giovedì, luglio 27, 2006

RECENSIONE DELLA SETTIMANA


TITOLO : Yes, Virginia
AUTORE : Dresden Dolls
GENERE : Punk / cabaret
ANNO : 2006
PROVENIENZA : USA

L’abitudine a dare al sopracciglio la forma del ghirigoro che si preferisce continua ad andare di pari passo alla libera e burlesca interpretazione del mondo, per i Dresden Dolls, anche dopo l’efficace biglietto da visita siglato dalla cifra dell’omonimo album. Forte di un notevole carisma promozionale riempito di una naturale e peculiare energia, incarnata dalla maschera decadente e brechtiana di Amanda Palmer, estrosa pianista sospesa tra l’eleganza dello strumento e una personalità incandescente, perfettamente enfatizzata e abbracciata dalla figura sullo sfondo del batterista/pierrot Brian Viglione, il duo torna in scena con "Yes, Virginia".

Inscatolare il disco in un genere risulta impresa quantomai ardua, data la molteplicità degli spunti e delle suggestioni. Ciò che immediatamente colpisce è un modus assolutamente viscerale di approcciarsi allo strumento, tanto per il pianoforte di Amanda, quanto per la batteria di Brian. Lo scenario è una sorta di teatrino d’avanguardia direttamente restaurato dalla Belle epoque: ci si aspetterebbe una performance à-la Ute Lemper, oppure, ripescando nel passato più immediato, una tragicommedia vicina all’ironia pungente di The Vanity Set, ma niente di tutto questo. Gli ascolti post-punk tradiscono un’energia, un picchiare forsennatamente sul pianoforte e sulla batteria, insieme a un cantato dalla smorfia grottesca e terrorifica, alleggeriti da un piglio esteta e più diretto, rispetto alla ruvidità del grembo progenio.

L’apertura riporta da subito alla mente la forza vitale con la quale Amanda canta e suona il pianoforte, come un moto improvviso con il quale ci si desta e si spalanca ogni finestra, elettrizzati dalla primavera, lasciando entrare tutta la brezza che c’è (“Sex Changes”) e che rivolta l’aria di casa con esagitata freschezza di furiosa voce e iperattiva batteria (“Modern Moonlight”).
Il sipario del cabaret si apre su una ballerina che, strizzata in una guepière , danza intorno a una sedia con ammiccare dietrichiano (“My Alcholic Friends”). Se, prossimi al giro di boa, i toni si addolciscono nel pathos pulsante frammenti di cuore à-la Tori Amos (“First Orgasm” e “Mrs O”), sul finale si torna all’ironia sicura di sé, in un cantato ai limiti della sfacciataggine, dove il tempo è segnato dal ticchettio ruffiano di pianoforte e batteria in un teatrino off (“Mandy Goes To Med School”).

La chiusura rivolta al mondo è, come racconta il video del singolo, un coinvolgente invito al cantare di sé, in ogni sua umana espressione, senza abbandonare la smorfia innocuamente grottesca che rimarca la stupefacente mimica facciale della pianista (”Sing”). L’indulgere all’emotività, che pervade tutto l’album, non toglie il senso del divertissement, capace di ricreare l’improbabile contrasto tra il color seppia di vecchie suggestioni mitteleuropee e il volto del post-moderno americano, così da lasciare che il sopracciglio continui liberamente a seguire il proprio disegno.

MIMMA SCHIROSI

mercoledì, luglio 26, 2006

MELVINS : a ottobre il nuovo album!


l gruppo di Aberdeen è forse più famoso per aver dato lavoro come facchino a Kurt Cobain, visto che come chitarrista era ancora troppo ‘emozionato’ all’idea di far parte dei Melvins, ma l’importanza della musica di Buzz Osbourne non è mai stata messa in discussione.
Attivi in sala prova dal 1983, i Melvins arrivano al debutto discografico tre anni dopo e fino ad oggi hanno pubblicato più di trenta LP, l’ultimo è una riedizione dal vivo dell’album “Houdini” uscito originariamente nel ’93; la versione moderna si intitola “A Live History of Gluttony and Lust” ed è stato pubblicato dalla Ipecac Recordings di Mike Patton lo scorso Maggio.

