giovedì, novembre 30, 2006

HAPPY BIRTHDAY ROCK TV!


In un'epoca in cui la musica rock viene sempre più spesso dimanticata, per lasciare spazio alla merda commerciale che invade le stazioni radio e tv di tutta Italia, fa piacere vedere realtà come Rock Tv.
La situazione delle Tv musicali in Italia è tragica, visto che MTV ormai di musicale ha ben poco e il 90% del suo palinsesto è riempito da trasmissioni idiote americane tipo Next, Room Raider o Date my Mom, che con la musica non c'entrano nulla e che servono solo a far sognare delle stupide ragazzine che sperano un giorno di poter vedere la propria camera da letto esplorata da un idiota californiano babbo ingellato. ALL MUSIC è sicuramente meglio, ma si sta facendo contaminare parecchio anche lei, lasciando troppo spesso spazio a cose tipo Modeland (con quel coglione di Johnatan del Grande Fratello) o The Club, che stare qui a commentare sarebbe una perdita di tempo.
ROCK TV è sicuramente la migliore. Spiace che sia sul satellite e che quindi molte persone non la possano vedere, anche se ormai la diffusione delle parabole o della tv via cavo è atissima: trasmissioni musicali, speciali sulle band, approfondimenti, interviste, immagini live, insomma tutto quello che piace a noi, amanti della musica dura...
L' emittente rock festeggerà sabato 2 dicembre, i primi cinque anni di vita con un concerto al Rolling Stones di Milano: sul palco Afterhours e il progetto umanitario-musicale Rezophonic che porterà on stage un sacco di artisti, giunti fin li per l'occasione, come Giuliano Sangiorgi (Negramaro), Francesco Sarcina (Le Vibrazioni), Malfunk, Andy (Bluvertigo), L’Aura, Roy Paci e molti altri...
Buon compleanno Rock Tv e lunga vita al Rock n' Roll!

ALE

mercoledì, novembre 29, 2006

THE ORIGINAL SOUNTRACK


Colonna sonora non d'impatto e non di immediato ascolto, La 25a Ora potrebbe sembrare simile se non addirittura "basata" su altri score già orecchiati. I brani scorrono in un continuo ripetersi di archi alle prese con una tessitura musicale lenta, sia pur capace di infondere quel senso di precarietà e di disperazione che percorre la trama del film, almeno all'apparenza. Ma Terence Blanchard, trombettista jazz di tutto rispetto e autore ben noto per le musiche di Original Sin e Mo' Better Blues, ci spinge ad un ascolto più intimo, per scoprire quanto le 15 composizioni disegnino un'atmosfera sospesa fra reale ed immaginario, fra le dure situazioni che il destino impone e i sogni, le aspirazioni, l'anelito alla libertà del protagonista, fra collettivo e personale.
E se nella visione complessiva si avverte la mancanza di un tema unitario in senso tradizionale, al contempo i brani hanno ognuno un suo baricentro da cui si propaga il messaggio, come episodi autonomi fra loro legati. A partire dall'apertura, l'Open title, una sottile, struggente inquietudine si fa strada e sembra introdurci al frenetico susseguirsi di eventi della storia, con ritmo crescente e gli interventi di flauto, ottoni e infine della voce.
Di indubbio stampo classico per il continuo utilizzo dell'esecuzione orchestrale, questa soundtrack spazia però da citazioni che riecheggiano atmosfere medievali e misteriose, come in “Fu Montage”, a sonorità più tipicamente orientali. Ne è perfetto esempio “Playground” in cui i tasti del pianoforte vengono picchiettati ad arte per produrre toni e ritmo di sapore tradizionalmente giapponese.
Non mancano momenti di autentica tensione, come nel lunghissimo “25th Hour Finale”, i cui 12 minuti sono scanditi da militareschi rulli di tamburi, da ottoni potenti e da una sgomenta, profonda voce mediorientale, in contrasto e quasi in antagonismo con l'orchestra, che canta lo sconforto di un uomo. É una voce contro il vento, l'insieme delle forze occulte che la attorniano e la sovrastano, insomma, il fato. A chi ha ormai perso tutto, anche la propria vita, a chi considera illusione il futuro, non resta che lanciare un messaggio di dolore, il grido di un uomo solo, che è però anche il grido di una società vittima delle sue stesse azioni, che alla fine guarda sconsolata il risultato prodotto: morte, solitudine, desolazione. Insomma in una parola l'immobilità, avvertita con senso di miseria in “Ground Zero”, probabilmente il pezzo più sconcertante, nella sua attualità, dell'intero CD.
Unico nostro rimpianto: che un'opera di indiscutibile eleganza e profondità sia difficilmente fruibile come musica a sé considerandone la pura valenza compositiva e stilistica e quindi poco scindibile dal contesto del film che accompagna.

(www.cineclick.it)

martedì, novembre 28, 2006

D.O.G.O. novità on line...


Novità in casa Club Dogo.
Mentre "Penna Capitale", ultimo lp della band milanese, è per il sesto mese consecutivo in classifica indies, Livedrama firma il nuovo video D.O.G.O., un gran bel lavoro che potete vedere in rete all'indirizzo seguente...
http://www.youtube.com/watch?v=OjoRjC35rrs

Ma non è tutto : all' indirizzo www.art31.com/news potete scaricare gratuitamente "Snob Reloaded", remix prodotto da Fabio B in cui sfilano(!) J.Ax, Marracash, Space One, Guè Pequeno, Jake La Furia, Chief. Dalla homepage di Ax invece, www.j-ax.it, cliccando in basso sul "regalo di Ax" potete scaricare la versione prodotta da Donjoe...

venerdì, novembre 24, 2006

LIVE REPORT : SICK OF IT ALL - Trezzo, Live Club (23/11/2006)


Certi gruppi vanno visti dal vivo almeno una volta nella vita e, dopo il concerto di ieri sera, mi sono pentito di non essermi mai mosso prima per vedere una delle colonne portanti dell'Hardcore mondiale.
Arriviamo al Live intorno alle 22,15. La coda fuori non è eccessiva, il biglietto a 15 € (uno in tre visti gli sgami di Jacopo, che a fine concerto ci farà pure fare un bel giretto nel backstage) è piuttosto onesto e l'atmosfera dentro al locale è di buon livello.
Il live è un bel club per la musica dal vivo ed è anche piuttosto pieno per questa serata all'insegna dell'HC. Molte facce note della scena milanese si aggirano per il locale, dai De Crew agli Sde, mentre Rock Tv segue l'evento presentato dal sempre verde Tommy Massara degli Extrema. Tra un paio di birre e quattro chiacchiere con Cranpo e alcuni ragazzi che suonano in sala da me, arriviamo al momento dei Walls of Jericho, band metalcore violentissima, che scalda il pubblico con un energico show e fa capire quale sarà il clima della serata.

I S.O.I.A. salgono sul palco verso mezzanotte, con l'immancabile sirena a tutto volume che introduce "Take the Night off" primo pezzo in scaletta e brano di apertura di "Death to Tyrans", ultimo disco della band, registrato per celebrare i 20 anni di carriera. Dal primo pezzo in poi, lo show non ha un secondo di pausa e i brani storici del gruppo, come "Step Down" o "Scratch the surface" si mischiano bene alle nuove hit, gtra le quali spiccano "Machete" e "Uprising Nation".
I quattro newyorkesi si sbattono di brutto sul palco e lo show è tirato e violento. Il pubblico è in delirio, pogo e gnete che vola da tutte le parti, fanno prendere bene i fratelli Koller che non mancano di sottolineare quanto sia crasto il pubblico italiano. Piccola pausa quando un tipo ha la brillante idea di sputare sul palco, rimediando uno schiaffo dal cantante e la sfida a un face to face a lato del palco. Niente di che e lo show riprende più tosto di prima.

Suonano un'oretta in totale, con qualche bis obbligatorio e la sensazione che, anche dopo venti lunghi anni di onorata carriera, la voglia di portare l'Hardcore in giro per il mondo, ai Sick of it all non sia passata per niente.

