venerdì, giugno 30, 2006
giovedì, giugno 29, 2006
AXL : ritorno al live, ritorno agli eccessi...
Il ritorno sulla scena del leader dei Guns n' Roses, coincide con il ritorno degli eccessi; questa potrebbe essere una buona notizia a conferma che la vena r'n'r di Axl continua a pompare buon sangue, anche se poi a un'attenta analisi ci si accorge che è Jack Daniels tra i 10 e i 15 gradi centigradi.
Ieri mattina alle 7:52, Rose è stato ammanettato davanti all'albergo di Stoccolma dove avrebbe dovuto riposarsi in vista del concerto di domani sera a Oslo, in Norvegia.
La Polizia ha verbalizzato la seguente situazione: Axl avrebbe iniziato a discutere con una donna davanti l'hotel, la discussione inizia a montare e tra i due parte una rissa, l'addetto alla sicurezza interviene ma Axl lo morde a una gamba (successivamente portato all'ospedale per un anti titanica), poi se la prende con un altro ospite e finisce con il rompere un vetro della hall.
A questo punto la Polizia interviene ma Rose non si calma, lo ammanettano e lo portano in commissariato, ma durante il tragitto diventa ancora più aggressivo e offensivo.
Alle 11:00 di mattina Rose era in cella ancora ubriaco.
Quello che ha preceduto questo finale è normale amministrazione: la band finisce il concerto davanti a 13.000 svedesi impazziti, after-show al Café Opera pieno di bionde richiamate al locale da una pubblicità su richiesta dei Guns.
Axl arriva con un'ora di ritardo, si accomoda in mezzo a una manciata di donne, si accende una sigaretta ignorando il divieto e il suo tavolo viene invaso da Jack Daniels tra i 10 e 15 gradi, altra sua richiesta.
Secondo alcuni presenti, Axl era in ottima forma, felice, allegro, divertito: “Ballava e beveva circondato da donne” ha confermato una presentatrice TV svedese.
In un'altra notizia si apprende che del concerto svedese non esistono scatti professionali a causa del boicottaggio dei fotografi, scaturito da una bizzarra richiesta di Rose in persona il quale desiderava che i diritti di ogni scatto del concerto appartenessero al management dei Guns.
mercoledì, giugno 28, 2006
SICK OF IT ALL : OLD SCHOOL HARDCORE
In corrispondenza dell'uscita di Death to Tyrans, ultima fatica discografica dei Sick Of It All, raccontiamo la storia di una delle band piu' storiche del panorama HC newyorkese.
Provenienti dal quartiere di Queens a New York City, i Sick Of It All vennero formati dai componenti di due band del posto, gli Straight Ahead, ed i Rest In Pieces, entrambi comprendenti Majidi e l'attuale bassista dei Sick Of It All Craig Setari. Majidi entò a far parte del gruppo dei fratelli Koller e Rich Cipriano per registrare il demo dei Sick Of It All del 1986. La band cominciò a suonare le domeniche pomeriggio al CBGB's, condividendo, occasionalmente, il palco cogli Straight Ahead o i Rest In Pieces, e poco dopo pubblicarono un primo 7" omonimo per la Revelation Records (che venne poi ripubblicato per il decimo anniversario nel 1997).
Il gruppo rilasciò il primo album, Blood, Sweat And No Tears, per la Relativity Records nel 1989, e divenne rapidamente un classico dell'hardcore. Il successivo e leggendario Just Look Around, pubblicato nel 1992, confermò i Sick Of It All come i portabandiera della nuova scena hardcore. In seguito attraversarono l'Europa ed il Giappone con un tour. Ebbero poi un significativo cambio di line-up e la possibilità di firmare un contratto per una major.
Nonostante l'epoca mostrava i successi commerciali di band più facili all'ascolto come Rancid e The Offspring, i Sick Of It All pubblicarono il loro disco più pesante per la major EastWest Records; il disco si intitolava Scratch The Surface. L'album fu una critica violenta a chi voleva costringere la band a spostarsi su territori più commerciali. Il gruppo trovò anche il tempo di registrare l'ironico video "Step Down" , una parodia della musica da discoteca in cui la band mostrò un grande senso dell'umorismo. Il disco fu anche il primo con il bassista Craig Setari (Straight Ahead, Rest In Pieces, Youth of Today e Agnostic Front) che rimpiazzò Rich Cipriano nel 1993.
Nel dicembre del 1992, uno studente psicolabile che indossava una maglietta dei Sick Of It All sparò e uccise due persone e ne ferì diverse altre in una scuola del Massachusetts. Per questo motivo il gruppo venne criticato da alcuni media ed alcune associazioni conservatrici per istigare alla violenza.
Il successo di Scratch The Surface, comunque, li fece partire per un tour mondiale che terminò solo nel 1997, quando venne pubblicato il secondo disco per la EastWest , Built To Last. Più ispirato alla scena punk rispetto ai predecessori, il disco non fu un grande successo e sancì la fine dei rapporti con la EastWest.
Nel 1998, i Sick Of It All firmarono per l'etichetta indipendente Fat Wreck Chords, di proprietà del cantante dei NOFX Fat Mike. Dopo la pubblicazione del singolo "Potential For A Fall" venne rilasciato il disco Call To Arms che tornò al loro stile tradizionale e li riportò alla ribalta.
Meno acclamato dalla critica fu il successivo Yours Truly. Il pubblico non gradì molto le innovazioni progressiste nello stile, ed il cantante Lou Koller ha recentemente dichiarato che l'album non ebbe grande successo anche a causa della copertina poco attraente per quel tipo di pubblico
Nel 2001 i Sick Of It All pubblicarono il loro classico home video The Story So Far, e l'anno dopo un live, Live In A Dive. Il disco presentava canzoni di tutta la carriera del gruppo, mostrando un'incredibile energia ed intensità.
Nel 2003 i Sick Of It All pubblicarono il loro settimo studio album, Life on the Ropes. Fu un altro ritorno alle origini. Nel 2004 il gruppo rilasciò un album di b-sides, cover e inediti intitolato Outtakes For The Outcas
All'inizio del 2005 i Sick Of It All firmarono per l'etichetta metal/hardcore Abacus Recordings per registrare il seguito di Life On The Ropes. Il nuovo album, intitolato Death To Tyrants, è stato annunciato come un passo avanti per l'hardcore tutto e verrà pubblicato nel 2006.
DISCOGRAFIA :
Sick Of It All EP (1987)
Blood, Sweat and No Tears (1989)
We Stand Alone (1991)
Just Look Around (1992)
Scratch the Surface (1994)
Live in a World Full of Hate (1995)
Spreading the Hardcore Reality (1995)
Built To Last (1997)
Potential for a Fall (1998)
Call to Arms (1999)
Yours Truly (2000)
The Story So Far (2001)
Live in a Dive (2002)
Life on the Ropes (2003)
Outtakes For The Outcast (2004)
Death to Tyrants (2006)
martedì, giugno 27, 2006
LIVE MUSIC A RIFO!
La festa di liberazione, Rifo! È arrivata al dodicesimo anno di attività, quest’anno lo spazio giovani è lieto di presentare i concerti che ci saranno nelle oltre tre settimane di festa, dal 22 giugno fino al 17 luglio. I concerti sono iniziati settimana scorsa, il pubblico è accorso numeroso, ma siamo solo all'inizio.
Per arrivare al festival MM1 Lampugnano, nell’area che va dalla fermata della metropolitana fino al parcheggio e al Mazdapalace in cui ci saranno i concerti più grossi. I concerti allo spazio giovani quest’anno non saranno da meno di quelli del mazda: gruppi nostrani oramai storici come Gli Assalti Frontali, gli arsenico, i Mesas, i Decrew, gli Unicamista, ospiti stranieri come Elvis jackson la storica ska,reggae, punk,patchanka,metal band slovena che terrà un concerto fantastico come è stata la loro ultima apparizione Milanese al rock in idro, Gli Hdnx e i Lost found broken impegnati nei loro tour europei e l’orchestra di strada du vetex, orchestra fiamminga che farà una performance itinerante……
Ecco i prossimi appuntamenti...
