra di averla conosciuta da qualche parte, forse bazzica
scienze pol.
Sulla scheda personale, alla voce "favorite films": Natale in
India!!! RESPECT.

SIMONE :
io non le conosco e sul loro sito non mi fanno entrare per motivi
di sicurezza

ALEXIO :
Le Suicide Girls rispondo a quello che è l'adagio più antico del
mondo: la fica paga.
Siccome il consumatore medio di musica alternativa/punk non vuole
sentirsi massificato e complice della corruzione del mondo major
consultando dei sani siti porno come un nerd qualunque, le suicide
girls offrono un'ottima giustificazione per vedere un po' di pelo
senza eccessivi problemi di coscienza.
Personalmente non ne sono mai stato un grand fruitore, per il
semplice motivo che per entrare nel sito si paga, e se proprio devo
trovare delle forme d'entertainment legate alla carnazza, a
distanza di un click su DC++ c'è un mondo di gemiti e spericolate
geometrie anatomiche completamente aggratise.
Vedete voi.

PRESENZA :
Mai nome fu più adatto al contesto...d'altra parte,a cosa può incitare la
vista di quest'orrida umanità se non al suicidio stesso...?
Risultà altresì divertente la loro aspirazione a frequentare certe realtà
con la pretesa di aggiungerci la definizione "musicale",qualità che andrebbe
ristretta ad una cerchia di persone nettamente limitata...
Il loro tentativo di porsi all'attenzione generale sfruttando l'aspetto
esteriore,per di più raccapricciante,e una confusionaria scelta di immagini e
colori rende ancor meno degna di considerazione la loro attività...

CARLETTO :

Probabilmente questa gente non ha la minima idea di cosa sia uno stile di vita...
gli STILI DI VITA,qualunque essi siano, si vivono in strada non su message board,
internet e foto porno.Gia' non capisco che senso abbiano le groupies normali...
figuriamoci queste..

E' la filigrana che spinge..
vorrei approfondire poi questo discorso perche' proprio non ho capito un cazzo...
chi sono queste troie??cosa vogliono fae ..qual'è il loro scopo??chi cazzo sono??
SPIEGATEMI!!!