Ale

giovedì, novembre 23, 2006

RECENSIONE DELLA SETTIMANA


TITOLO : Di nuovo in marcia
ARTISTA : Derozer
GENERE : Punk
PROVENIENZA : Vicenza (ITA)
ANNO : 2004

Due anni dopo la pubblicazione di "Chiusi Dentro" e ad un anno dall'uscita del "Live in Studio", i Derozer tornano con un lavoro bello tirato, il cui titolo parla da sè: "Di nuovo in marcia".
E' un disco rabbioso, le cui liriche vanno dritto alla causa senza giri di parole; l'album è composto da 13 brani con un'importante novità : tra le canzoni se ne trovano anche due in inglese. Questa piccola innovazione della band vicentina sta forse a significare che, dato il successo anche fuori dal nostro paese, i quattro vogliono essere ancora più vicini alle altre nazioni; per il momento le canzoni in inglese sono solo due, chissà che in futuro non aumentino. Il disco parte subito con l'impatto di "Black-Out", veloce, grintosa e costituita di una denuncia nei confronti di chi vuol sconvolgere l'equilibrio climatico del nostro pianeta per fini propri. "L'uomo Dio" accusa i leader dei paesi più potenti a non interessarsi dei veri problemi che affliggono la nostra società, mentre la title-track "Di Nuovo In Marcia", la migliore del disco, è un vero inno contro la guerra, tema trattato anche in "La Nuvola" ed in "Codice Giallo". Il disco si chiude con "Sogno" che, come dice proprio il titolo, illustra i sogni di ognuno di noi che però purtroppo rimangono solo sogni, e dunque nel suo testo l'illusione la fa da padrona. Non ci sono particolari cambiamenti nei ritmi, forse c'è qualche assolo in più grazie all'ingresso del chitarrista Spazza, ma il filo conduttore resta lo stesso degli altri anni: velocità, riff graffianti ed un pizzico di melodia che li rende ancora più apprezzabili.

Pubblicato dalla loro stessa etichetta, la Derotten Records, e distribuito da Venus, "Di nuovo in strada" segna un capitolo interessantissimo della discografia dei Derozer, che, attraverso un'incessante attività live (memorabile la loro partecipazione all'indipendent days festival di quest'anno) si stanno confermando come la più grande e positiva realtà del punk indipendente made in Italy.

Markino Dell'Acqua

mercoledì, novembre 22, 2006

BOLOGNA, 9 Dicembre 2006...


Si chiama “10.000 Giorni di Rock'n'Roll” la manifestazione ideata da Radioclash.it e da Punkadeka.it per ricordare Joe Strummer, giunta quest'anno alla sua terza edizione.
La serata si terrà sabato 9 Dicembre presso l'Estragon di Bologna e inizierà alle 16:30 con alcuni video e un DJ set interamente dedicato ai Clash, per poi passare all'apertura del palco dove dalle 18:00 si alterneranno 16 gruppi: Alberto Sanna & Animanera, Atarassia Grop, Black Market, Clampdown, Controllo Totale, FFD, The Infidels (UK), Klasse Kriminale, Klaxon, Linea, Malavida, Night Of Treason (UK), Radio Brixton, Rappresaglia, Ratoblanco, Skarnemurta.

Oltre ai gruppi saranno presenti in sala alcuni ospiti speciali come Pablo Cook and Smiley dei Mescaleros, il produttore del brano “Yalla Yalla” Richard Norris, e due scrittori: Pat Gilbert, “Death Or Glory” e Anthony Davie che ha scritto “Vision Of A Homeland - The History Of Joe Strummer and The Mescaleros”.
L'ingresso alla serata è stato fissato a 12 Euro consumazione e gadget inclusi.

“Il Tributo Italiano a Joe Strummer è un concerto benefit per colmare l'immenso vuoto lasciato dopo la scomparsa di Joe Strummer” si legge sulla pagina di MySpace “La prima edizione del tributo si è tenuta il 19 Dicembre del 2004 a Bologna e volutamente nella città in cui nel 1980 si svolse il primo concerto Italiano dei Clash”.

martedì, novembre 21, 2006

MUSIC & FOOTBALL : Cock Sparrer


SOLITO APPUNTAMENTO CON LA RUBRICA DI MUSICA E CALCIO. OGGI ANDIAMO SUL CLASSICISSIMO, CON UN BELL'ARTICOLO SCOVATO IN RETE DEDICATO AD UNA DELLE BAND CHE HA FATTO DEL LEGAME CON LE GRADINATE UNO DEI SUOI PUNTI FORTI...

I Cock Sparrer sono un gruppo particolare, sicuramente non avevano l'attitudine dei Pistols, non avevano un frontman come Jimmy Pursey, eppure penetrarono nelle budella delle persone con la loro schietta lealtà, e nessuno mai potrà dire che gli Sparrer non erano un gruppo puro fin dalla nascita. I quattro membri fondatori (Steve Bruce-batteria, Mick Beaufoy-chitarra, Steve Burgess-basso e Colin McFaull-voce) insieme al loro tour manager, Will Murray, si conoscevano tutti dall'età di undici anni. Nati e cresciuti nell'est di Londra, avvolti nell'atmosfera calcistica e della musica rock, per tutta la vita sono stati compagni di ogni esperienza. Tutti frequentarono la stessa scuola e, nel '72 iniziarono a barattare i compiti per le prove del loro primo gruppo, suonando canzoni degli Small Faces e poco altro. A loro si unì Garry Lammin, il primo degli innumerevoli chitarristi ritmici dei Cock Sparrer; Garry era sicuramente un grande acquisto, aveva un Marshall (che per un gruppo agli inizi era manna dal cielo...), gli spikey ed era il cugino di Burgess. Grazie a Terry Murphy il quale aprì il Bridgehouse Pub a Canning Town quei ragazzi potevano suonare dal vivo, senza farsi molti problemi, sia che fosse un piovoso lunedì sia che il pubblico fosse composto solo da Terry e i suoi baristi. Gli sparrer iniziarono a scrivere canzoni proprie, i testi erano per lo più basati sulla vita che conducevano e sui personaggi che incontravano ogni domenica pomeriggio sugli spalti del West Ham. Il suono che si stava evolvendo era molto più crudo e grezzo della maggioranza dei gruppi heavy a loro contemporanei, ma nessuno si poteva immaginare che quel tipo di musica stava per esplodere dai tombini dei sobborghi per conficcarsi nelle vene dei kids di quella e delle generazioni future. Malcolm McLaren andò a vedere la band provare in uno stanzino sopra il Roding pub nell'East Ham, gli bastò uno sguardo per prenderli sotto la sua ala e farli diventare la "next big thing" (vi suona familiare?). Malcolm invitò la band a suonare con un gruppo appena formato, chiamato Sex Pistols in uno strip club a Soho, ma il loro rifiuto a comprare ai Sex la birra non fece andare in porto la collaborazione che si concluse subito dopo il concerto (chi ci rimise per voi?). Poco dopo la scena musicale fu cambiata per sempre con l'uscita di "Anarchy in the UK". Velocemente le case discografiche potevano ammazzarsi per trovare chiunque non avesse un sound preistorico del rock, che presto diventò fuori moda, e i Cock Sparrer firmarono a vita per la Decca Records (che aveva nelle sue file anche i Slaughter and the dogs da Manchester). La fama e la fortuna erano alle porte. La Decca mandò i ragazzi al West Hampstead studio per registrare un singolo (lo stesso studio dei Rolling Stones). Gli fu assegnato il migliore produttore della casa, Nick Tauber, e mentre tutti i capoccia tentavano di risolvere il problema di un gruppo punk che rifiutava di colorarsi i capelli e infilarsi spille da balia nel orecchio, gli Sparrer tentavano di risolvere il problema di quanti microfoni potevano rubare e rivendere senza essere scoperti. L'accordo per il tour inglese con gli Small Faces era stato concluso e il primo singolo "Runnin' riot" uscì nel luglio del '77 che entrò anche nelle classifiche inglesi, ma questo non bastò per soffocare il loro crescente odio per le case discografiche e per i managers (infatti "Take 'em all" è tutta dedicata a quella brava gente...). Uscì il secondo singolo nel novembre del '77 ("We love you"/"Chip on my shoulder" 12 e 7 pollici), e i ragazzi rifiutarono qualsiasi idea promozionale che gli veniva proposta (ecco perché la copertina di "We love you" è vuota). Tutti quanti vivevano insieme in una casa a Dagenham nell'Essex e quando non suonavano passavano il tempo a giocare a calcio in cucina, a bere nei pub locali o a pregare il destino per vincere abbastanza soldi alle corse dei cavalli per pagarsi l'affitto. Usavano le copertine dei loro dischi per sparare con il fucile nel giardino. Questo fu il periodo di maggiore ispirazione per le loro canzoni ("Working", "Last train to Dagenham"), scritte soprattutto in viaggio per i concerti sul loro ex furgone rosso della posta guidato dal loro roadie, "The Head" (anche lui compagno di scuola). I supporters più fedeli venivano tutti dal East End ed erano conosciuti come "The popular boys" i quali li seguivano in ogni concerto in ogni luogo. Con l'emergere del punk, gli Sparrer ingenuamente credevano che la loro musica avesse trovato il suo habitat naturale, ma non era così. I loro anthem aggressivi nati dall'esplosiva miscela tra la dura vita nell'East End e le partite di calcio non erano ben accetti dai fighetti usciti dalle scuole d'arte del West London che gestivano i giornali di musica inglesi. Questi critici disperatamente cercavano di trasformare il punk nella "new wave" di turno per concedergli la rispettabilità che giustificasse il loro interesse. I Pistols si disintegrarono, e più o meno nello stesso modo anche gli Sparrer. Garry lasciò la band per diventare attore e gli altri pagarono un duro prezzo per essere stati venduti dal loro manager.
Non si sciolsero, solo smisero di suonare per un po’. Gli anni che vennero dopo videro i ragazzi senza molta voglia di tornare "on the road".
L'unica luce di quegli anni fu il magnifico gol di Trevor Brooking che assicurò al West Ham la vittoria sull'Arsenal nella finale di coppa di lega nell'80.
Ma la voglia del giusto e onesto street rock non voleva andava via. Lo scrittore e personaggio della TV, Garry Bushell decise di fare uscire una compilation di quella che diventò nota come Oi! music; includeva anche "Sunday stripper" degli Sparrer.....i quali tornarono sulla scena per acclamazione "del popolo". Durante una telefonata di uno dei ragazzi a un vecchio amico, nel mentre diventato produttore per una casa discografica, fu menzionata una nuova canzone: "Engalnd belongs to me". L'amico gli offrì un bel po' di soldi solo sulla base del titolo, per la precisione il titolo originale era "London belongs to me" ma per loro ancora non suonava bene e al tempo della chiamata la canzone non era ancora del tutto scritta. Sfogarono le loro frustrazioni per la scena punk con "Where are they now?", la loro sfiducia verso la politica con "Watch your back", la loro avversione per il terrorismo con "Secret army", la loro disillusione dalla polizia con "Riot squad" e la loro noncuranza per il convenzionalismo con "Out on an island", dimostrando a tutti che loro non erano semplicemente un'altra punk band. Quando l'album fu completato, Mickey decise che per un po' ne aveva abbastanza, ma non perse mai i contatti con il gruppo e ogni tanto faceva delle apparizioni, come per la registrazione di "Live and loud" e due date al Gibus club di Parigi. Il brasiliano Chris Skepis fu reclutato come nuovo chitarrista ritmico e allo stesso modo di Garry aveva da offrire molto al gruppo, un sterminata collezione di dischi e.....un padre miliardario. Shug O'Neill fu scelto come temporaneo chitarrista solista in un pub a Soho. I due nuovi ragazzi fecero in modo che le loro foto apparissero su "Shock troops". I Cock Sparrer fecero tantissimi concerti in quel periodo, incluso il tutto esaurito al 100 Club in Oxford Street, con Chris e Shug. Le nuove reclute collaborarono anche alla realizzazione di un altro album, "Runnin' riot" nell'84. Numerosi dischi dal vivo e compilation si susseguirono, ma nessun concerto fu più intrapreso. Chris ritornò in Brasile e Shug lasciò il gruppo per formarne uno proprio. Gli altri come sempre rimasero stretti amici. Steve Bruce aprì un music pub a Bethnal Green ("The stick of rock") e gli veniva sempre chiesto che gli Sparrer suonassero ancora. Mickey alla fine fu d'accordo, e accettarono di suonare anche all'Astoria in Charing cross road con un nuovo chitarrista ritmico, Daryl Smith. Il più bel ricordo che i ragazzi hanno di quel giorno è trovare al "The stick of rock" già nel pomeriggio un centinaio di persone ad attenderli. Non erano preparati alla massa di supporters che stava per arrivare alla sera. Quelle persone arrivarono da tutta Europa e conoscevano ogni singola parola delle canzoni. Al gruppo veniva costantemente detto che avevano avuto un ruolo fondamentale nell'Oi!...ma lì vi erano le prove.
Con gli album "Guilty as a charged" e "Two monkeys", Gli Sparrer tornarono a fare quello che gli riusciva meglio: scrivere inni sulla vita quotidiana e suonare dal vivo. Ovunque suonassero, era una festa, dalle gigantesche masse ai concerti nei pub.
I Cock Sparrer erano, sono e sempre saranno:
Colin McFaull alla voce, Steve Bourgess al basso, Steve Bruce alla batteria e Mickey Beaufoy alla chitarra.