Martedì 27:
Mesas (Stoner)
Corni Petar (rock)
Mai moon (grunge)
Mercoledì 28:
orchestre international du vetex (patchanka a fiati belgio/francia)
giovedì 29:
Unicamista (patchanka presentazione full lenght)
Venerdi 30:
Elvis jackson (Skacore herpes , slovenia)
Gettingrey (spaghetti hc)
Sabato 1 luglio:
HDNX (melodic Hc, Austria)
Daylightseventimes (postcore)
Low-f (pop punk)
Domenica 2 luglio
The jerrinez ( noise)
Rumori dal fondo (alternative rock)
Lunedì 3 luglio
Lostfoundbroken (scremo uk)
Seven Jay (power pop)
Proto k distillery (pop punk)
Giovedi 6 luglio:
Dieci meno nove (ska rocksteady)
Born in orn (grunge)
L’age d’or (tecno punk)
Venerdi 7
Bovina reggae foundation (reggae)
Cool sound machine (dub)
Sabato 8:
Decrew (Milano hc)
Arsenico (Torino hc)
Sde (punkrockexpress)
Domenica 9:
Ayuhara (indie)
Egonauta (Indie)
Ancore un fuois (indie)
Lunedì 10:
Bredford (Melodic hc)
Antijapriot (funkycore)
Vithra (punkrock)
Mercoledi 12 :
Monopolio di stato (reggae, folk, rock italiano)
Psicorsonica (rock italiano)
Giovedì 13 :
Killanation (tecno punk)
Morkobot (psycorock sperimentale)
Singingbeforefuckingmagda (Noise e campioni)
Venerdi 14:
Fratellicalafuria (indie)
Il marchese (stoner)
Sabato 15: rassegna finale con aperitivo popolare e specialità alcoliche
Dalle 17:
The Unders (skametal)
Garretti (postcore Venezia)
Toxic tuna (skareggae)
Red Ants Revolution Army (Urban Riot)
Ragasirifa (ska rocksteady)
Benzodiazepine (funkymetal)
Relaypse (metal)
Lunedi 17: festa di fine festa
Quattroassi sound system
Bravi ragazzi
lunedì, giugno 26, 2006
DISCHI CHE HANNO FATTO LA STORIA
Se qualcuno volesse sapere che cos'è il punk, ci sono alcuni dischi che dovrebbe assolutamente ascoltare e "Never Mind The Bollocks… Here's The Sex Pistols" dovrebbe essere il cima alla lista. Il merito principale dei Sex Pistols con il loro unico vero Lp è stato, infatti, quello di fotografare perfettamente un'epoca, quella del "punk 1977", di rappresentare con grande lucidità (incredibile per un gruppo di ragazzi di strada messi insieme da un manager furbo e arrivista) un momento preciso del rock e diventarne il fulcro, il momento in cui è stato definitivamente abbattuto quello che ormai era diventato un colosso d'argilla per ricostruire al suo posto il nulla o il tutto a seconda dei punti di vista. "Never Mind The Bollocks", anche con la sua lunga e avventurosa genesi, ha reso evidente e innegabile che nulla sarebbe più stato lo stesso. Questo disco può essere contestato perché suonato in modo elementare, perché schifosamente nichilista e incosciente, oppure viceversa perché rappresenta anche (ma non solo) l'aspetto commerciale di un movimento che voleva essere anti-tutto per eccellenza, ma comunque non può essere ignorato. Non si può negare che abbia definitivamente portato tutto ciò che il punk voleva dire e fare a un punto di non ritorno. Chi odia "Never Mind The Bollocks" fa il suo gioco esattamente come chi lo ama: non c'è via di scampo, da questo disco bisogna passarci per forza.
I Sex Pistols fecero tutto, compreso farsi manovrare da McLaren, con l'incoscienza dei vent'anni, con la furia cieca di chi non aveva niente da perdere, proprio come i giovani della Gran Bretagna in crisi nera, economica e morale, della seconda metà degli anni 70. I canoni rock consolidatisi a partire dalla fine degli anni 60 non avevano più niente da dire a chi si trovava disoccupato, senza prospettive, senza un soldo, senza una guida e dunque anche senza più miti illusori. Era il 1976, musicalmente c'era stata una calcificazione di stilemi precipitata in brevissimo tempo: nel progressive, ormai salvo rare eccezioni in una fase d'agonia, fatta di masturbazioni strumentali e drammatica carenza di idee, sempre le stesse e ripetute all'infinito, nell'hard-rock, ormai pomposo, nel folk-rock arrivato alla vecchiaia, nella psichedelia ormai anch'essa integrata, nel pop ormai depotenziato in colonna sonora del sabato sera fighetto. Le raffinatezze strumentali e liriche suonavano tanto vuote e irritanti per quella gioventù allo sbando come uno spruzzo d'acido negli occhi, e quindi cosa fare? L'abbattimento degli idoli, o meglio il loro totale rifiuto, il non-riconoscersi in essi in quanto ormai troppo sideralmente lontani, era quanto di più naturale potesse esservi. Però cosa mettere al loro posto? La risposta fu il nulla, il puro e semplice rifiuto, disgusto, schifo e vomito per tutto ciò che i "grandi", ossia gli ex-giovani ormai imborghesiti (esattamente come coloro che un tempo avevano contestato) ascoltavano e veneravano. La perfetta colonna sonora di quel disgusto erano le nuove sonorità che venivano da oltreoceano: distorte, squadrate e veloci, dirette come un pugno quanto le altre erano ormai vuote e sfiancate.
Rifiuto e disgusto, dunque, il punk era tutto questo e in una situazione simile lo sbocco naturale non poteva essere che questo. Gli hippy del flower power avevano clamorosamente fallito nel tentare di cambiare il sistema, non restava che abbatterlo, almeno in parole e musica. Chi poteva offrire una prospettiva di ribellione immediata sia pur velleitaria a chi si trovava a vivere in quartieri devastati dall'abbandono e dalla disoccupazione? Le rockstar che si rigiravano nei miliardi proponendo virtuosismi strumentali che nessuno di quei ragazzi avrebbe potuto riprodurre, se non con secoli di studio, e raccontavano di folletti e mondi di fantasia? Certamente no, l'urgenza di gridare la realtà e abbattere quello stato di cose era terribilmente immediata. Quindi il punk fece quello che c'era da fare: rifiutare tutto il passato recente, tornare all'elementarità del ritmo, degli accordi e dello "sfogo" del rock and roll. Qualcosa che chiunque con il minimo del minimo di capacità potesse usare per urlare la propria rabbia.
"Never Mind the Bollocks" riassume in sé l'essenza di quello "sfogo": fondamentalmente fine a se stesso, insensato ma vivo e vibrante. Un grido infantile e anarchico frutto della presa di coscienza per l'assenza di prospettive, che si coglie nelle sue parole d'ordine: Nessun futuro! Nessun sentimento! Anarchia!
La stessa voce di Johnny Rotten è isterica, bambinesca e canzonatoria, una vera caricatura. I potenti riff chitarristici sono elementari per il disgusto di chi invece ammirava le ricercatezze strumentali, la batteria è sbattuta più che suonata, il basso è puramente ritmico.
Sì, direte voi, ma non sono mica stati i primi! Vero, non erano i primi e non erano certo gli unici, altri avevano suonato e stavano suonando in maniera elementare, ma con quintali di idee e di cose da dire. Non solo, ma una linea di rock più grezzo e diretto era sempre sopravvissuta più o meno sottotraccia: per citare alcuni più famosi, certi Rolling Stones, gli Stooges, i Kinks. E dunque? Dunque in "Never Mind The Bollocks" c'è il paradigma di tutto ciò, c'è appunto la sintesi di quello che il punk andava non-predicando nel momento della sua massima esplosione, sia musicalmente che a livello di testi: "I am an Antichrist, I am an anarchist/ Don't know what I want but I know how to get it" ("Io sono un Anticristo, Io sono un anarchico/ Non so cosa voglio ma so come ottenerlo").
Ed è già detto tutto Eccola la fotografia. Una capacità di sintesi davvero rara nel dichiarare i propri intenti, che poi erano appunto quelli di tutto il punk in quel 1977 di rivoluzione musicale. Non solo, ma la rivoluzione, come detto, era anche sociale: si aveva davvero paura di questi anarchici incomprensibili e pazzoidi. "Never Mind The Bollocks" già dalle sue prime due parole "I don't" = Io NON, grida il suo rifiuto e lo ripete lungo tutte le sue 12 tracce, si fa così portabandiera di un movimento senza più bandiere. I Sex Pistols sbattono in faccia al mondo il loro no a tutto, il loro essere elementari e volgari, il loro essere "la grande truffa del rock and roll", il loro "non saper suonare" e soprattutto di tutto questo se ne sbattono le palle.
Come accennato, sebbene fosse sostanzialmente pronto fin da molto prima dell'uscita, il disco ebbe una gestazione estremamente travagliata. I Pistols, già strafamosi in Inghilterra, si accasarono alla Emi, che però dopo i primi 45 giri - che pure schizzarono in testa alle vendite - preferì rompere il contratto appena sottoscritto pagando come penale fior di quattrini a vuoto alla band (e al suo manager) piuttosto che avere a che fare con le loro uscite sempre più gratuitamente provocatorie. Lo stesso fece subito dopo la A&M, senza nemmeno far pubblicare loro alcunché. Il gruppo produceva singoli oltraggiosi per le istituzioni britanniche e per tutti i perbenisti, i quali regolarmente devastavano le classifiche a dispetto di tutti i boicottaggi e le censure, nell'anno del giubileo si prendevano gioco della Regina (e rincaravano: "Non è un essere umano"), giravano per il quartiere ebraico di Londra esibendo magliette con la svastica, insultavano in diretta conduttori televisivi, si facevano arrestare e si facevano odiare, e tutto questo era acqua data a fiumi a una gioventù sottoproletaria inglese assetata di qualunque cosa fosse "anti". Erano di fatto ingestibili.
Probabilmente, checché ne dica McLaren, sfuggirono di mano persino al loro creatore, che tentava disperatamente di imbrigliarli di nuovo; non per nulla Rotten gli dedicherà la schifata "Liar" (bugiardo). L'album sembrava non dover mai vedere la luce e invece fu la Virgin a prendersi coraggiosamente in carico quei pazzi e a pubblicare finalmente quella che ormai era poco più di una raccolta dei singoli fulminati e fulminanti che i Pistols avevano sparato fino a quel momento, con qualche "perla" in più come la sarcastica "E.M.I. Unlimited Edition", dedicata a ovviamente all'etichetta che si meritava tutto il loro (e il nostro) disgusto.
Il disco, sebbene forse ripulito troppo in fase di missaggio, dal punto di vista musicale è duro e tagliente, perfettamente prodotto, tanto che sebbene abbia praticamente gli stessi suoni per tutta la sua durata, riesce a essere incredibilmente vivo dall'inizio alla fine. I riff grandiosi e ignoranti si susseguono uno dopo l'altro come schiaffi in una rissa e sembra di avere Rotten davanti che ci spara in faccia la sua risata satanica all'inizio di "Anarchy In The Uk", che ci spernacchia o che, con gli occhi spalancati e l'aria di essere appena uscito da una seduta di elettroshock, gioca a fare il bambino che pesta i piedi. Gli assolo di chitarra sono ridotti al lumicino come si conviene a un disco punk della prima ora, sebbene la chitarra distorta e suonata con semplici accordi sventagli costantemente su tutto; le rullate di batteria sono rabbiose e brevi mitragliate d'avvertimento; il "canto" arrabbiato non ha pietà nemmeno per le regole linguistiche. Comunque non è del tutto vero che i Sex Pistols non sapessero affatto suonare, questa è una leggenda diffusa dai loro nemici della sponda "raffinata" e da Malcom McLaren, nonché derivata dalla sciagurata assunzione di Sid Vicious. Il gruppo è perfettamente compatto e la sezione ritmica sa certamente il fatto suo; Rotten si "incastra" perfettamente nel gioco, la sua voce aspra e storpiata dallo slang e dai difetti di pronuncia è perfetta per la situazione. Certo, paragonato agli arpeggi delicati dei mastodonti rock del tempo tutto ciò sembrava orrendo ma… "We like noise it's our choice/ If's what we wanna do/ We don't care about long hair" ("Ci piace il rumore, è la nostra scelta/ Se è ciò che vogliamo /Ce ne freghiamo dei capelli lunghi").