Sempre per l’etichetta dell’ex-Faith No More uscirà la loro nuova raccolta di inediti: “A Senile Animal” sarà disponibile dal 10 Ottobre (in formazione due nuovi acquisti: Coady Willis alla batteria e Jared Warren al basso, entrambi provenienti dai Big Business).

Non si hanno notizie ulteriori sulla scaletta e sulla copertina, ma sul sito mammothpress.com è possibile leggere una lunga intervista a Buzz Osbourne.

martedì, luglio 25, 2006

DISCHI CHE HANNO FATTO LA STORIA


CONSUETO APPUNTAMEN TO CON GLI ALBUM CHE HANNO SEGNATO UN'EPOCA.
PARLIAMO DEI METALLICA, PIU' PRECISAMENTE DEL LORO DISCO DI ESORDIO, CHE FECE CAPIRE A TUTTI, DI CHE PASTA ERANO FATTI I FOUR HORSEMEN...

Nel 1983, un fulmine a ciel sereno squarciò il panorama metallaro mondiale, il suo nome era "KILL 'EM ALL"; con questo disco i Metallica istituzionalizzarono Thrash e Speed-Metal, i cui primi barlumi si sentirono a partire da Motorhead e Venom. Le danze si aprono con "Hit The Lights", pezzo dall'apertura in fading velocissimo, in cui il grande Hetfield innesca una ritmica serrata, seguita dalla chitarra più veloce del Mexico, Kirk Hammett, dal basso del grande e compianto Cliff Burton e dalla batteria del piccolo danese Lars Ulrich. Non è musica per signorine, questa è pura potenza sonora su cui il cantato a squarciagola dell'uomo capace di ingoiare 23.000.000 di litri di birra si snoda violento e possente.
Terminato questo terremoto arriva IL pezzo per antonomasia dei 'Tallica: "The Four Horsemen", inizialmente intitolato "The Mechanix" e scritto da Dave Mustaine e Hetfield. Dopo la dipartita del buon Dave, che l'ha comunque incluso nel debutto dei Megadeth "Killing Is My Business…", i quattro cavalieri vi hanno inserito uno splendido intermezzo arpeggiato, su cui Hammett costruisce un solo davvero melodico e melanconico. Il testo è, secondo me, profondo e sentito (parla dei Quattro dell'Apocalisse, come si può facilmente intuire); il terzo pezzo, "Motorbreath", è il primo brano Thrash della storia, l'omaggio giovanile di James ai Motorhead che tanto lo hanno influenzato e ispirato. Il testo non è 'sto granché, ma la ritmica al fulmicotone, i soli tirati ne fanno un episodio indimenticabile.
La quarta track, "Jump in the Fire", è un esempio di maturità. Il riff di introduzione è fenomenale e l'ultimo solo in fade-out è uno tra i miei preferiti di sempre. Il testo non dà spunti pazzeschi, ma ricordiamoci che l’età media dei componenti che hanno scritto ed eseguito “KILL ‘EM ALL” era sui 20 anni e, per loro stessa ammissione, in quel periodo erano più le volte che erano ubriachi che altro. Ma passiamo a “(Anestesia) Pulling Teeth”, un solo di basso del buon Cliff Burton con Wha e distorsore, davvero eccellente e che conferma le eccezionali capacità tecnico-compositive di uno dei più grandi musicisti mai esistiti.
La traccia 6, ”Whiplash”, è uno dei pezzi più violenti, spaccatimpani e da head-banging di sempre. Parla della vita “On The Road”, e secondo la mia opinione è spettacolare, tanto che live diventa fantastico sentire Hetfield che bercia: ”Adrenaline starts to flow… ”. ”Phantom Lord”, l’episodio successivo, non è tanto considerato, ma io lo apprezzo fortemente, perché è cupo, potente, incalzante, e propone un intermezzo coi fiocchi.
”No Remorse” non ha bisogno di commenti, così come la seguente “Seek and Destroy”, due composizioni che trattano praticamente lo stesso argomento, sotto angolazioni diverse e con il comune denominatore della violenza spietata ed efferata. La conclusiva ”Metal Militia” ci arruola tutti nella milizia metal, e sentirla ci fa rimpiangere uno di più grandi gruppi di ogni tempo, capace di pubblicare tre album fenomenali e di annullare sé stesso proponendoci “Reload” .
Mi mancano i veri Metallica, consigliato a tutti.