lunedì, novembre 20, 2006

SUBLIME : box per collezionisti...


La Geffen Records (Universal) ha rilasciato il 14 novembre "Everything Under The Sun", un box dei Sublime contenente tre CD ed un DVD che si propone di ripercorrere l'intera carriera della celebre formazione ska/rock riproponendone alcune canzoni in versioni precedentemente inedite. La Geffen ha già rilasciato lo scorso 15 agosto - in occasione del decennale dell'uscita - una ristampa deluxe in doppio CD dell'album omonimo dei Sublime con contenuti aggiuntivi.

Nonostante in "Everything Under The Sun" siano presenti differenti versioni demo di brani, qualche inedito (tra i quali ìuna versione di "Doin' Time" con il rapper Snoop Dogg ed una cover di "Foolish Fool" di Dee Dee Warwick tratta dalle sessioni di registrazioni di "Sublime", ultimo album del gruppo datato 1996) e numerose versioni acustiche, a primeggiare sono le registrazioni dal vivo, spesso estratte da apparizioni radiofoniche. Presenti in buon numero anche le cover, ottenute rivedendo brani di formazioni quali Bad Brains, Bad Religion, Descendents, Grateful Dead e persino Bob Marley.

Il DVD offre invece, oltre a numerosi video-clip, riprese dal vivo effettuate sia durante piccole e primordiali esibizioni che durante concerti alla celebre House Of Blues di Hollywood, in California, per finire con un duetto con Gwen Stefani (allora nei No Doubt) avvenuto nel 1995.

venerdì, novembre 17, 2006

BELLE E... CAPACI!

SECONDO APPUNTAMENTO CON LA RUBRICA DEDICATA ALLE BELLONE DELLA MUSICA ARTISTICAMENTE VALIDE. OGGI E' IL TURNO DI ANASTACIA, FAMOSA PER LA SUA VOCE POTENTE E "NERA", DIVENTATA UNA VERA E PROPRIA ICONA IN EUROPA, OCEANIA, ASIA E SUD AFRICA.