Ci sono il livore, l'isteria rabbiosa ma anche una magnifica lucidità dei testi nel mettere alla berlina le artritiche vestigia inglesi, ma non solo, senza rispetto per niente e nessuno. A partire dalla ferale marcia militare con cui inizia "Holidays In The Sun", non ci sono momenti di pausa in questa corsa a perdifiato verso il nulla. In mezzo a al delirio di materiale da pogo all'ultimo sangue (titoli divenuti ormai inni come "No Feelings", "God Save The Queen", "Problems", "Anarcky In Uk", "Submission"), i Pistols si permettono anche un accenno di reggae-rock e di chitarra Keith Richards-oriented in "New York", producono cori malati e scordati in "Bodies", si fanno beffe persino della disoccupazione dilagante in "Pretty Vacant": "We're so pretty, oh so pretty!/ Vacant/ But now…/ And we don't care!" ("Siamo così carinamente, oh così carinamente/ Disoccupati/ ma ora.../ Non ce ne importa!") o dell'aborto - prendendo però inaspettatamente posizione contro - nella stessa "Bodies": "Body screaming, fucking bloody mess/ It's not an animal, it's an abortion" ("Corpo urlante, fottuto schifo sanguinolento/ Non è un animale, è un aborto"). Poi, naturalmente, c'è il famoso "No Future", divenuto addirittura sinonimo di "punk". E mucchi di amenità simili. Questo è il disco meno scontato e più antiretorico della storia del rock.
Cosa è rimasto di "Never Mind The Bollocks" e di tutti i singoli che lo precedettero e lo compongono? Tantissimo, se si pensa che questo disco, certo insieme ad altri e persino meno innovativo di altri, ha fatto definitivamente esplodere il fenomeno punk in tutto il mondo, quindi è stato tra i principali artefici di quella piazza pulita che nel 1977 travolse gli standard universalmente accettati di cosa fosse il rock spalancando così la porta a mille fermenti che di lì a subito diedero vita a quella che fu chiamata new wave, e ancora se pensiamo che è stato forse la principale influenza che ha portato alla nascita dell'hardcore, che a sua volta ha tenuto in vita lo spirito e l'attitudine punk e ha fruttato capolavori altrimenti difficilmente immaginabili. Ma ancora l'oltraggiosità dei Sex Pistols e l'essenzialità di quest'album saranno punti di riferimento importanti per la rinascita del rock farcito di punk a partire dalla seconda metà degli anni 80. La sua influenza si avverte ancora oggi.
Il gruppo oltre a questo disco non produsse praticamente nient'altro, travolto dalle liti, dalla stupida sostituzione dell'ispirato Glen Matlock con il delirante Sid Vicious (che pure qui compare in alcune tracce) e dalla loro stessa incoscienza. Questo disco pertanto E' i Sex Pistols. Bruciarono in fretta come le loro canzoni, come lo stesso punk 1977 duro e puro, e anche in questo sono stati esemplari del fenomeno.
Frank Zappa ebbe ad affermare: "I punk dicono: Ok, noi suoniamo distorto e veloce e allora? Ecco, a me piace quel: e allora?". "Never Mind The Bollocks" è appunto un gigantesco: "E allora?".
venerdì, giugno 23, 2006
RECENSIONE DELLA SETTIMANA
TITOLO : Rebels & Revels
AUTORE : Los fastidios
ANNO : 2006
GENERE : Street punk / oi!
PROVENIENZA : Verona (ITA)
Arriva il nuovo album di una della band italiane più amate sia in Italia che a livello europeo, i veronesi Los Fastidios; non certo un gruppo qualunque, vantando all'attivo quindici anni di carriera ed oltre dieci dischi, tra EP ed album propriamente detti. Fedeli sin dagli esordi alla loro filosofia, i Los Fastidios propongono un sound che parte dalle sonorità oi! punk degli anni '80 e si lascia contornare da punk rock, ska, hardcore e testi sempre a sfondo sociale, sempre dalla parte dei più deboli, siano essi disoccupati, emarginati o animali; una filosofia che ha portato il gruppo veneto a diventare tra i più apprezzati del genere.
La sua ultima fatica, "Rebels'n'Revels", è un disco contenente tredici brani edito K.O.B. Records, etichetta fondata dal cantante della band stessa, Enrico De Angelis. Essendo attivi da parecchi anni, è naturale che nel corso della loro carriera siano avvenuti alcuni cambiamenti dalla formazione originale, ed anche prima dell'uscita di questo disco non sono mancate variazioni; infatti, solo poco prima delle sue registrazioni, hanno abbandonato il gruppo i due chitarristi Denni e Paolino, rispettivamente sostituiti da Silverio e Murky.
Ciò non sembra comunque avere minimamente intaccato l'approccio compositivo del gruppo, che produce un lavoro tipicamente alla Los Fastidios, ricco di rabbia, cuore e ribellione. Al suo interno vengono toccati svariati argomenti, che vanno dall'esternazione di solidarietà verso l'attaccante del Livorno Cristiano Lucarelli, noto sia per le sue doti calcistiche che per le sue chiare idee politiche di sinistra ("Un Calcio Ad Un Pallone") al precariato che uccide molti cittadini ("St. Precario Day"), passando anche per il tema che nelle liriche del gruppo non manca mai, la vita di strada ("Scuola Di Strada"). Già in passato i Los Fastidios avevano abituato ad episodi cantati non in italiano, cimentandosi in lingue come spagnolo o francese, ed in questo disco ripetono l'esperienza con brani come quello d'apertura "Always With a Beer In My Hand" e "Buscando El Sol", interpretati rispettivamente in inglese ed in spagnolo.
Una freccia nel loro arco è sempre stata rappresentata dall'indubbia capacità di sapere svariare da uno stile ad un altro, prodigandosi in "Rebels'n'Revels" in maniera eccellente anche con lo ska in "3 Tone" o con un punk rock fedele agli anni '80 in "Non Vedi, Non Senti, Non Pensi". Insomma, ancora una volta va fatto plauso alle doti camaleontiche della formazione veneta. L'album si chiude con "Buscando El Sol", un pezzo di apprezzabilissimo hardcore melodico scritto appositamente per i Los Fastidios da Filippo Andreani, voce e chitarra degli Atarassia Gröp, altra band nota per la sua fedeltà agli stessi valori del gruppo veronese.
Un disco dei Los Fastidios è da sempre sinonimo garanzia, ed anche "Rebels'n'Revels" sicuramente non deluderà gli ascoltatori più fedeli; anzi, rispetto ai lavori precedenti qui si ritrovano dei Los Fastidios più maturi, sia dal punto di vista stilistico che strumentale e compositivo, soprattutto sul lato lirico, con testi sì di protesta, ma allo stesso tempo costruttivi, ideati con l'intento di fare riflettere chi ascolta. I cinque veneti inseriscono quindi un altro tassello nella loro invidiabile carriera musicale, dando alle stampe un lavoro che sicuramente li confermerà come una delle formazioni di punta della scena europea nel genere. A chi ama la scena punk italiana il consiglio è l'ascolto immediato.
PAOLO DI BENEDETTO
giovedì, giugno 22, 2006
LIVE REPORT : Heineken Jammin' festival 2006 (sabato)
Inizio chiedendo venia per non poter dire niente sull’esibizione dei Trivium, visto che appena scesi dalla macchina sentiamo Matt ringraziare il pubblico!
Stessa cosa per i Living Things visti di sfuggita nei monitor della sala stampa e l’unica cosa che ho capito è che i ragazzi sul palco (e anche sotto visto che non satavano fermi un minuto) si sono divertiti molto e hanno offerto uno spettacolo rock al 100%.
Sulla qualità della loro proposta ci aggiorniamo in una eventuale recensione del loro album.
Dei Lacuna Coil invece posso spendere qualche parola in più. In pratica riesco a vedermi le ultime tre canzoni del loro set sempre in sala stampa e devo dire che i ragazzi milanesi mi hanno impressionato per la sicurezza con la quale sono stati on stage!
Cristina e Andrea sembrano ormai sicuri dei propri mezzi e dei propri ruoli e il tutto funziona a meraviglia. Peccato non essere riusciti a gustarseli per intero ma ci sarà tempo e modo a Settembre durante il loro tour italiano.
Finalmente (ma a malincuore...) abbandoniamo la lussuriosa sala stampa ed entriamo nell’"arena". Per prima cosa facciamo una capatina al secondo palco dove stanno finendo (e te pareva!) il loro set i Linea 77. Facciamo in tempo ad ascoltare gli ultimi due pezzi che sono come (quasi) sempre eseguiti alla perfezione. Peccato che quando i due cantanti aprono la bocca far un pezzo e l’altro è impossibile non notare un’arroganza che non si capisce bene da dove viene fuori. Ma che cazzo vi è successo??? Bah..
Entriamo nell’area del main stage e finalmente ci godiamo il primo vero concerto della nostra giornata.
Gli Avenged Sevenfold (7) mi hanno veramente stupito: molto bravi tecnicamente, on stage ci stanno a meraviglia, sfornano una "Beast and the Harlot" clamorosa e una "Walk" (by Pantera) che scatena il putiferio! Bravi!