lunedì, luglio 24, 2006

MADE IN ITALY : OXXXA


RIPRENDE IL NOSTRO VIAGGIO ALLA SCOPERTA DELLE REALTA' MUSICALI DEL NOSTRO PAESE.
OGGI CI OCCUPIAMO DEGLI OXXXA, BAND CONOSCIUTISSIMA NELL'AMBIENTE DEL POPROCK CON INFLUENZE DANCE E APPREZZATA IN TUTTA LA NAZIONE...

Considerati all'unisono da pubblico e critica La Migliore Cover Band d'Italia gli OxxxA, nel terzo millennio, entrano a far parte di questa ristretta rosa delle Band di Culto e Punto di Riferimento nel settore INTRATTENIMENTO MUSICALE!
Apprezzatissima da un vastissimo ed eterogeneo pubblico, la band non sbaglia mai un colpo, soddisfacendo a pieno l'inesauribile voglia di divertimento dei nottambuli più' esigenti .
Indiscutibilmente CARISMATICI, AFFIATATI e COINVOLGENTI si avvalgono di un repertorio che tocca svariati generi di diverse epoche musicali, aventi tra di loro un'unica caratteristica comune: devono essere (o essere stati) dei GRANDISSIMI HITS!
La continua cura dei particolari e la ricerca di arrangiamenti e suoni all'avanguardia fanno degli OxxxA un Gruppo in continua evoluzione. Vengono scelti e sponsorizzati dalle marche di strumenti più prestigiose, contesi dai migliori locali LIVE e voluti dalla 20 Century Fox all'interno della mitica catena PLANET HOLLYWOOD come "colonna sonora" di serate di festa.
Le loro performance hanno toccato persino le coste del Kenya, di Zanzibar, delle isole Maldiviane e Caraibiche!!
OxxxA nasce dall'unione ormai ultra decennale tra il cantante Luca SCONTRINO,il batterista Giorgio BESANA ed il tastierista Alessandro ZACCHERONI,che vivono insieme le più svariate esperienze musicali, fino a raggiungere una definitiva identità di gruppo con l'ingresso del bassista Juri BOMPAROLA (04) e il chitarrista Vanni BUCCOLIERO (06).
Il grande affiatamento che lega questi cinque ragazzi è facilmente riscontrabile nella vita come, e soprattutto, sul palco dove l'entusiasmo e la voglia di divertire divertendosi, si legano perfettamente all'innegabile professionalità e cura per i particolari.
Nonostante dotati di un "front-man" dalle grandi potenzialità vocali e carismatiche, l'incredibile miscela esplosiva viene ottenuta dalla pronunciata personalità di ciascun elemento, non esiste traccia di rivalità o competizione sul palco ma solo ed esclusivamente alleanza, collaborazione e grinta necessaria ad ottenere obiettivi comuni.
Non rimane quindi che andarli a conoscere personalmente dal vivo! ...



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RUDE RECORDS : da anni sulla cresta dell'onda!