Nata a Chicago il 17 settembre 1973, muove i primi passi come cantante nel dance club newyorkese "1018", che frequenta con la sorella e le fa conoscere la house music e la danza freestyle. Da lì accede all'MTV Club, che la porta a ballare in alcuni videoclip (Everybody get up e Twist and shout delle Salt-N-Pepa), un produttore la nota e le chiede se oltre a danzare sa anche cantare. Ma le case discografiche esitano all'inizio, sia perché non sanno come trattare una ragazza bianca con la voce "nera" sia perché Anastacia non si piega al volere dei produttori che la vogliono cantare musica pop o hip-hop per motivi commerciali. Lei sa bene quale deve essere il suo stile, un mix di soul, pop e rock (che sarà detto sprock).
Nel 1993 si reca a Los Angeles per incidere il brano One more chance (futuro brano del suo album Not That Kind) per il produttore O.G.Pierce, ma alla registrazione non segue alcun contratto discografico e Anastacia torna a New York piuttosto pessimista riguardo le sue possibilità nel mondo della musica.
L'anno fortunato sarà il 1998, quando la sua manager Lisa Braudé la spinge a presentarsi a "The Cut", un programma di MTV per la ricerca di nuovi talenti. Canta Not that kind e supera ben 150 concorrenti, entrando nella top ten. La sua esibizione scatena un entusiasmo immediato di pubblico e dei futuri colleghi (Elton John la elogia, mentre Michael Jackson le telefona la sera stessa per complimentarsi personalmente). Il successo improvviso la rincuora e la spinge ad andare avanti nella sua carriera proprio quando era quasi sul punto di mollare.
Dopo il programma, la carriera di Anastacia è tutta in discesa. Ottiene subito un contratto discografico con la Daylight Records (controllata dalla Epic e dalla Sony) e un team di autori e produttori di primo livello per il suo primo album che viene pubblicato il 27 marzo 2000 con il titolo del suo primo brano, Not That Kind.
Il primo singolo è I'm outta love, rilasciato il 29 febbraio, che le porta subito un enorme successo in Europa, Asia e Oceania e trascina l'album vicino alla vetta nelle classifiche di una dozzina di paesi. Tra il 2000 e il 2001 escono gli altri 3 singoli Not that kind, Cowboys & kisses e Made for lovin' you.
In Australia ottiene un triplo disco di platino, e in tutto il mondo vende oltre 5 milioni di copie. L'enorme successo la porta ad un tour mondiale. L'album esce anche negli Stati Uniti il 27 marzo 2001, ma, nonostante il singolo I'm outta love raggiunga il primo posto nella classifica dance americana, Anastacia non otterrà mai un grande successo nel suo paese d'origine.
Anastacia diventa rapidamente una star e un'icona, grazie alla sua voce magnetica, alla sua musica pop-dance e al suo look: semplice, intellettuale (porta quasi sempre degli occhialini colorati per la sua miopia) e assolutamente sexy.
Il 26 novembre 2001 pubblica Freak Of Nature suo secondo e atteso lavoro, questo è l'album della conferma, un successo anche grazie ai singoli Paid my dues, Why'd you lie to me e la travolgente One day in your life
Nel gennaio del 2003, Anastacia conferma al mondo di avere un cancro di seno e per un breve periodo ha dovuto arrestare interamente le sue attività. Prima dell' intervento chirurgico, nel febbraio 2003, Anastacia ha registrato la canzone Love is a crime per la colonna sonora del film Chicago, nonostante gli sforzi della malattia. Durante i mesi difficili che sono seguiti, Anastacia ha gridato, riso, combattuto, ha cantato e scritto con una passione che non aveva mai conosciuto prima. La sua voglia di combattere era forte, ed è emersa grazie alla sua situazione da "superstite".
Nel settembre del 2003 assieme a Gleen Ballard, Dallas Austin e Dave Stewart, entra in studio per la lavorazione del suo terzo album. Ancora debilitata fisicimente, continua a combattere, i suoi sforzi vengono premiati 6 mesi dopo, quando nel 2004 pubblica il suo album omonimo Anastacia anticipato dal singolo Left outside alone. Successivamente escono i singolo Sick and tired, Welcome to my truth e la ballata Heavy on my heart la prima scritta dopo il tumore (la più importante infatti per lei), è espressa con grande semplicità la fiducia e riconoscenza verso i suoi fan confidando apertamente il suo dolore.
Ha avuto un'infanzia difficile perché il padre ha abbandonato la famiglia, a cui è dedicato il video Welcome to my Truth ma soprattutto la canzone Left Outside Alone. Anastacia ha subito iniziato la sua carriera con il successo del singolo I'm Outta Love. Un successo mondiale che la vede in testa alle classifiche di mezzo mondo per mesi. Solo gli USA sembrano non interessarsi della cantante bianca dalla voce nera, che ancora oggi rimane una sconosciuta in patria e una diva nel resto del mondo.
Nel 2005 ha partecipato con la canzone Everything Burns alla colonna sonora di I Fantastici Quattro, duettando con Ben Moody. Nello stesso anno ha inoltre duettato con Eros Ramazzotti in un brano di cui ha scritto le parole in inglese ed Eros quelle in italiano, I belong to you/Il ritmo della passione, in cui possiamo ascoltare l'amalgama fra due voci diverse e caratterizzate da esperienze musicali altrettanto diverse.
Il 7 novembre 2005 esce il suo primo greatest hits, Pieces of a Dream, in cui sono raccolti tutti i suoi singoli e 4 inediti. Nella primavera del 2006 viene rilasciato un dvd contenente un concerto di Anastacia dal titolo Live at Last; il dvd comprende le riprese effettuate tra il 24 e il 26 ottobre del 2004 a Berlino e a Monaco di Baviera.
Il 17 agosto 2006 esce la sua prima linea di vestiti sponsorizzata da S.Oliver.

giovedì, novembre 16, 2006

MADE IN ITALY : TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI


Per la rubrica dedicata alle realtà di casa nostra, mi occupo oggi di un gruppo abbastanza noto nell'underground (e non) italiano: Tre Allegri Ragazzi Morti
All'attivo già da 12 anni (è un gruppo musicale formatosi nel 1994 a Pordenone in Friuli) sono saliti alla ribalta grazie anche alla scelta di rimanere indipendenti. Il trio, composto da Davide Toffolo, Enrico Molteni e Luca Masseroni, che ha all'attivo diversi album, ha deciso di non donare la propria immagine ai media e di immaginarsi dentro la matita di Davide Toffolo, popolare disegnatore di fumetti, e di nascondersi inoltre dietro maschere/teschio divenute feticcio e simbolo dell'immaginario evocato dai testi e soprattutto dagli spettacoli live.
Dal 2000 il gruppo è indipendente e a capo dell'etichetta discografica La Tempesta, con la quale pubblica i propri lavori e quelli di altri artisti come Giorgio Canali e Moltheni.

Davide Toffolo iniziò a suonare alla fine degli anni '70, quando Pordenone, più che altro per la sua vicinanza alla base militare americana di Aviano, divenne una delle capitali italiane del punk rock. Questo grazie ad un movimento di giovani musicisti pordenonesi chiamato Great Complotto, dal quale usciranno una miriade di piccoli gruppi punk rock e new wave che però avranno quasi tutti breve vita. Tra questi anche i Futuritmi (1983-1990), nella cui formazione, oltre a Toffolo, militava anche Gian Maria Accusani, attuale leader dei Prozac+.
Un aspetto peculiare della band è il loro atteggiamento nei confronti dell'immagine, ai concerti suonano indossando maschere che rappresentano teschi stilizzati pregando il pubblico di non scattare fotografie quando levandosele mostrano il viso, per le poche interviste rilasciate a televisioni più o meno famose gli stessi coprono ancora il volto con la medesima maschera

Discografia

Mondo Naif (1994)
Allegro Pogo Morto (1995)
Si Parte (1996)
Piccolo Intervento A Vivo (dal vivo, 1997)
Mostri E Normali (1999)
La Testa Indipendente (2001)
Il Principe In Bicicletta (2001)
Il Sogno Del Gorilla Bianco (2004)

mercoledì, novembre 15, 2006

Il giusto tributo a Johnny Cash...


The Man In Black continua a essere una guida per molti dei suoi colleghi, lo stile, l’atteggiamento, le canzoni e i testi, ma anche la sua fede, il carisma, tutte doti delle quali Johnny sembrava essere ‘proprietario unico’.
A rinnovare l’omaggio alla grandissima figura americana sono stati 36 celebrità del mondo della musica, cinema e dello spettacolo, tutti insieme per partecipare alle riprese del nuovo video “God's Gonna Cut You Down” (su MySpace è arrivato a quasi 2 milioni di ascolti), estratto dall’ultimo album “American V: A Hundred Highways” uscito a Luglio scorso (vedi news).

Il video è stato ideato dai registi Mark Romanek e Tony Kaye, da Rick Rubin (il produttore) e da Justin Timberlake (?); alle riprese hanno partecipato, tra gli altri, Jay Z, Keith Richards, Johnny Depp, Dixie Chicks, Terrence Howard, Patti Smith, Dennis Hopper, Chris Rock, Chris Martin, Amy Lee (Evanescence), Bono, Iggy Pop, Kris Kristofferson, Kanye West.