Piccola delusione invece per i The Darkness (6). Piccola perchè dalla band inglese non mi aspettavo in effetti molto. Però la loro esibizione mi ha lasciato un pò di amaro in bocca perchè come gruppo in se non sono affatto male, le canzoni le hanno... e allora perchè giocare a fare i Queen e la cover band degli Ac/Dc?? Voglio dire, è vero che all’attacco del 90% dei loro pezzi ti viene da pensare "ma sto riff non è degli ac-dc?"!
Ma la cosa diventa ridicola quando... beh cazzo suonano proprio l’immortale "Highway to Hell" e subito dopo l’intro di "Tunderstruck"!! Peccato perchè quando suonano i loro pezzi più famosi lo show ingrana anche se le pause tra un pezzo e l’altro ammosciano parecchio.
Rimandati. Arriva quindi la discussa pausa partita (partita di m***a tra l’altro!) ma l’attesa è tutta per i quattro di San Francisco!!
Immensi, letteralmente immensi i Metallica (9). L’intro con la citazione de "Il Buono, Il Brutto e il Cattivo" con i monitor che mostrano il capolavoro di Sergio Leone nella scena in cui Il Brutto-Eli Wallach vaga per le tombe è da pelle d’oca.
L’attacco dei ’Tallica con "Creeping Death" invece è da infarto e da brividi ovunque, non nascondo di aver avuto la pelle d’oca sul serio! Poi i nostri (James più che altro) saluta tutti e dice di essere molto contento di suonare ancora una volta a Imola e giù con "Fuel", unico pezzo tratto dagli ultimi tre album, e "Wherever I May Roam".
Brividi anche per "The Unforgiven" anche se James qua incappa in qualche piccola imprecisione, prima alla chitarra e poi alla voce, ma sono dettagli!!
Anche perchè l’intera, e perfetta, esecuzione di "Master of Puppets" (non prima dell’esecuzione di una nuova song, già conosciuta e pare gradita dal pubblico: suona molto alla "St.Anger", cattivissimo riff iniziale, break clamorosi prima dei ritornelli ma mi sembra un pò troppo lunga e ripetitiva...) fa perdonare qualsiasi cosa ai Metallica! Dalla iniziale "Battery" fino a "Damage, INC" è un brivido e un headbanging continuo: da notare una esecuzione assolutamente perfetta in ogni canzone, una cosa che mi lascia ancora adesso a bocca aperta! Bellissima "Orion" dove James presenta ovviamente Robert Trujillo (buona prestazione, un paio di mosse mica male con il basso!) e dopo una esecuzione da 10 e lode sempre il buon James ringrazia tutti e conclude con un "And god bless Cliff Burton". Alla fine di "MOP" compare una foto di Cliff sugli schermi e un sentito applauso liberatorio scuote l’intero Heineken!
Spazio quindi ai grandi classici extra "MOP" dei Metallica: "Sad But True" e "Nothing Else Matters" dal Black Album, una incredibile esecuzione di "One" (preceduta da scoppie e fiammate) che valeva da sola il prezzo del biglietto. E si conclude il concerto pescando ancora dal Black Album con "Enter Sandman". Si conclude? Eh no, può mancare "Seek and Destroy"? Sicuramente no! Grande James che dedica questa canzone a tutte le band del festival ma con maestria chiede al pubblico di far capire "per chi siete venuti stasera" :)
Ah, dimenticavo di citare una velocissima "Last Caress" prima della celebre "Seek.."! Concerto immenso per una band immensa, poche palle!
E mentre sfruttiamo per l’ultima volta i nostri privilegi tagliando per il paddock risparmiando un 30 minuti di camminata per raggiungere il parcheggio (dei rave party sulla riva del Santerno in cui ci siamo trovati vi racconterò in privato...) arrivo alla conclusione che ben poche band possono permettersi uno show come quello dei Metallica.
PAOLONE radio sherwood
mercoledì, giugno 21, 2006
SLIPKNOT : al lavoro dopo l'estate!
Novità in casa SLIPKNOT : la band entrerà in studio dopo l’estate per registrare il nuovo set. Mick Thomson ha rivelato: “Stiamo per tornare insieme per lavorare a nuovo materiale. Nei prossimo mesi cominceremo il processo creativo del nuovo disco. Ho dialogato con Paul , il lavoro procederà lentamente senza pressioni esterne o deadline da rispettare...”
La band mascherata dell'Iowa attualmente, sta lavorando a un nuovo DVD, seguito di "Disasterpieces" del 2002. "Sarà diverso dal precedente", ha detto il chitarrita Mick Thomson, "Non sarà solo il video di un concerto, ma avrà un'impostazione più documentaristica e personale. Sarà molto più divertente". La release è prevista entro la fine dell'anno.
lunedì, giugno 19, 2006
THE ORIGINAL SOUNDTRACK
Rieccoci alla rubrica di DIFFERENTMUSIC dedicata alle colonne sonore.
Il film di oggi è piuttosto recente e abbastanza particolare, come lo è, del resto, la sua colonna sonora : THE FOOTBALL FACTORY.
Basato sul best seller di John King, The football factory è un film che parla di middle England, di violenza da stadio e di cultura maschile, ruotando attorno alle vicende di un annoiato giovane londinese dai vestiti impeccabili e dalla parlata cockney. Nick Love sostiene che il suo lavoro sia un'icona, un emblema del nostro tempo e che, in particolare, sia una storia attraverso la quale la gente dica quello che di solito ha paura di dire (oltre ad essere un'indiretta critica all'"era Blaire). Un film sul football e di hoolygangs, ma il footoball non si vede; questo perché si tratta, piu in generale, di un film sulla violenza quella gratuita, inutile, folle che puo scaturire da una miccia qualsiasi, una violenza figlia della frustrazione, della noia e della rabbia verso il Sistema; una violenza che dà scariche di adrenalina e ti fa sentire onnipotente.
Non c'è approfondimento sociologico, in questo racconto della realtà vista con gli occhi del protagonista - non c'è neanche l'approfondimento psicologico; cè, invece, tanta musica che pompa e sottolinea l'incubo di giovani vite sprecate dietro ai loro violenti ideali.
La COLONNA SONORA merita senza dubbio un discorso approfondito : esistono infatti due versioni delle musiche che accompagnano la pellicola, la prima è quella ufficiale, uscita nelle sale cinematografiche e, in versione cd, in tutti i negozi di dischi. E' una soundtrack all'insegna della dance e della musica elettronica in generale, che scova nei meandri della techno, della house e della jungle, arrivando, in alcune situazioni ad essere realmente estrema, rendendo bene l'idea dell'angoscia e delle fobie interiori di cui è spesso vittima il protagonista Tommy Johnson. Il compact disc, uscito per la Universal/Vertigo e recante una copertina molto simile a quella del dvd, si apre con What a Waster, perzzo ultraelettronico, nel quale il protagonista introduce il pubblico, preparandolo a quello che vedrà e, giustificando a suo modo le violenze di cui si rendono responsabili al sabato pomeriggio, in occasione delle partite del loro Chelsea. Tra i pezzi migliori si segnalano Swastika Eyes, House of Jealous Lover, Miss Lucifer e Tunnel Vision.
La seconda versione della soundtrack, quella alternativa, è decisamente migliore : uscita su internet per accompagnare l'iniziale versione della pellicola, ma mai pubblicata nè su cd, ne al cinema, è una colonna sonora all'insegna del pieno stile British, un giusto mix tra rock n' roll, musica elettronica e melodie di atmosfera. Gli Oasis, The Cure, sono solo due dei nomi roboanti che compongono questa colonna sonora, inspiegabilmente accantonata per lasciare spazio all'altra, più moderna ed estrema, ma sicuramente inferiore per gli amanti della buona musica.
L'accoppiata iniziale "Supersonic" Tottenham Away sapeva veramente di geniale e non poteva non convencere lo spettatore ad entrare nella logica degli Hools... WHAT ELSE YOU GONNA DO ON SATURDAY?!
domenica, giugno 18, 2006
CUT KILLER : monsieur dj
Abile direttore e produttore artistico e esecutivo, compositore e uomo d'affare del quale l'esperienza e la carriera non sono piu da rimettere in questione, animatore di transmissione radio, è, ugualmente, DJ. Per chi non lo sapesse, DJ CUT KILLER occupa il fronte della scena francese da un po piu di 10 anni.
Membro fondatore del label Double H Production, è senza nessun dubbio il DJ francese più mediatizzato, più sollecitato e il più attivo.
Con il suo unico nome e la sua imagine, porta alla luce una crew di 7 DJs, della quale fanno parte integrante tra gli altri, DJ PONE , pluricampione di fama internazionale insiema a DJ CRAZY B., DJ LBR animatore del mitico BAINS DOUCHES di Parigi.
Precursore in materia di mixtapes, CUT KILLER può targarsi di avere una carriera di DJ esemplare. Le sue compilation sono diventate dei punti di riferimento per tutti e "CUT KILLER SHOW" e "HIPHOP SOUL PARTY", sono multi disco d'oro. (in Francia sono 100.000 copie per un disco d'oro).
Blindato per anni sotto contratto SMALL-SONY, oggi è alla UNIVERSAL. Fa parte della scuderia del famoso DJ FUNK MASTER FLEX (Stati Uniti), che, nel suo ultimo capolavoro, DJ FUNK MASTER FLEX, lo cita quando saluta i suoi DJ, visto che CUT KILLER che rappresenta la Francia nella Pitt Bull.