Torniamo a occuparci di etichette discografiche.
Oggi è il turno della RUDE RECORDS, label che si è fatta largo negli ultimi anni, annoverando, tra le sue fila, gruppi più o meno in vista come ELVIS JACKSON e FRANZISKA...
A parlarcene è il numero uno dell'etichetta, Ilich.

Ciao a tutti!
Rude Records è un'etichetta discografica che ormai da svariati anni cerca di unire professionalità e passione, quest'ultima è sempre stata predominante, con il tempo poi e facendo esperienze interessanti ed importanti la professionalità è cresciuta.
Mi sono sempre occupato di guardarmi attorno e cercare di dare supporto a quei progetti genuini che purtroppo non trovano grande spazio ma che hanno sicuramente tanto da trasmettere e comunicare.
Sono passato attraverso parecchie situazioni che mi hanno dato una visione più generale ma nello stesso tempo più approfondita del mondo della musica, del music business, delle realtà con cui ci si deve scontrare e di quelle con cui è possible coltivare un'intesa. Ed eccomi qui ancora oggi con grande passione e grande voglia di continuare ad occuparmi di qualcosa di fantastico: la musica. E vi assicuro che se non ci fosse passione sarebbe veramente dura, si lavora tanto tempo per avere alle volte pochissimi risultati, ci si guarda intorno e c'è solo pessimismo e sempre meno voglia di fare, quindi è necessario che il piacere nel portare avanti un etichetta discografica sia di molto maggiore alle aspettative che si hanno.
Non nascondo però a nessuno e penso sinceramente che chi si occupa di musica sia veramente fortunato.

domenica, luglio 23, 2006

LIVE REPORT : Guns n' Roses (GODS OF METAL - Milano 2006)


L'Idropark chiama e il popolo del rock duro risponde. E' di scena il Gods of Metal, quest'anno in gran spolvero per via del decimo anniversario. Un cartellone zeppo di nomi, 4 giornate (dall'1 al 4 giugno) che dalle 10 di mattina fino a notte fonda, hanno visto avvicendarsi sul palco leggende giurassiche e nuovi idoli del metal e dintorni, dai Venom ai Motorhead, dagli Alice in Chains ai Korn, con un appuntamento intermedio tutto dedicato alle band italiane.
Ma l'attrazione principale, ca va sans dire, erano i redivivi Guns N' Roses. O meglio, quel che, dopo anni di controversie, proclami disattesi, reunion e album abortiti, è rimasto della famosa rock'n'roll band americana: Axl Rose e il tastierista Dizzy Reed. Perché gli altri, chiamati a riempire la voragine lasciata da Slash, McKagan e Stradlin, sono tutte new entry: i tre chitarristi Robin Finck (Nine Inch Nails), Ron 'Buckethead' Thal e Richard Fortus, il secondo tastierista Chris Pitman, il bassista Tommy Stinton (Replacements) e il batterista Brian 'Brain' Mantia (Primus). E' insomma una line-up decisamente assortita e tuttora in rodaggio, con un fantomatico album nel cassetto, "Chinese Democracy", della cui uscita si favoleggia da così tanto tempo da essere diventato materia di barzellette. Ma i rockettari più incalliti, si sa, hanno buona memoria e basta il ricordo degli anni ('87-'91) in cui i Guns misero a ferro e fuoco il pianeta (80 milioni di dischi venduti), o quello dell'ultima apparizione italiana (lontano 1993), a risvegliare antichi ardori e a catapultarli in massa all'Idroscalo. Spalleggiato dai nuovi boys, orfano della bandana e del phisique guizzante dei tempi d'oro, Axl Rose si materializza sullo stage poco prima delle 23, dopo un'ora di sfiancanti operazioni di cambio palco. Ha il baffo rossiccio alla James Hetfield, le treccine e qualche chilo di troppo, ma appare meno imbolsito e cotto di come tanta stampa l'ha dipinto negli ultimi tempi. Va subito sul sicuro, aprendo con una tripletta di classici da "Appetite for destruction" e la cover di "Live and let die", con tanto di mortaretti. Non stecca ma sulle prime la sua voce suona sfibrata, soffocata da un'amplificazione che a fatica governa le troppe chitarre. Poi, grazie al karaoke collettivo e a strategici siparietti strumentali (reiterati assoli chitarristici, compreso uno stucchevole duello di Finck e Fortus sulle note di "Beautiful" della Aguilera), la rockstar 44enne acquista fiato e vigore e, da "Knockin' on heaven's door" in poi, azzarda acuti via via più nitidi e meglio calibrati. Fino a trascinare tutti nel vortice rock'n'roll/metal di "My Michelle" e "Nightrain", con Sebastian Bach degli Skid Row ospite a sorpresa. All'alba dell'una e un quarto, dopo due ore e mezza di autocelebrazioni, fuochi d'artificio, smargiassate da rock'n'roll circus e un paio di brani inediti che poco aggiungono alla storia dei Guns, il pubblico comincia a sfollare. Sfila pacifico, scarpinando goffo su un tappeto di polvere, bottiglie, lattine e volantini. Un'immensa processione di giovanissimi in maglietta nera, bermuda cascanti e il volto appagato. Guadagnano la strada che porta all'impervio parcheggio esterno, dietro l'infinita teoria di merchandiser e porchettari. Sul palco, sotto un'hollywoodiana pioggia di coriandoli, si consumano le ultime note di "Paradise City": i Guns N'Roses originali in mano all'improbabile nuova ipotesi della band di "Sweet child o' mine".