martedì, novembre 14, 2006

DISCHI CHE HANNO FATTO LA STORIA



Il 1995 per i Bon Jovi rappresenta l'anno della svolta. L'anno della svolta stilistica dopo l'incredibile successo ottenuto pochi mesi prima da Always, l'anno della svolta dopo che il bassista Alec John Such lascia la band per far posto a Hugh McDonald, l'anno della svolta verso un tipo di sonorità ancora non del tutto collaudate per la band del New Jersey. Gli anni 80 erano stati quelli di Livin' On A Prayer, di You Give Love A Bad Name, di Bad Medicine, insomma, erano stati gli anni della musica da anni 80, canzoni spensierate, milioni e milioni di album venduti, sesso, droga e rock'n'roll.
All'inizio degli anni 90, dopo i primi esperimenti solisti di Jon Bon Jovi (con la colonna sonora del film Young Guns II, Blaze Of Glory) e Richie Sambora (con l'album Stranger In This Town), avviene una sorta di maturazione, che si potrebbe meglio identificare in un adattamento a ciò che sta succedendo nel panorama musicale internazionale. Spopolano i Nirvana con il loro grunge, e i Guns 'n Roses fanno la loro bella parte… non si può tornare in scena con una nuova Bad Medicine (che tutti si aspettavano), ma avviene la svolta verso il sound più maturo di Keep The Faith.
Qualche anno dopo, una volta lasciati alle spalle definitivamente gli anni 80 e superato il periodo di transizione tra due stili musicali diversi, ecco nascere l'album che ha avuto come titolo preventivo Open All Night (un titolo di cui i Bon Jovi hanno sempre voluto scrivere una canzone, e ora ce ne sono ben due!) ma finito sugli scaffali con il nome These Days stampato sulla copertina.
Se una persona mettesse nel lettore cd Slippery When Wet o New Jersey, poi subito dopo These days, la prima reazione sarebbe quella di pensare che non si tratta della stessa band. Un sound decisamente più soft, album caratterizzato principalmente da ballate, o comunque canzoni mid-tempo, alternate solo poche volte da dei pezzi che si potrebbero definire propriamente rock.
Ad aprire l'album, come consuetudine, è proprio una di queste: "Hey God". Decisamente una delle canzoni più heavy mai scritte a quattro pugni da Jon Bon Jovi e Richie Sambora. Il tema della canzone è una sorta di incazzatura nei confronti del padreterno che non si occupa abbastanza di tutti i suoi miliardi di figli. Un sound decisamente insolito per chi è abituato ad identificare Jon & Co. con canzoni del tipo di I'll Be There For You, Bed Of Roses o Always…
A seguire c'è "Something for the pain", un piacevole rock mid-tempo che si rivela poi, in futuro, essere la canzone che riscuoterà il maggior successo tra il pubblico. Il testo, scritto dal fortunato terzetto composto da Jon Bon Jovi, Richie Sambora e Desmond Child (vedi Livin' On A Prayer…) si occupa dello stato d'animo di un uomo che ha visto l'amore volare via. Una specie di inno per scacciare solitudine e tristezza… ma alla fine si sa che l'unica vera medicina, l'unico vero rimedio per questo dolore, è nientemeno che l'amore!
Nella terza traccia troviamo il singolo che ha spianato la strada all'album, la prima vera power ballad che si incontra nel disco. Stiamo parlando di "This Ain't A Love Song", sempre scritta dal terzetto Bon Jovi-Sambora-Child, cerca evidentemente di riuscire ad emulare il successo e la bellezza di Always, evidentemente non con il risultato sperato, ma il lavoro non è certo da scartare.
Segue la title track dell'album. "These Days", una canzone rock mid-tempo abbastanza malinconica scritta da Bon Jovi e Sambora. Il tema è il mondo di questi giorni… un qualcosa che va sempre in degrado, a cui però si deve sempre cercare di far fronte. Un verso significativo della canzone recita "I know Rome's still burning, though the times have changed" (So che Roma sta ancora bruciando, ma i tempi sono cambiati). Una sorta di ottimismo contrapposto al pessimismo che perpetua nel mondo.
La traccia seguente è "Lie To Me", forse la canzone dei Bon Jovi che testimonia maggiormente l'influenza lasciata da Always nel songwriting di Jon e Richie. Tipica love song bonjoviana che ha come tema l'amore a tutti i costi… "Se non mi ami, mentimi" supplica Jon alla sua ipotetica partner. Il risultato è tuttavia piacevole.
A seguire la seconda traccia rock dell'album. "Damned" si presenta con un sound decisamente meno duro della opening track "Hey God", ma siamo comunque di fronte a una delle canzoni "meno soft" del disco. Il tema della canzone è sempre l'amore, ma questa volta la storia è raccontata con un sound decisamente meno dolce rispetto alla consuetudine.
La traccia successiva è quella che io personalmente reputo una delle tre migliori dell'album. Il titolo è "My Guitar Lies Bleeding In My Arms", e qui ci troviamo di fronte a un incrocio tra rock e ballad, con un testo dal significato decisamente malinconico e poco felice. Evidentemente la canzone è stata scritta in un momento di poca ispirazione della band, o è magari il racconto di come ci si sente quando senti che la vita ha poco da darti (simbolica la frase "I can't write a love song the way I feel today, I can't sing no song of hope, I've nothing left to say"). La cosa curiosa è che Jon ha ammesso che ha trovato l'ispirazione per scrivere questa canzone pensando alla storia d'amore di Richie Sambora con l'attrice Heather Locklear, che invece si erano recentemente sposati ed erano felicissimi…
A questo punto, quando sul display del nostro lettore cd compare il numero otto ad indicare la traccia, stiamo ascoltando "(It's Hard) Letting You Go", la prima ballata acustica della band. Esaltata dal suono delle tastiere di David Bryan e l'insolito picchiare leggero delle bacchette di Tico Torres, la malinconia del testo scritto dal solo Jon Bon Jovi traspare per tutta la durata della canzone. La canzone parla ancora di un amore perso, ma questa volta il ritmo è decisamente più blando della trascorsa Something for the pain. Testo comunque molto bello, quasi poetico oserei dire. Una piccola perla per gli amanti del genere soft.
La traccia numero nove si chiama "Hearts Breaking Even", ancora una volta ci troviamo davanti a una fusione tra una rock song con una ballata, con diverse influenze mid-tempo tra le note. Come dal titolo, la canzone scritta da Jon Bon Jovi e Desmond Child, parla di cuori che si spezzano, ancora una volta. Il bello è che pur trattando grossomodo lo stesso tema in più canzoni diverse, siamo davanti a tre canzoni con uno stile sicuramente diversissimo tra loro, e con una somiglianza tematica quasi impercettibile. Sicuramente questo uno dei pregi dell'autore Jon Bon Jovi, affiancato da Sambora.
A seguire troviamo un'altra di quelle tre canzoni che io preferisco nell'album (la mancante delle tre è la title track, "These Days"). Si tratta di "Something To Believe In", canzone dal suono non molto rock a dire il vero, anzi, tutt'altro, ma che esalta particolarmente le grandi capacità canore di Jon Bon Jovi (che ha scritto da solo il testo) e Richie Sambora. Testo che parla di un uomo che perde la fiducia in tutto e in tutti, e che in un mondo che non ti dà niente, ha bisogno solo di qualcosa in cui credere.
La traccia successiva è rappresentata da un'altra mid-tempo veramente molto piacevole, con una tematica sempre incentrata sull'amore, un amore difficile, un amore che sta finendo, ma che si vuole cercare di salvare in tutti i modi. Il titolo è "If That's What It Takes", ed è stato scritto da Jon Bon Jovi e Richie Sambora. A chiudere la versione internazionale dell'album c'è una seconda canzone acustica, canzone che in realtà era stata scritta nel 1988 per essere inclusa in New Jersey, ma poi è stata scartate perchè con il resto dell'album non avrebbe avuto molto a che vedere. Per These Days la canzone è stata ripresa e un attimino "rimodernata". Stiamo parlando di "Diamond Ring", canzone fatta essenzialmente dalla voce di Jon Bon Jovi e Richie Sambora, e la dodici corde acustica dello stesso Sambora. Il tema è ancora una volta l'amore per una donna, ma questa volta solo quello, nessuna crisi, nessun'amore da ricostruire… solo una canzone d'amore nel senso più proprio del termine, che viene cantata usando come "oggetto di riferimento" un anello di diamanti che sarebbe la "materializzazione" della donna e l'amore per lei.
Per chi possiede la versione europea o giapponese dell'album, ci sono ancora due canzoni però da ascoltare. Si tratta delle bonus tracks "All I Want Is Everything" e "Bitter Wine", entrambe scritte dal duetto Bon Jovi-Sambora. La prima è una canzone rock dal sound particolarmente heavy in cui Richie spolvera anche il vecchio talkbox che aveva abbandonato nove anni prima in Livin' On A Prayer. La seconda è una ballata semi-acustica dal suono abbastanza piacevole. Quest'ultima è inclusa come bonus track, a differenza di "All I Want Is Everything", anche nella versione nordamericana dell'album.
In definitiva These Days è un album che rappresenta una maturazione del gruppo dal punto di vista compositivo, in altre parole si potrebbe definire il primo vero album da "cantautori" prodotto dai Bon Jovi insieme al produttore Peter Collins.
Chi suona nell'album è: Richie Sambora alle chitarre elettriche e acustiche, oltre ad essere seconda voce; David Bryan alle tastiere e pianoforte, e voce di sottofondo; Tico Torres alla batteria e percussioni; Hugh McDonald al basso e voce di sottofondo; e ovviamente Jon Bon Jovi, voce principale, percussioni e armonica.
L'album ha avuto un ottimo successo in Europa e in Giappone, mentre il pubblico nordamericano è rimasto più scettico nei confronti di questo album, così come accadde per Keep The Faith, al contrario invece degli album degli anni 80. Tuttavia l'album al giorno d'oggi ha venduto circa 10 milioni di copie in tutto il mondo. Durante l'anno i Bon Jovi ricevono diversi riconoscimenti, tra cui il più importante, il premio come miglior gruppo rock agli MTV European Music Awards di Parigi, durante i quali i Bon Jovi si sono dilettati anche in una grande esibizione live di Hey God.
Dopo quest'album i Bon Jovi partiranno per un lunghissimo tour mondiale che parte in India e termina nel New Jersey dopo essere passato in Europa, Sud Africa, Giappone e Sud America. In Italia la tappa è all'Aquatica di Milano, dove registrano il tutto esaurito. In seguito per la band ci sarà una sosta di cinque anni prima della pubblicazione di Crush, sosta interrotta solo dai lavori solisti di Jon Bon Jovi (Destination Anywhere, 1997) e Richie Sambora (Undiscovered Soul, 1998).