Da tempo intimo con PUff Daddy, rimane l'americano DJ CASH MONEY quello che lo ha ispirato per secondo a diventare DJ, dopo che CUT si era dedicato alla break e al grafiti e dopo avere aderito alla Zulu Nation. Chi lo aveva spinto la prima volta era stato DJ DEE NASTY, il padre nostro francese. Da circa 4 anni ormai, DJ CASH MONEY viene per i suoi featuring, cosi come COCOA BOVAZ, BLAHZAY BLAHZAY. Spalla di NAUGHTY BY NATURE, CYPRESS HILL, è stato anche guest per un Tour mondiale il DJ di MC SOLAAR.
Gira per i quattro angoli della Francia, e intorno al 2003, arrivava a esibirsi anche in una diecine di date al mese. DJ resident del V.I.P. ROOM e il MONKEY CLUB di parigi, è altretando resident al PAlAIS X-TRA di Zurigo, al PACHA di Porto e al MISTRAL di Aix en Provence.
Spesso richiesto per serate private, dal compleanno di Robert Pires a quello di Barclay, a quelle dei vari festival del cinema o delle fiere, le serate del Club Med Word o la selezione di Miss Tahiti, senza dimenticare le feste private di Jay Z o PDD quando sono in Francia o quelle organizzate a Saint Barthelemy nei Caraibi o nella più vicina Saint Tropez. Diciamo che dal punto di visto professionale, è bravo ad addattarsi alle situazione più impreviste; qualità richiesta per un grande DJ.
Oltre alla Francia e alla Svizzera, partecipa a numerose serate ovunque in Europa; Germania, Portogallo, Spagna, Belgio, Ingilterra. Il Canada è da molto una sua terra conquistata e il nord africa lo ospita più volte all'anno.
Il cinema ha fatto richiamo delle sue qualità e oltre ad essere il suo proprio personaggio di DJ nel "L'ODIO" quando ancora era quasi ragazzino,ha firmato diversi "score" e colone sonore di film;THE GAMER,THE DANCER,LA SQUALE per non citare che i più importanti. Giuria d'onore a i campionati mondiali 98,99 e 2000 e di Francia nel 2001 , ci ha anche partecipato concorrendo ed è stato gratificato di un primo e un secondo posto.
Le sue trasmissioni su SKY ROCK "CUT KILLER SHOW" e "BUM RUSH" hanno lasciato un onda di shock nel paesaggio radiofonico francese.
Da non perdere!
sabato, giugno 17, 2006
TOOL : il miglior nu-metal sbarca a milano
Lunedì al Forum arrivano i Tool, una delle band piu' enigmatiche del panorama new metal mondiale, oltre che, a mio modo di vedere, uno dei migliori prodotti che attualmente affollano il mercato della musica hard.
I Tool si formarono a Los Angeles nel 1991, in piena era grunge. Il cantante Maynard James Keenan, il batterista Danny Carey, il chitarrista Adam Jones e il bassista Paul D'Amour riuscirono a forgiare un sound terrificante, claustrofobico, ideale colonna sonora per la pazzia di un detenuto confinato nella cella di isolamento. E' una musica altamente psicologica, che sembra voler schiudere gli anfratti più nascosti della psiche umana, dove il male cova in attesa di essere scatenato da un stimolo esterno. Il sound dei Tool non si limita riprodurre gli insegnamenti dei maestri degli anni 70 (certamente Led Zeppelin, Black Sabbath e Blue Oyster Cult), ma assimila i caratteri di un una serie di band che hanno fatto la storia degli ultimi 20 anni di rock estremo. L'aggressività dei Metallica, la tenebrosità degli Swans, la barbarie dei primi Soundgarden, la tediosità dei Godflesh riecheggiano in un mosaico sonoro altamente spettacolare, un po' in antinomia con l'intento della band di fare musica esistenziale. Ciò che distingue i Tool dalla miriade di gruppi "duri" che popolano le classifiche in quegli anni, è il recupero di certo progressive anni 70, che si avverte già nelle prime composizioni, ma che si paleserà innegabilmente nell'ultimo album, Lateralus.
L'Ep Opiate del 1991 contiene 6 pezzi, due dei quali ("Cold and Ugly" e "Jerk-Off") sono registrati dal vivo. Il sound è ancora succube del grunge e dei Led Zeppelin, come dimostra l'iniziale "Sweat". "Part Of Me" è una cavalcata quasi progressive dove il basso è in primo piano. In generale, in questa prima uscita, più che il canto teso e vibrante di Keenan, è la sezione ritmica a farla da padrone. Carey imbastisce ritmiche a rotta di collo, mentre D'amour, in alcuni punti ("Jerk-Off") si esibisce in virtuosismi degni di John Myung (Dream Theater). Il sound è frenetico e compatto allo stesso tempo.
Con Undertow, i Tool raggiungono uno stile personale e riconoscibile. Il sound rallenta e s'incupisce ulteriormente, come dimostra "Swamp Song". L'anima blues e passionale della band è presente, ma difficilmente decodificabile, in quanto immersa in un'orgia di distorsioni e ritmi marziali, come in "4°". In "Flood" è, invece, l'anima progressive a uscire finalmente allo scoperto; per i primi 4 minuti gli strumenti disegnano un affresco di dolore e disperazione, ulteriormente scurito dal lamento metafisico di Keenan; il tutto sfocia poi in un rabbioso hard-blues. "Desgustipated" è un lungo calvario industriale alla Einsturzende Neubaten, dove clangori metallici e suoni di presse accompagnano Keenan, che più che cantare, sembra scandire i ritmi del lavoro a una moltitudine di operai alienati. E' il pezzo più originale della raccolta. "Intolerance", "Prison Sex", e "Undertow" sono, invece composizioni più convenzionali, dove a risaltare è l'aggressività dello shout portentoso di Keenan, che si avventa famelico su ogni nota, dotando il sound d'insieme di una pomposità drammaturgica.
Dopo circa quattro anni (nel mezzo dei quali D'amour venne sostituito al basso da Justin Chancellor) i Tool pubblicano il secondo album. Se Undertow aveva rappresentato l'apice formale della band, Aenima è qualcosa di diverso. Segna il superamento del classico formato di canzone rock (che pure aveva accompagnato i Tool fino ad allora), ed è l'approdo deciso verso territori più marcatamente progressive. L'angoscia e il dolore sono veicolati da lunghe suite, intervallate da intermezzi strumentali che raccordano i vari movimenti. "Third Eye" e "Die Eier Von Satan" sono l'emblema della sperimentazione a cui sono arrivati i Tool. Il singolo "Stinkfist" è l'episodio che più ricorda il vecchio stile, mentre in "Eulogy" si fatica a trovare un baricentro, tanti sono i cambi di ritmo.
Beghe legali ritardano l'uscita dell'album, e ci vogliono cinque anni per ascoltare il nuovo dei Tool, ma l'attesa non è tradita. Lateralus (2001) è un album tanto perfetto quanto profondo. I ragazzi sono all'apice della forma e la scintillante produzione di David Bottril riesce a far risaltare il suono di tutti gli strumenti, anche nelle fasi più caotiche. Lateralus è un album di puro progressive rock; è l'album che porta il progressive rock nel 2000, che tenta di svecchiarlo, donandogli una nuova veste, quella del metal alternativo. Pensate alle suite dei King Crimson trasfigurate da suoni metallici, ritmi devastanti, accordi dissonanti; quello che ne risulta è la fine del modo, e Keenan ne è il profeta. Ciò rende la filosofia dei Tool più vicina al pessimismo esistenziale dei Van Der Graaf Generator che al romanticismo esotico dei King Crimson.
L'album si apre con l'imponente "The Grudge", che cresce lentamente per per poi esplodere. Gli strumenti producono una ritmica tribale su cui si innesta la voce di Keenan, prima calma, poi arrabbiata, poi feroce. "The Patient" e "Schism" hanno la stessa struttura: inizio calmo, costante crescita, esplosione e cambi repentini di ritmo, catarsi finale. Sembra che Keenan voglia penetrare nell'animo umano per poi rivoltarlo dall'interno. "Parabol" è il lamento di un monaco tibetano, e prepara il terreno a "Parabola", che invece martella dall'inizio alla fine. "Disposition", è la più calma del lotto, ma allo stesso tempo la più minacciosa; Keenan biascica parole su un tappeto melodico tessuto dall'intreccio dei vari strumenti, che sembrano dialogare tra loro. Nonostante la lunghezza complessiva e la non facile assimilazione dei brani, il disco si lascia ascoltare, in quanto ogni composizione prepara il terreno alla successiva, destando curiosità per ciò che verrà dopo.
Lateralus è il capolavoro dei Tool, un album distante anni luce dalle premesse iniziali, il disco che dimostra il talento e la creatività dei musicisti.
A Perfect Circle è il side project di Keenan, accompagnato dal tecnico del suono Billy Howerdel, da Troy Van Leeuwen (ex Failure), Josh Freese (già con Paul Westerberg) e dalla bassista Paz Lenchantin.
E' del 2000 Mer de Noms, un album di grunge futuribile, dove i richiami agli stilemi del genere sono evidenti, ma dove il tutto è immerso in ritmiche industriali, sonorità avant-garde e atmosfere opprimenti classiche dei Tool. Mentre la prima parte dell'album è la più personale, nobilitata da ballate di valore assoluto come "Orestes" e "3 Libras", la seconda è maggiormente derivativa dal grunge e dai gruppi che lo hanno influenzato. "Thomas" paga dazio ai Black Sabbath, "Thinking of You" ai Nine Inch Nails, mentre in "Brena" sembra Layne Staley a cantare; "Renholder" è invece una litania perversa che sembra uscita da "White Light From the Mouth of Infinity" degli Swans. E' un album di gran classe, ma che risulta anacronistico in un contesto dove il grunge ha esaurito la sua spinta innovativa, dove è l'elettronica a farla da padrona, e dove si percepiscono i primi segnali del rifiorire della new wave.
venerdì, giugno 16, 2006
live report : AFTERHOURS (Roma -Circolo degli Artisti 11-12/4/06)
Se già l’idea di aver tradotto un disco che ha riscosso così tanto calore e approvazione, sia fra una parte dello zoccolo duro dei fan del gruppo, sia fra nuovi ammiratori, aveva suscitato borbottii e lamentele, il solo pensiero di doversi “sorbire” dal vivo queste traduzioni (che poi traduzioni non sono, ma piuttosto riadattamenti), non va proprio giù. Ed è così che da gennaio fino ad oggi, i live degli Afterhours sono diventati teatro di contestazioni, lamentele e lotte all’arma bianca, anche tra lo stesso Agnelli e il pubblico. E le due date romane di cui si sta scrivendo non sono state da meno, come clima, rispetto al resto del tour.