Luca de lino

sabato, luglio 22, 2006

BIOGRAPHY : THE CRANBERRIES


Oggi raccontiamo la storia di uno dei gruppi più validi della scena irlandese degli ultimi anni. Partiti in sordina, si sono presto affermati a grande pubblico con tenacia e canzoni soavi.
Dopo lo scioglimento dell'anno scorso, i fan nel nostro paese sono ancora tantissimi e lo dimostra il sito cranberriesitalia, dal quale è tratta questa bella bio...

Hai un minuto? Questa semplice domanda fornisce lo spunto per Wake Up And Smell The Coffee, il sublime debutto dei Cranberries per la MCA Records dopo due anni di silenzio. Negli ultimi dieci anni la band irlandese ha venduto milioni di album e conquistato fan in tutto il mondo grazie agli arrangiamenti asciutti e incisivi, a un infallibile istinto melodico, a canzoni introspettive e, soprattutto, alla voce cristallina di Dolores O'Riordan. Nell'anno in cui festeggiano il loro decimo anniversario i Cranberries sono ormai una realtà più che consolidata, e con il nuovo album esprimono il franco, melodioso desiderio di cogliere l'attimo, gustando tutto il tempo ogni prezioso attimo della vita.

Per certi versi Wake Up And Smell The Coffee è un ritorno a casa. L'album è stato prodotto a Dublino da Stephen Street (The Smiths, Morrissey, Blur), che produsse i primi due album della band. Dolores confida: "Stephen contribuisce un senso di stabilità a questa band. Nei primi tempi in cui lavoravamo insieme era addirittura paterno nei nostri confronti; mi parlava come se fossi una delle sue figlie". "Oggi c'è maggiore reciprocità nel nostro rapporto", aggiunge il batterista Fergal Lawler. "È stato fantastico tornare a lavorare con lui. Stephen ci capisce davvero e riesce a tirare fuori il meglio da ciascuno di noi." In effetti il nuovo album irradia una grande serenità, che riflette quella che i membri della band stanno vivendo sia professionalmente, sia nella vita privata. "Non siamo mai stati tanto tranquilli", conferma Dolores. "Ormai non dobbiamo più dimostrare nulla a nessuno, siamo davvero rilassati e abbiamo potuto divertirci un mondo in studio, lasciandoci trasportare dalla corrente dell'ispirazione e della musica."