Recensione di A.R.

venerdì, novembre 10, 2006

THE ORIGINAL SOUNDTRACK


New York, 1946. Vito Corleone è un emigrato siciliano che, dopo anni di crimine, si è affermato come il più potente dei boss mafiosi italo-americani della città. La sua organizzazione, con cui gestisce uno spaventoso giro di affari, coinvolge i figli Santino, Alfredo e il figliastro Tom Hagen, avvocato e "consigliere". Corleone riceve la visita di Virgil Sollozzo, noto spacciatore di droga e comunemente chiamato il "Turco", affiliato alla famiglia Tattaglia, una delle altre cinque cosche mafiose newyorkesi, e rifiuta il proprio appoggio nel business della droga. Tra le due famiglie scoppia una feroce guerra fatta di reciproci attentati ai principali capi e rappresentanti. Quando viene a sapere che il padre è in pericolo di morte a seguito di un terribile attentato, Michael Corleone, eroe della Seconda Guerra Mondiale e unico figlio di Vito a non essere coinvolto negli affari criminali della famiglia, convince il fratello Santino, che ha preso momentaneamente il comando della famiglia, a farlo incontrare con Sollozzo per ucciderlo. Michael, alla fine, affronta lo spacciatore di droga e un poliziotto corrotto che lo accompagnava, e li uccide in un ristorante. Per evitare di essere a sua volta ucciso, il giovane lascia l'America e si nasconde nel paese di Corleone, in Sicilia, la terra nativa del padre Vito. Appena ripresosi, Vito riprende il comando della famiglia, ma una tragedia terribile incombe su tutta la famiglia: Santino è caduto in un'imboscata, dove è stato brutalmente ucciso. Colpito profondamente dalla morte del figlio e deciso a porre fine alla faida, Corleone convoca un incontro con le principali famiglie mafiose italo-americane. Durante l'assemblea, si decide di permettere lo spaccio di droga, ma con alcune regole che tutti saranno tenuti a rispettare, pena una nuova guerra. Rientrato in America, Michael prende il posto di Santino nella cosca di famiglia, e in breve tempo il padre gli passa il titolo di boss, ritirandosi a vita privata, ma continuando a consigliare il figlio da dietro le quinte. Al vertice del potere mafioso, Michael sposa Kay Adams, sua antica fidanzata e compagna del college, da cui ha un figlio, Anthony Vito. Grazie ai consigli paterni il novello boss scopre che i capi delle cinque famiglie stanno per esautorare la famiglia Corleone, e che successivamente organizzeranno un incontro che servirà soltanto per ucciderlo. Alla morte del padre, nel 1954, Michael uccide tutti i boss rivali, e punisce chi ha tradito il fratello Santino: è il cognato Carlo Rizzi, marito di Costanza, l'ultima figlia di Vito, che viene strangolato dal caporegime Peter Clemenza per ordine di Michael. Il film termina con la famiglia Corleone che completa gli ultimi preparativi per trasferirsi in Nevada, dove loro e gli affari che gestiscono saranno più al sicuro.

Come tutti i capolavori del cinema mondiale, anche "Il Padrino" è accompagnato da una COLONNA SONORA FANTASTICA. Un grammy, un golden globe e l'immortale posizionamento nella storia della musica, fanno della soundtrack di questo film, qualcosa di memorabile : l'autore è Nino Rota, che, con la sua fosca e intensa opera, come accade ai migliori compositori che si cimentano con la settima arte, entra decisamente a far parte della narrazione: crea le atmosfere ma non solo.
Guida la storia, non si limita ad accompagnarla, ne integra peculiarità e significati. E rimane indissolubilmente impressa, nella mente del pubblico, assieme ai volti e alle ambientazioni de "Il Padrino". Come capitò a Giorgio Moroder con "Scarface". Come capitò a Ennio Morricone con "C'era una volta in America".

giovedì, novembre 09, 2006

RECENSIONE DELLA SETTIMANA


TITOLO : The Black parade
ARTISTA : My Chemical Romance
ANNO : 2006
GENERE : Punk Melodico
PROVENIENZA : New York (USA)

I My Chemical Romance non hanno ormai certo bisogno di presentazioni. C'è chi li ama e c'è chi li odia. Se da una parte ai loro concerti ci sono giovani che urlano e cantano le loro canzoni, dall'altra c'è invece gente pronta a prenderli a bottigliate perché non sopporta la loro maniacale cura ed attenzione per l'aspetto esteriore, le venature pop delle loro canzoni ma, soprattutto, l'atteggiamento a volte strafottente del loro leader Gerard Way. Ma in fondo questa è la sorte che tocca a tutti quei gruppi che, se si può dire, hanno la "fortuna" di essere presi sotto l'ala protettrice di MTV. Dal canto loro i My Chemical Romance il successo se lo sono anche meritato, grazie alla loro proposta sonora che, partendo da una base emo e punk, sfocia addirittura in ambienti più gotici ed addirittura screamo, quando la band concede maggiore spazio alla sperimentazione.

Dopo il grandissimo successo di pubblico ottenuto dal precedente "Three Cheers For Sweet Revenge" i ragazzi non si sono fermati a dormire sugli allori sfornando, non appena calmatesi le acque da esso agitate, un nuovo album, "The Black Parade", un disco ambizioso ed al tempo stesso rischioso, trattandosi di un lavoro concettuale. Quando si ha a che fare con questa categoria di album è infatti semplice cadere nel ripetitivo oppure annoiare l'ascoltatore, ma tali preoccupazioni non sembrano aver toccato minimamente i cinque del New Jersey, che con "The Black Parade" riescono ad accontentare anche i palati più raffinati, dando una grande prova di tecnica e bravura, districandosi come sempre in diversi ambienti musicali, questa volta raggiungendo pure sonorità più classiche. Anche per i più scettici e diffidenti sarà infatti inevitabile notare, lungo le tredici canzoni che compongono il disco, la grande influenza che band come Queen e Guns N' Roses hanno avuto sulla formazione americana, da rilevarsi soprattutto nel suono delle chitarre ("Teenagers" e "I Don't Love You" in particolar modo), nei numerosi assoli dal sapore retrò, ma anche nell'inserimento sporadico di un pianoforte, strumento molto utilizzato dalle due leggendarie band sopraccitate.

Nonostante questi forti richiami al passato, "The Black Parade" si presenta comunque come una opera strettamente punk rock, un lavoro che riesce a differenziarsi nei confronti dei suoi predecessori per una maggiore luminosità, per una maggiore vivacità riscontrabile nelle varie canzoni, un lavoro dunque forse meno immediato dei precedenti ma comunque di alto livello e da non sottovalutare. Il lato più gotico e depresso della band infatti lo si rileva maggiormente nei testi, dove, utilizzando a parodia una parata funebre ("the black parade"), Way ha voluto dare un'immagine sicuramente negativa della società di oggi, nella quale la morte sembra dominare sulla vita, fornendo anche una visione pessimistica relativa al futuro e muovendo una critica nei confronti delle nuove generazioni di giovani ("they said all / teenagers scare / the living shit out of me", recita il testo di "Teenagers") senza lasciare nessun messaggio di speranza.

L'album si apre con l'acustica "The End", dove con sarcasmo Gerard Way narra, in prima persona, della morte del protagonista dell'album, "The Patient"; l'atmosfera si fa già più movimentata con la seguente "Dead", nel cui finale le chitarre vengono violentate dal duo Toro/Iero con un assolo energico e tagliente per sfociare poi in un coro quasi gioioso, in netta contrapposizione con gli argomenti non propriamente felici del testo. Tra i pezzi che maggiormente colpiscono sicuramente vanno annoverati il primo singolo "Welcome To The Black Parade", con la sua marcia iniziale che si tramuta in un puro e semplice punk rock, la ballata al pianoforte "Cancer", ottimamente interpretata da Way, che riesce ad esprimere al meglio l'atmosfera maliconica della canzone, e "Sleep", forse il pezzo più dark e dunque più vicino alle sonorità degli album precedenti, caratterizzata da un finale distorto ed urlato.