Se infatti la sera dell’undici lo spettacolo si conclude piuttosto bene, nonostante una parte sostanziosa di pubblico non si sia degnata di rispettare né i musicisti né il resto della gente che era lì (anch’essa – ricordo - pagante), cantando sempre di più e sempre più forte su tutti i pezzi in inglese, durante la sera del dodici, le cose non sono andate altrettanto bene (curioso poi notare come alcuni volessero ascoltare una versione italiana persino di "Icebox", piccola perla che gli Afterhours hanno rispolverato dal loro primo album del 1990, "During Christine’s Sleep", album che venne pubblicato solo ed esclusivamente in inglese, come tutte le uscite degli Afterhours fino al 1993).
Dopo fischi, coretti e altre amenità di questo tenore, si arriva quindi quasi esausti (per via delle limitate dimensioni dell’altrimenti perfetto Circolo degli Artisti) a un bis, in cui Agnelli decide di “osare” e di proporre la pietra dello scandalo di tutto il tour: e cioè la famigerata English version di "Ci sono molti modi", ovvero "There’s Many Ways". Ma non si fa in tempo ad arrivare al primo ritornello che le urla e la sovrapposizione delle voci del pubblico ululante in italiano sono talmente forti, che Agnelli (facendo giustamente temere una ripetizione dello spettacolo del Fillmore di Cortemaggiore, dove dopo contestazioni ininterrotte e uno sputo in faccia, il leader degli Afterhours scese dal palco per schiaffeggiare personalmente il lama di turno) stizzito molla la chitarra di scatto, per poi riprenderla e lanciarsi in una versione spigolosissima di "Rapace", ringhiando un: “Ecco, questa è in italiano”, che tradiva molto più di quanto lui volesse e trasformando il pezzo in un muro di piombo tra lui e un pubblico indispettito, poco complice e padrone.
Chi legge si starà probabilmente chiedendo, cosa rimanga della musica, dopo le polemiche, le scazzottate, le isterie collettive. E ciò che conforta è che della musica, per fortuna e nonostante tutto, rimane moltissimo.
Perché gli Afterhours, dopo quasi quindici anni di instancabile attività live, capitanati da un Agnelli bambino quarantenne, con al motore un Prette sempre più indispensabile, e con una line-up rinnovata ad uopo (Viti sostituito al basso dal ruspante Roberto Dell’Era e l’aggiunta dell’eclettico polistrumentista Enrico Gabrielli), dimostrano ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, di continuare a essere nonostante tutto, gli alfieri del rock nostrano. E così dal vivo rispolverano vecchi abiti (in)dimenticati, infilando nella scaletta di questo tour, versioni riarrangiate di "Come Vorrei" (dove si palesa tutta la grazia di Gabrielli), o reinterpretate di "Ritorno a casa", in cui Agnelli (come nella succitata "Milano Circonvallazione Esterna") diventa sciamano, teatrante, attore; nello stesso modo in cui con un cantato nevrastenico fa venire a galla tutta l’angoscia dell’essere cresciuti durante il decennio oscuro dell’eroina e dei paninari insieme, in "Non si esce vivi dagli anni Ottanta"; nello stesso modo in cui, ferito suo malgrado, dedica a quello stesso pubblico che lo rifiuta, una versione mai così incazzata di "Sui giovani d’oggi ci scatarro su". E non è finita: dall’armadio risbucano fuori anche "La sinfonia dei Topi" (unico inedito pubblicato nell’album live del 2001 "Siam tre piccoli porcellin"), "Voglio una pelle splendida", una "Germi" in cui la voce di Agnelli si fodera di carta vetrata e poi ancora, a dieci anni di distanza esatti dalla sua stesura, l’inquietante e scaramantica "1.9.9.6.". E oltre questo, anche i classici, come "Rapace", "Quello che non c’è", "Bye Bye Bombay" e una versione ubriaca e rallentata di "Male di miele".
E poi, naturalmente, ci sono i pezzi in inglese: pezzi che (sorvolando finalmente per un attimo su tutte le discussioni di carattare prettamente “morale”), superato l’impatto di minore fruibilità rispetto all’italiano, ormai metabolizzati, soprattutto dal gruppo (persino la pronuncia buffa e volutamente slabbrata degli Stati Uniti del Sud voluta da Dulli per Agnelli, trova finalmente una dimensione ideale) rivelano una potenza e un carisma pari alle loro versioni “italiane”. Da "White Widow", passando per "Ballad for My Little Hyena", "Fresh Flesh", "The Thin White Line", "The Ending Is The Greater", "Judah’s Blood" e la conclusiva e vibrante "Andrea’s Birthday" (e peccato non aver potuto ascoltare per intero anche "There’s Many Ways"), gli Afterhours portano in scena con un coraggio e una forza rigeneranti non soltanto delle semplici canzoni, ma un progetto vero e proprio, il cui fulcro è quello che da sempre rende così unico e indispensabile ancora oggi per il panorama italiano un gruppo come quello di Agnelli e che a maggior ragione lascia con l’amaro in bocca quando ci si ritrova in balia di un pubblico forse in parte desensibilizzato o semplicemente indifferente: la voglia di chi, dopo anni di impegno e passione rabbiosa, continua a non desiderare nient’altro che fare musica.
Cala quindi momentaneamente il sipario sui palchi italiani e si alza quello dei palchi internazionali, in particolare di quelli statunitensi, dove ci si augura che il gruppo milanese possa ritrovare una sorta di verginità perduta, proprio attraverso la dimensione che da sempre gli è più congeniale: quella del live, appunto.
giovedì, giugno 15, 2006
Stones ...arrivano o no?!
Rischiano di essere spostate di nuovo, o addirittura di saltare del tutto, le date del tour europeo dei Rolling Stones, previsto per quest'estate.
Il chitarrista ritmico RONNIE WOOD infatti, ha deciso di ritornare in clinica per seguire una terapia disintossicante che gli premetta di non finire nuovamente nel tunnel dell’alcol.
Ronnie era stato ricoverato anche lo scorso Aprile, una degenza che gli aveva permesso di affrontare il tour americano da sobrio; la ricaduta c’è stata lo scorso 1° Giugno durante la festa del suo 59esimo compleanno. Wood ha dichiarato di voler tornare a casa dopo solo due settimane e ciò dovrebbe permettergli di essere pronto per l’inizio del tour europeo che partirà l’11 Luglio da Milano.
“Ronnie ha bisogno di riposo” ha scritto il suo portavoce “Ma sarà in forma per la prima serata del tour”.
A noi non resta che aspettare, sperando di non dover rimandare l'appuntamento all'anno prossimo!
mercoledì, giugno 14, 2006
HAPPY BIRTHDAY!
Ma quando e dove è nata questa filastrocca che si canta in ogni lingua e in ogni parte del mondo?
La canzoncina fu pubblicata per la prima volta, a Chicago, nel 1893, con il titolo di ”Good morning to all” , in una raccolta di musiche per bambini intitolata ”Song Stories for the Kindergarten” . Le parole erano di una certa Patty Hill (un'insegnante di didattica) e la musica di un'altra donna, presumo sorella della prima, Mildred Hill (che era un'organista ed esperta di ”Spirituals” afro-americani). Circa trent'anni dopo la pubblicazione la canzoncina ricomparve, senza autorizzazione delle autrici e senza quindi portare il loro nome, in una raccolta di canti intitolata ”Harvest Hymns” , e con il nuovo titolo di ”Good morning to you!”. In questa versione, la seconda strofa porta anche le parole che noi conosciamo: ”Happy birthday to you”. Da qui prese il volo e, sempre senza autorizzazione delle autrici, arrivò negli spettacoli di varietà. Ci fu anche però, per fortuna, una causa in tribunale per il riconoscimento dei diritti d'autore che ridiede a Cesare ciò che era di Cesare.
Fu così che, infine, si ebbe la prima pubblicazione, questa volta autorizzata, della canzone, ma con un nuovo testo di un certo Clayton Summy, e col titolo che noi tutti conosciamo: ”Happy birthday to you”. Siamo oramai nel 1935.
Che questa piccola canzone sia divenuta così popolare da essere cantata oggigiorno in tutto il mondo per i compleanni, anche in Cina e in Corea, ci dà forse un pochino da pensare. Davvero popolarità e qualità raramente vanno del tutto insieme. La melodia di ”Happy birthday” è così semplice ed essenziale che non è in fondo né bella né brutta. Potrebbe essere un buon soggetto per un set di variazioni; e proprio perché utilizza così poche note, per questo sembra fatta apposta per fornire il materiale grezzo per qualcosa di più sofisticato. E invece no. Fu pensata così semplice perché doveva essere cantata dai bambini del Kindergarten e grazie alla sua semplicità e orecchiabilità è diventata invece popolare tra gli adulti di tutto il mondo. La storia è questa. Come posso concludere adesso? Forse augurando ”Happy birthday”, a tutti coloro che festeggiano oggi il loro compleanno - e inviando un saluto più generale, meno specifico, a tutti gli altri.
Celeberrima rimane la versione, immortalata in un enigmatico quanto affascinante filmato video in bianco e nero, diMARILYN MONROE, illuminata da un semplice occhio di bue che, al party di compleanno del presidente Kennedy, intonò con fare malizioso ed ammiccante : " Happy Birthday, Mister President".