La produzione dell'album, a cura di Rob Cavallo (già autore del pluri-premiato "American Idiot" dei Green Day), si rivela davvero ottima e sicuramente sembra aver lasciato intrinsecamente il segno nel suono della band, considerato anche come alcuni episodi e particolari richiamino quanto fatto da Billie Joe Armstrong e compagni (il riff di "House Of Wolves" sembra quasi una versione velocizzata di "Hitchin' a Ride" con influenze più rock che ricordano addirittura i Kiss di "Detroit Rock City"). Forse è proprio questo che potrà fare storcere il naso ad alcuni fan della band, soprattutto a quelli più legati al loro lato più hardcore, che in questo album sembra andato perduto, vista l'assenza di episodi caotici e chiassosi come le passate "Hang 'Em High" o "Never Told You What I Do For a Living".

Questa terza prova della band non presenta certo l'immediatezza del suo predecessore, al suo interno di certo non si trovano canzoni di forte impatto come "Helena" o "I'm Not Okay", tuttavia è innegabile l'alta qualità che caratterizza tutti i brani, dal primo all'ultimo. Può essere dunque molto difficile apprezzare subito un lavoro complesso ed articolato come questo, come può essere anche molto difficile riconoscerne l'accuratezza e l'impegno che ne stanno dietro, perché "The Black Parade" è un disco che ha bisogno di tempo per essere assimilato e conosciuto in tutti i suoi aspetti. Di conseguenza se ad un primo ascolto può deludere, occorre concedergli ancora una seconda, una terza possibilità, ed allora le soddisfazioni cominceranno ad arrivare.

Nicolò Riccomagno

mercoledì, novembre 08, 2006

SYSTEM OF A DOWN CONTRO I GENOCIDI !


E' DI QUESTI GIORNI LA NOTIZIA, CHE VI RIPORTO INTERAMENTE DI SEGUITO, CHE VEDE I SYSTEM OF A DOWN PROTAGONISTI DI UNA BELLA INIZIATIVA CONTRO TUTTI I GENOCIDI E CONTRO LA LORO NEGAZIONE...

Il gruppo di origine armena ha composto la colonna sonora del film “Screamers”, diretto dall’attivista umanitaria Carla Garapedian, nel quale viene riletta la storia dei genocidi moderni e della loro negazione, in particolare il film inizia con il secondo genocidio armeno, quello del 1915 per mano del governo turco che portò alla morte di circa 2.000.000 di armeni.
I SOAD, da sempre forti sostenitori del riconoscimento del genocidio armeno, “vogliono alzare la voce per diffondere il messaggio dell’Armenian Genocide Recognition all’interno degli Stati Uniti, i quali, insieme ad altre potenze, devono ancora riconoscere ufficialmente il fatto” hanno scritto i musicisti “Ci siamo sentiti obbligati a lavorare a questo progetto unico che mostra come la negazione di questi crimini abbia portato a genocidi di più vaste dimensioni nel 20eismo secolo, dall’Olocausto alla Cambogia, Bosnia, Rwanda, fino al presente Darfur”.

“Screamers”, che vede il contributo del nonno di Serj Tankian come un sopravvissuto della strage, vuole portare il pubblico a chiedersi le grandi domande sul tema: possiamo fermare i genocidi?
Davvero intendiamo vogliamo che non succeda mai più?

Il film è stato presentato a Los Angels durante la rassegna AFI Film Festival e arriverà nei cinema americani il prossimo 12 Gennaio.

(da www.rockstar.it)

martedì, novembre 07, 2006

MUSIC & FOOTBALL : Omar Pedrini

QUANDO SUONAVA NEI TIMORIA ERA FACILE VEDERLO SALIRE SUL PALCO CON LA MAGLIA BIANCOBLU DEL BRESCIA, UNA SQAUDRA CHE HA NEL CUORE E CHE RAPPRESENTA LA SUA FIERA APPARTENENZA ALLA CITTA' LOMBARDA (HA ANCHE LA LEONESSA CON LA SCRITTA BRIXIA TATUATA SUL BRACCIO).
UN MUSICISTA ECLETTICO, DA MOLTI CRITICATO DOPO L'ABBANDONO DI RENGA DAI TIMORIA E REDUCE DA UNA BRUTTA ESPERIENZA NELLA QUALE STAVA PER MORIRE, OMAR PEDRINI NON HA MAI NASACOSTO LA SUA PASSIONE PER IL CALCIO, COME CONFEMRA QUESTA PARTE DELLO SPECIALE DEDICATOGLI DA RADIO ITALIA...


L’album “Vidomàr” si chiude con il brano omonimo: si tratta di un reading (testo recitato con la musica a sottolineare i passaggi salienti) nel quale Omar racconta la genesi del proprio nome, spiega come e perché si è innamorato di Sivori (pur non essendo tifoso della Juventus, bensì del Brescia) e si sofferma su quei campioni del passato che hanno saputo suscitare emozioni simili all’arte. Sivori, per esempio, possedeva la genialità istintiva di Jimi Hendrix; Mohamed Alì (Cassius Clay) è accostato a Charlie Parker; Jilles Villeneuve gli ricorda la tromba di Chet Baker. Grande appassionato di tennis, il suo idolo resta l’ex numero uno del mondo John McEnroe, che definisce un poeta della racchetta con colpi geniali paragonabili agli schiaffi di vernice sulla tela di Pollock e con un carattere irascibile e indisciplinato da autentico rocker: insomma, un personaggio alla Keith Richard dei Rolling Stones. Carmelo Bene diceva che per vedere l’arte era necessario andare a San Siro quando giocava l’olandese del Milan Marco Van Basten; invece Omar è convinto che il re, l’Elvis Presley dei campi da gioco, sia stato l’argentino Diego Armando Maradona.
«Ho sempre amato i calciatori capaci di accendere l’entusiasmo della folla con una magia. Sono tifoso del Brescia, ma ho una forte simpatia anche per il Napoli proprio nel ricordo delle emozioni che mi ha regalato Maradona. Diego Armando è protagonista anche del brano “Quelli come me”, che rappresenta la mia risposta, affettuosa e per nulla polemica, alla vita da mediano cantata da Ligabue: io ho sempre vissuto da numero 10 (il fantasista) cercando il colpo di genio che può illuminare un’esistenza, senza preoccuparmi troppo degli inevitabili rischi e tristezze. La mia è una vita piena di brividi: un incessante trasloco dalle stelle alle stalle».
E oggi chi sono i campioni che regalano emozioni? «Uno degli ultimi geni è stato Roberto Baggio, poi il pilota di Formula Uno Fernando Alonso e il mio amico motociclista Marco Meandri; però la mia passione sportiva più intensa è la Ferrari e naturalmente sono tifoso di Michael Schumacher. Nel brano “Vidomàr” cito Villeneuve e non lui, che pure ha regalato al Cavallino Rampante di Maranello trionfi quasi inimagginabili, per un motivo molto semplice: Schumy è un pilota immenso, però Jilles era un autentico artista del volante, anche se non ha avuto il tempo di conquistare alcun titolo mondiale».

lunedì, novembre 06, 2006

LIVE REPORT : PEARL JAM - Verona, Arena (16/9/2006)

FABIETTO, AMICO E LETTORE DI DIFFERENTMUSIC MI HA SEGNALATO QUESTO BEL REPORT DEL CONCERTO DI VERONA DEI PEARL JAM, PUBBLICATO SU ONDAROCK.
LA BAND DI SEATTLE HA òASCIATO IL SEGNO IN TUTTE LE DATE ITALIANE DEL TOUR E LA COSA NON CI MERAVIGLIA AFFATTO...

Sono sei anni che la band di Seattle manca all’appuntamento dal vivo in Italia, paese amato quanto ignorato, almeno dopo la chiusura del tour di “Binaural”. Oggi, una settantina di dischi dal vivo dopo, i Pearl Jam tornano in quello che Vedder definisce “uno dei tre posti al mondo in cui mi piace suonare di più”.
E’, ormai, pomeriggio inoltrato e, all’interno dell’Arena, cominciano ad accendersi le prime, deboli luci. L’attesa del pubblico è a dir poco spasmodica e sembra quasi che la città si sia fermata di colpo, come un gigantesco cuore d’innamorato che attende il ritorno dell’amore della sua vita. Ma, contemporaneamente, tutti sperano che Bob Dylan non sia davvero quel profeta che dicono. E una dura, fitta pioggia comincia a cadere. Un centro commerciale diventa, di colpo, un campo zingaresco. C’è chi suona “Daughter” con una chitarra acustica, chi beve vino rosso per riscaldarsi e chi prepara impermeabili da caccia alla balena.
Poi, verso le otto e trenta, la pioggia offre la sua tregua e tutti escono come topi dalle loro tane, con la speranza che i Pearl Jam riescano a creare la loro magia, al di sopra della stessa volontà atmosferica. Ma a godersi la tregua sono soltanto gli ottimi My Morning Jacket, alfieri di una sintesi efficace di Rem e U2. Lo scenario, all’interno di un’ arena stracolma, è splendido, nonostante le poltroncine zuppe. E, lentamente, una pioggia sottile ricomincia a cadere su un pubblico stoico, in visibilio totale.
Questa volta, però, la pioggia diventa un fattore aggiunto. Le luci si spengono e un boato assordante accoglie Vedder e soci. Poi un silenzio liturgico accompagna i primi accordi di “Release”. La nenia à-la Doors avviluppa tutti come un serpente benevolo e, quando Vedder innalza la canzone al cielo, le luci giocano con l’acqua che scende incessante. Il concerto è soltanto all’inizio, ma la magia di Verona è già compiuta.
Il Seversen III offre le prime parole alla platea e invita tutti alla sicurezza, assicurando che l’Italia è per il gruppo come una seconda “patria”. “Siete belli bagnati…” dice al pubblico, e immediatamente il gruppo lo segue nella copia zeppeliniana di “Given To Fly”. E’ soltanto la terza canzone, ma “Curdoroy” viene accolta con un boato e il duo Gossard-McCready comincia a trascinare la folla, tentando di annullare l’effetto quasi paralizzante della pioggia che viene giù sempre più forte.
Così, arriva il momento di gloria del riff: McCready salta come un indemoniato e “World Wide Suicide”, “Do the Evolution” e “Severed Hand” fanno riscaldare i piedi bagnati e infreddoliti. E quello che rimane è soltanto un po’ d’invidia per il vino rosso che Vedder sta bevendo da una bottiglia, al riparo, mentre apre la bellissima “Love Boat Captain”.
Lo show prende piede in maniera veemente e McCready esalta Verona con una prestazione incendiaria durante “Even Flow” con tanto di chitarra dietro la nuca. Il tempo di un blues (“Half Full”) e di una ballata da lucciconi agli occhi (“Gone”) e il miracolo tanto atteso si avvera. Nel momento in cui Matt Cameron comincia a martellare il ritmo di “Not For You”, la pioggia cessa di battere e uno squarcio di notte stellata illumina l’arena. Forse è un messaggio di Kurt Cobain, ovunque egli sia in questo momento.
Mentre un timido vento accarezza i vestiti bagnati, arriva il turno della splendida, intensa “Jeremy”. I Pearl Jam tornano ai loro classici del passato con un’emozionante versione di “Betterman” e una sanguigna “Blood”. Certo, Vedder non ha più la voce degli inizi, ma la carica è rimasta intatta, così come la capacità di sentire e far sentire i suoi testi.
Il frontman apre, subito dopo la nuova “Inside Job”, anche un momento di celebrazione. “Come Back” viene teneramente dedicata allo scomparso Johnny Ramone e a tutti i fan dei fratellini di Forest Hill che, all’unisono, non esitano a intonare l’immortale slogan demenziale “Hey! Ho! Let’s go!” quando la band esegue la cover di “I Believe In Miracles”.
Vedder decide che è arrivato il momento di dare spettacolo e, così, durante una vibrante “Porch” bagna di luce ogni lato dell’arena con il riflesso della sua chitarra. “Elderly Woman” scatena le ugole di tutti, seguita da una quasi gag della band che parte, per pochi minuti, in una demenziale cover di “My Sharona”, trasformata da Vedder in “My Verona”.
Al di là dell’inutilità della cosa, il pubblico si dimena, divertito dall’omaggio inaspettato.
E’ soltanto il prologo, la quiete prima della tempesta. Il finale della band, durante il secondo bis, è un crescendo sorprendente, infuocato, mozzafiato. Si parte con “Once” per sfociare nell’immortale inno “Alive”, con Vedder che si dimena, forse leggermente ubriaco, prima sul palco e poi addirittura salendo lungo le due gradinate laterali dell’arena.
Le luci si accendono del tutto e sembra di vivere uno scenario da apocalisse sonora durante la travolgente cover di “Rockin’ In The Free World” di Neil Young e, soprattutto, con il finale pirotecnico di “Yellow Ledbetter”. McCready si esalta e saluta Verona, disteso a suonare sul palco. Applausi, esaltazione, gioia. Il concerto è finito e, con esso, tutte le energie vitali di un pubblico che, mai come stasera, ha dimostrato cosa voglia dire amare una rock band.
Ci rivediamo tutti tra sei anni. O forse no?

Mauro Vecchio

venerdì, novembre 03, 2006

BELLE E... CAPACI!


INIZIA OGGI UNA NUOVA RUBRICA DEL BLOG, CHE PRENDE SPUNTO DALLA MAIL PUBBLICATA QUALCHE SETTIMANA FA, NELLA QUALE SI SPARAVA A ZERO SU QUELL'INCAPACE DI PARIS HILTON.
GIA', PERCHE' IL MIO BLOG, COME CHI LO LEGGE, E' NEMICO DICHIARATO DI QUELLE STRONZE CHE NON SANNO MINIMAMENTE FARE MUSICA E CHE VENDONO MILIONI DI DISCHI SOLO PERCHE' HANNO UN BEL CULO E UN FISICO DELLA MADONNA.
DI CONTRO PERO', E' GIUSTO SOSTENERE CHI HA DELLE DOTI ARTISTICHE E VOCALI NOTEVOLI E A QUESTE UNISCE UNA GRAN BELLA PRESENZA E UN ATTEGGIAMENTO SEXY PER LA GIOIA DI TUTTI I MASCHIETTI.
RAGAZZE BELLISSIME CHE POTREBBERO MANDARE A CASA PARIS, BRITNEY E TUTTE LE ALTRE STRONZETTE... DA TUTTI I PUNTI DI VISTA!

Iniziamo la rubrica con Fergie, ex cantante dei Black Eyed Peas, uscita di recente con il suo primo disco solista.
Una bellissima voce, una brava attrice e un fisico della madonna!
Stacy Ann Ferguson, meglio nota come Fergie, è nata in California nel 1975.
Fin da bambina muove i primi passi nello star-system, partecipando al programma televisivo Kids Incorporated. Inoltre ha prestato la sua voce a Sally Brown negli speciali televisivi della famosissima striscia americana Peanuts.
In seguito forma la band White Orchid insieme ad altredue protagoniste di Kids Incorporated, e con questa formazione pubblicherà due album, prima che la casa discografica scegliesse di rescindere il contratto.
Fergie entra in una profonda crisi in seguito allo scioglimento della band, costellato da crisi psicologiche e dall'abuso di droghe sintetiche.
La svolta definitiva della sua carriera arriva nel 2003, quando entrerà a far parte del gruppo Black Eyed Peas.
Nel settembre del 2006 Fergie inizia la sua carriera solita con la pubblicazione dell'album The Dutches

RECENSIONE di THE DUTCHES: Molto spesso ci capita di vedere dei bambini rappresentati sulle campagne pubblicitarie di prodotti come cereali. Ed è proprio così che Stacy Ann Ferguson, alias Fergie, ha fatto i suoi primi passi nel mondo dei media. Malgrado non sia stato un inizio di carriera particolarmente originale, il futuro ha riservato però alla giovane ragazza ben altre sorprese. Oltre a comparire in un programma televisivo per bambini, intitolato Kids Incorporated e a doppiare il personaggio di Sally Brown in due speciali episodi del famoso cartone animato Charlie Brown, Fergie si è aggiudicata, di recente, un posto di vocalist in seno a una delle formazioni più popolari degli anni 2000, i Black Eyed Peas.
Dopo aver firmato un milionario contratto con l’etichetta di Will.I.Am, ora Fergie si presenta al pubblico con il suo primo album da solista intitolato The Dutchess che rimane fedele allo spirito dei Black Eyed Peas ma che afferma la sua personalità. Grazie all’aiuto di Will.I.Am e a Ron Fair, la cantante compie la sua missione alla perfezione. La ricetta per il successo è molto semplice: allineare una quindicina di brani spesso energici su dei ritmi pop e R&B tenuti insieme da uno spirito hip-hop. Certamente le sfumature della sua voce contribuiscono ad apportare un evidente charme all’album e le canzoni più tranquille come Finally, Bad Girls Don't Cry permettono alla vocalist di farlo senza troppi problemi. Con questo suo primo album da solista la cantante doveva dimostrare una certa capacità di crescita professionale. Possiamo tranquillamente affermare che con finezza e sensualità è nata un'artista vera.

giovedì, novembre 02, 2006

SABATO HARDCORE!


Serata di punk & Hardcore sabato a Palazzo Granaio, Settimo Milanese.
Saranno di scena Viboras e Gettin'grey, aperti da un gruppo emergente ancora da definire.
Lo spettacolo inizierà alle 22 e il prezzo di entrata è 2 €...
STAY HARCORED!