Ale Caneva
martedì, giugno 13, 2006
MADE IN ITALY : Bambole di Pezza
Oggi ci occupiamo delle Bambole di Pezza, punk band femminile di Milano, che si sta facendo largo da qualche anno nell'ambiente alternativo e non...
Le Bambole di Pezza nascono nel 1997. Arrivano un po' da tutta Italia (solo Morgana è milanese), ma scelgono il capoluogo lombardo come base di partenza. Iniziano un intensa attività live, che le porta a girare in lungo e in largo il nord Italia, calcando i palchi di diversi club, centri sociali, locali live e feste dei paesi. Le ragazze si fanno strada e si fanno valere e, dopo cinque lunghi anni di gavetta,esce il loro primo disco, «Crash me». Il loro nome inizia a farsi sentire:
tra aprile e maggio 2003 fanno da supporter al tour italiano degli Ska-P. Girano l'Italia, e non solo: si esibiscono anche al «Punk Italia 03» di Berlino. Appaiono addirittura al cinema : Nel maggio '03 partecipano a al film "Il giorno del Lupo", di Lucarelli... svolgono la parte della band della protagonista, e il brano che suonano nella scena è "Le Streghe".
Il 2004 è l'anno del cambiamento : Michi, la cantante, lascia la band per iniziare, insieme a Joxemi degli Ska-p, il progetto No Relax. La nuova cantante delle Bambole diventa Rox, che si mette subito al lavoro.
Nel 2004 la band torna in studio e registra il nuovo lavoro, «Strike» (in uscita nei negozi il 27 novembre di quell'anno). «Questo è un disco importante, più maturo e ragionato rispetto al precedente - dice Morgana - e rappresenta una specie di percorso. Ci piace parlare delle cose dal punto di vista delle donne, sfidare una società che resta ancora maschilista. Magari con un pizzico di autoironia». Da 'Wendy' a 'Strike' (il singolo che dà nome all'album), da 'Sei tu' a 'Revolta', mezz'ora circa di musica suonata con grinta. Con qualche gradita sorpresa, come la versione di 'Freeway' dei Beehive (vi ricordate il cartoon 'Kiss me Licia?').
«Dentro questo disco - aggiunge Dani - c'è tanto rock and roll e c'è la vita di cinque persone». Quello delle Bambole di pezza è anche, e forse soprattutto, un modo di essere: le riot grrrls italiane non passano certo inosservate. «Vogliamo divertirci - dice Morgana - stare assieme per suonare o per farci una bevuta, e mostrare attraverso il look la nostra espressività corporea». A casa, per strada o sul palco. «Ci piace quando la gente balla ai nostri concerti, quando i vapori del sudore delle persone riempiono il locale». L'occasione per vederle dal vivo è giovedì sera, al Rolling Stone. Ma a qualcuno capiterà di ascoltarle per radio, di vederle in tv (per esempio il mercoledì sera su La7, ospiti da Chiambretti) o in qualche servizio fotografico. Insomma, la palla è stata appena lanciata e le Bambole non hanno dubbi: «Vogliamo abbattere tutti i birilli».
lunedì, giugno 12, 2006
RECENSIONE DELLA SETTIMANA
La recensione di oggi è firmata Onda Rock ed è dedicata al ritorno acustico del mitico "Boss"...
TITOLO : We shall overcome the seeger session
AUTORE : Bruce Springsteen
ANNO : 2006
GENERE : rock/folk
PROVENIENZA : USA
"Questo approccio trasporta l’ascoltatore lungo tutto il tragitto, poiché si ascolta la musica non solo venire suonata, ma venire fatta". Parole programmatiche che il Boss scrive nella breve introduzione al suo nuovo album, una manciata di cover estratte dal repertorio del leggendario folksinger Pete Seeger (1919-). L’approccio a cui si fa riferimento è schiettamente live , diretto e immediato: tre giorni di sessioni, nessuna vera prova, un gruppo di musicisti con cui suona per la prima volta (fatte salve alcune eccezioni). L’atmosfera che pervade "The Seeger Sessions" è estremamente vitale ed emozionante, una lunga festa dove la spontaneità e la danza la fanno da padrone.
A un anno di distanza dal ritorno acustico di "Devils & Dust", Bruce Springsteen intraprende una nuova rilettura di quella folk-ballad tradition che scorre nelle viscere di un’America persa tra sogni imperialisti e oasi tecnocratiche. Un ritorno forte e stentoreo all’umanità vitale, semplice e spontanea, al tratteggio di stralci di vita tanto particolari quanto esemplari, dal sapore epico. Come l’ultimo Johnny Cash della serie "American Recordings", un altro gigante della musica americana si immerge nell’intima essenza della propria storia, raccogliendone il bagaglio emotivo e culturale. I brani contenuti nell’album sono quasi tutti traditional , alcuni risalenti addirittura al secolo scorso e oltre, che vengono fatti rivivere grazie alla sensibilità contemporanea dell’artista: la lontananza annullata, la realtà in fondo la stessa, il passato riportato all’atto del vivere presente.
L’operazione, in sé rischiosa perché facile alla sterilità, alla riproposizione senz’anima di melodie dalla presa facile, come il famoso nano che sulle spalle del gigante si erge maestoso senza merito proprio, risulta infine compiuta per diverse ragioni. Innanzitutto la sua estemporaneità: in un mondo dominato dalla velocità virtuale della rete e dall’artificiosità tecnologica così lontana dalla natura, si torna a viaggiare con i vestiti lisi e le scarpe consunte tra la polvere delle vecchie frontiere, con mezzi di fortuna e nessun centesimo in tasca; invece della patinata musica pop odierna, un pugno di strumenti unplugged suonati in una stanza come all’aria aperta, aspri e senza compromessi come il folk da sempre è. In secondo luogo, l’eccezionalità dell’evento e la compagine quasi casuale dei musicisti riuniti dal boss ne impreziosiscono il valore, accentuando la vitalità di una musica senza barriere, temporali e spaziali.
Infine, la ormai imponente personalità di Springsteen riemerge nella sua interezza, uno degli ultimi rocker rimasti a non accettare facili compromessi, in grado di perseguire una strada forse meno facile ma remunerativa, e certamente in linea con la propria carriera: la ricerca di un senso, una direzione nel caos.
Scorrendo queste travellin’ songs si toccano le lande sacre del gospel, le danze sfrenate del country, atmosfere jazzy d’inizio secolo, la virulenza fiera della protesta sociale, le sane scorribande del folk, il tutto accompagnato dalla voce biascicata, roca e profonda del leader. Irresistibile il girotondo saltellante di "O Mary Don’t You Weep", sospesa tra i campi di cotone dove lavoravano gli schiavi e lo sbarco di immigrati in America, tagliente l’inno sacro "Eyes On the Prize", malinconico incedere bluegrass in attesa della vera libertà (ultraterrena).
La denuncia antibellica e dolente della ballata irlandese "Mrs. McGrath" si immerge d’obbligo nelle brume celtiche segnate dalla povertà, la guerra come unico riscatto ma portatrice di solo dolore, mentre la guthriana "Jesse James" mitizza, trasportandola nella leggenda, la figura del bandito, novello Robin Hood che ruba ai ricchi per dare ai poveri, cavalcando una melodia godereccia e battagliera cantata mentre si fa bisboccia.
Un divertissement forse senza pretese, "The Seeger Sessions" testimonia comunque l’inesauribile vena creativa dell’artista di Freehold, e la sua capacità di ricrearsi, adattandosi all’incedere inesorabile del tempo senza chiudersi nella torre d’avorio di un passato lontano e irraggiungibile. L’unico difetto imputabile al disco è l’assenza di una reale carica anarchica e palingenetica nel fare cover, quella per intenderci che pervade "Cover Magazine" dei Giant Sand, in cui il filtro apposto dall’interprete nel riproporre l’originale come copia impone un tale marchio indistinguibile da rendere i pezzi dei nuovi brani; questa, comunque, è tutta un’altra storia, altre le canzoni scelte, altra l’anima del musicista, altre la radici trapiantate.
Non resta che assecondare il piacere che le orecchie e il cuore provano nell’ascoltare la vita che scorre in "We Shall Overcome", inarrestabile flusso fatto di gioie e dolori, un passato che riprende colore come se fosse magicamente innaffiato dall’Ubik dickiano
Cristian Degano
domenica, giugno 11, 2006
Gridalo forte records... MUSICA RIBELLE!
giovedì, giugno 08, 2006
STATUTO & UNICAMISTA
Sabato invece toccherà agli Statuto far ballare il pubblico. La band torinese, che non ha bisogno di presentazione, salirà sul palco intorno alle 23, anch'essa preceduta da alcuni gruppi emergenti milanesi.
L'ingresso e gratuito e dalle 19 si mangia e si beve con salamelle, birra e patatine...
..VIVA LA FESTA SKA!
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I martiri del rock n' roll : MASSIMO RIVA
Torna lo spazio di Differentmusic dedicato ai grandi martiri del rock. Oggi parliamo di Massimo Riva, storico chitarrista di Vasco morto per droga pochi anni fa e rimasto nella memoria di tutti i fans del rocker di Zocca.
Nella foto qui sotto, una delle prime apparizioni live insieme dei due artisti..
Riva anche se di una decina d'anni più giovane cresce assieme a Vasco che lo reputa come un fratello minore tanto da farlo esordire come DJ a Punto Radio appena dodicenne "... veniva sempre li, aveva 12-13 anni e stava sempre in mezzo alle palle, nel senso che sembrava piccolissimo rispetto a noi. Poi alla fine c'era da fareil nonstop della Domenica, nessuno aveva voglia di lavorare e ci abbiamo messo Massimo. Abbiamo cominciato ad utilizzarlo così, ai primi tempi. Io facevo anche l'organizzatore del palinsesto e Massimo mi chiedeva sempre di metterlo dentro, e io dicevo: "ma come faccio un ragazzetto di dodici anni" , va bene che c'aveva la voce grossa ma .... insomma non mi fidavo. Invece una Domenica ci andò per vie traverse a mia insaputa, però andò bene e io allora lo lasciai la Domenica a farlo. Poi essendo piccolo imparava veloce, per cui nel giro di pochissimi mesi iniziò a darsi molto da fare."
Oltre ad essere un appassionato ascoltatore (Pink Floyd e Beatles su tutti) Massimo suona anche la chitarra ed assieme agli amici passa intere giornate a far casini nei boschi. Un pomeriggio del '78 assieme all'amico Marietto fa sentire a Vasco una sua canzone "la canzone non era granché ma aveva un giro armonico niente male .... andai a casa pensando ad una ragazza che vedevo tutte le mattine passare mentre andava a scuola e scrissi ....."albachiara" ... così prima di cena ... ".
Massimo riceve un simpatico ringraziamento all'interno del disco "Non siamo mica gli americani" ('79) "per il solito casino che fa e per le sue continue puntualizzazioni sul fatto che comunque Finardi è un'altra cosa".
Nel 1980 assieme a Solieri e a Guido Elmi fonda la Steve Rogers Band gruppo che accompagnerà Vasco fino al 1987. In tutti questi anni Massimo collabora attivamente alla composizione di molte canzoni anche se non viene accreditato ufficialmente come autore, un esempio su tutti: la musica di "Voglio andare al mare" scritta assieme a Vasco nell'estate dell'80 a Bologna in una camera da letto. Nell'86 compone assieme a Vasco "OK SI" gioiellino reggae-rock contenuto nel primo disco della Steve Rogers Band "I duri non ballano" e restituisce il favore l' anno successivo componendo la musica di "Non mi va" per l' LP di Vasco, curandone in prima persona anche il remix. Nell'88 il gruppo si stacca da Vasco e Massimo si ritrova ad avere la band ed il produttore più forti in circolazione ... e non risparmia qualche frecciatina al vecchio amico: "finalmente adesso riusciamo a vedere qualche soldo! Prima arrivavamo con l'acqua alla gola fino all'estate: eravamo pagati come orchestrali durante la tounée, i soldi ce li spendevamo tutti subito e poi per il resto dell'anno stavamo a casa. Invece appena ci siamo separati da Vasco abbiamo cominciato a vivacchiare tutto l'anno. Quindi, cominciare a lavorare così è stato un buon affare sia a livello economico che a livello artistico".
Ma è il successo di un'estate e dopo l' hit "Alzati la gonna" la band non riesce più a ripetersi, perlomeno a livello commerciale. Dopo la tournèe di "Sono donne" Massimo esce dalla band per tentare la carriera solista. Nel '92 avviene anche la riappacificazione con Vasco che Riva spiega così: "abbiamo recuperato il lato migliore del nostro rapporto, quello dell'amicizia, della grande intesa musicale che ci ha sempre uniti fin dall'inizio, quando io avevo 16 anni e lui mi considerava come un fratello minore ... e una volta ritornati amici abbiamo anche ricominciato a collaborare, lui scrivendo qualcosa per me, io per lui. Quando ci siamo ritrovati insieme a casa sua sembrava di essere tornati indietro di dieci anni, c'era un'atmosfera bellissima".
Dalla ritrovata amicizia nascono infatti delle canzoni indimenticabili come "Stupendo" e "Vivere", "una di quelle canzoni che ti riescono davvero una volta ogni dieci anni. E' incredibile come con Vasco tutto sia semplice e divertente".
Nello stesso periodo Vasco compone il testo di "Ci sei tu" per l'album solista di Riva "Matti come tutti" che uscirà nel '93. L'LP contiene 10 canzoni suddivise equamente tra pezzi rock e ballate lente. Vengono estratti 3 singoli: "Tutti come matti" (con musica di Solieri) che ricorda da molto vicino la passata produzione con la S.R.B., "Lui Luigi" cover di Chuck Berry che vede la partecipazione di Elio delle storie tese e "L'ultima città" un capolavoro acustico, vero e proprio manifesto del nuovo Massimo Riva. Nel '96 Massimo prende parte ai 2 concerti di "Rock sotto l'assedio" e da quel momento ritornerà in pianta stabile nella band di Vasco. Esce nel '97 "Sangue nervoso" il suo secondo disco da solista, produzione più meditativa della precedente che nonostante le numerose esibizioni live passerà quasi inosservata. Da ricordare l'apparizione alla centesima puntata del programma "Roxy bar" in cui Massimo, lì per presentare "Fuori" (secondo singolo del disco), parla per la prima volta di droga: "ai miei tempi non c'era l'informazione che c'è oggi, certe cose non si sapevano, la droga era vista come una moda ... sono morti troppi miei amici ... e se non muori fai una vita di merda ... io?! … io sono ancora qua!".
Nello stesso anno esce "Nessun pericolo per te" dove è coautore di molte canzoni tra cui "Un gran bel film", "Benvenuto" e "Praticamente perfetto" (anche se in queste ultime 2 non viene accreditato nel disco). Successivamente partecipa al tour di Vasco, sia italiano che europeo: "in un tour di Vasco non ho mai avuto un ruolo musicalmente così importante come chitarrista e quindi sono più responsabilizzato verso me stesso ... un tempo eravamo molto più scalcinati, mentre adesso in camerino trovo delle ceste di frutta e il frigorifero pieno. Si sta decisamente più comodi, anche se si vede qualche sbarba in meno."
Vasco dirà in più occasioni: "Massimo è la mia idea di come si sta sul palco!"
Per capire quanto i due si divertano assieme basti pensare che l' inizio del concerto con la lunga introduzione di chitarra ritmica è nato durante le prove generali in Svizzera quando Massimo (per scherzo o distrazione!?) è salito sul palco senza accorgersi che Vasco era andato al bagno "così a quel punto cosa potevo fare? 4 ... 8 ... 16 ... 32 battute e poi è arrivato Vasco!!!"
Riva prende parte anche ai 2 grandi festival di Neapolis ('97) e Imola ('99). L'ultima apparizione dal vivo avviene al concerto del primo maggio a Roma e l'ultimo playback al Festivalbar a Padova pochi giorni prima di morire.
Di tutto quello che si è detto dopo, l' unica frase che mi sento di riportare appartiene a Vasco: "è morto un amico!".
Il 2 Giugno del 2000 esce in tutti i negozi di dischi "Comandante Space", disco postumo di Massimo Riva che raccoglie le sue ultime composizioni.
mercoledì, giugno 07, 2006
THE ORIGINAL SOUNDTRACK
Raramente il mix musica/immagini ad inizio film ha avuto un impatto pari a quello di burning & looting di Bob Marley suonata nei titoli di testa del film l'Odio.
Comincia così infatti la colonna sonora di uno dei film più discussi e ribelli degli anni 90, capace, in tutto, di segnare un intera generazione di giovani.
E' l'hip hop a farla da padrone nell'audio di qusta pellicola.
Oltre che da colonna sonora infatti, nel film di Kassovitz “L’odio” il rap funge da elemento catalizzatore del racconto, punto di contatto per i personaggi della pellicola ambientata nei ghetti urbani della periferia parigina. Più che una colonna sonora tradizionale, quindi, una serie di brani che punteggiano l’azione, sempre in modo molto aggressivo (al punto che alcuni brani sono stati vietati perché considerati un’istigazione alla violenza).
La scena più suonata del film L'odio di Mathieu Kassovitz è quella in cui il giovane disc jockey Cut Killer rivolge i giganteschi altoparlanti del suo impianto verso la strada e suona a volume irragionevole un pezzo di Krs-One, nume tutelare del rap statunitense. È il suono lacerante di una sirena, sono i primi secondi di The Sound of Da Police. In quella colonna sonora c'era un altro pezzo, a firmarlo uno dei gruppi più arrabbiati della scena hip hop, i Ministère Amer.: Sacre fils de poulet, un gioco di parole, innocua (non era ancora tempo di allarme aviaria) celebrazione di un immaginario sacro «figlio dei polli». In realtà si legge esattamente come «Sacrifice de poulé», che in slang «sacrifica poliziotti». Processi, censure, sospensione del gruppo dalla programmazioneradiofonica. Era il 1995. Passi, primo rapper della squadra, disseanche di non capire perché se la prendessero proprio con quella canzone, quando due anni prima nessuno si era lamentato per un altro pezzo scritto da lui, Brigitte femme de flic. L'ottima Brigitta, ci spiegava il rapper di passaggio a Torino, era la moglie di un poliziotto; nel quartiere i ragazzi si davano un gran daffare a tenere impegnate le forze dell'ordine, così il marito era sempre in giro elei poteva ricevere indisturbata la visita dei riottosi maschi della zona, che a turno lasciavano malaffare per il piacere. Immancabili i gemiti del caso. Rap, sempre rap; rabbia, sempre rabbia. E censure a produrne di nuova. Sabato 16 novembre 1996 Libération dedica la prima pagina al gruppo Ntm, un nome come un altro: significa Nique Ta Mère, fotti tua madre. Il titolo è Le rap au trou, il rap alla sbarra. I due leader del gruppo, Kool Sheen e Joey Starr, sono stati condannati il giorno prima dal tribunale di Tolone a sei mesi di carcere, tre dei quali da scontare realmente, e a sei mesi di interdizione dall'esibirsi in pubblico in Francia. Avrebbero insultato i poliziotti intervenuti a un loro concerto: l'ultima condanna del genere in Francia, spiega il quotidiano, risaliva al 1881.
Je Ne Vois Que Moi dei Les Little, il funk funk di Cameo, Peur Du Mйtissage di Assassin sono alcuni dei migliori titoli che accompagnano un fil d'altri tempi che per sempre rimarrà scolpito nella memora di tutti, grazie anche alla sua splendida colonna sonora.