Canzoni come la pacata "Never Grow Old" e il primo singolo "Analyse" rappresentano bene l'eterna lotta tra l'intelletto e il cuore, sottolineando l'importanza delle gioie più semplici della vita. "C'è stato un momento nell'ultimo anno in cui ho finalmente rivisto la bellezza a cui ero rimasta cieca per tanto tempo", racconta Dolores. "Quello che dicono queste canzoni è 'non ti stressare pensando a domani, alla settimana prossima, all'anno che verrà: guarda da quanta bellezza siamo circondati'." "Pretty Eyes", una canzone che è quasi un haiku, ha un marcato e accattivante "feel" anni '60, mentre "Time is Ticking Out" è la prova che i Cranberries serbano ancora appieno la turbolenta furia politica degli album passati. La languida "Dying Inside", che descrive la progressiva corruzione di un'anima, contrasta in modo stridente con canzoni sfrontatamente d'amore come "The Concept" e "I Really Hope". Il lento in tre quarti "Carry On" e "Do You Know" celebrano entrambe la forza vitale che c'è in noi, mentre la roccheggiante "Wake Up And Smell The Coffee", brano che dà il titolo all'album, getta nuova luce su un vecchio detto. L'album si chiude con l'intima e struggente "Chocolate Brown", registrata dal vivo e con un solo microfono. "Alcune delle canzoni dell'album si discostano fortemente da tutto ciò che abbiamo fatto in passato", commenta Mike. "È bello fare cose diverse, benché non sia necessariamente questa la direzione che vogliamo seguire. È qualcosa che accade in modo naturale."

Questo tipo di approccio organico alla musica è una caratteristica che contraddistingue i Cranberries fin dalla loro formazione nella città natale di Limerick, in Irlanda. Gli anni '80 vedono emergere una nutrita schiera di stelle irlandesi, tra cui gli U2, i Clannad, Enya, i Hot House Flowers e Sinead O'Connor. Nel 1989 i fratelli Hogan si uniscono a Fergal Lawler e al cantante Niall Quinn per emulare i loro eroi e conterranei. Nati con il nome The Cranberry Saw Us, la riottosa band irlandese trova finalmente la propria dimensione quando Dolores prende il posto di Quinn dopo una prima serie di concerti dal vivo. I primi demo attirano l'attenzione di Chris Blackwell della Island Records e del noto produttore Denny Cordell (Leon Russell, Tom Petty), che accompagneranno la band alla firma del primo importante contratto con una major discografica.

Nel 1992 i Cranberries pubblicano l'album di debutto Everybody Else Is Doing It, So Why Can't We? destinato a conquistare numerosi dischi di platino. Nel 1993 il singolo "Linger" entra nella Top 10 americana, e l'album vende oltre un milione di copie in Nord America. Nel Regno Unito viene ristampato e debutta al numero uno della classica britannica (dopo aver faticato a raggiungere il 75° posto alla prima uscita). Il secondo album, No Need To Argue (1994), vende 12 milioni di copie sull'onda del clamoroso successo del singolo "Zombie"; il terzo lavoro, To The Faithful Departed, esce nel 1996 ed è prodotto da Bruce Fairbairn (Aerosmith, Bon Jovi, AC/DC), assicurando alla band ulteriori riconoscimenti in forma di dischi d'oro e di platino. Ma quello che più affascina i fan e i critici musicali è lo stile privo di fronzoli dei Cranberries. "Abbiamo riconosciuto presto la validità della massima less is more," dice Noel. "Se riempi troppo un vuoto, la musica non ha più spazio per respirare; questo è vero soprattutto nel nostro caso, vista la particolarità della voce di Dolores."

I Cranberries producono in proprio il loro quarto album, Bury The Hatchet, che vede la luce nel 1999 e raggiunge la vetta delle classifiche di 17 paesi, creando i presupposti per quella che sarà la loro tournée più lunga e grandiosa (110 concerti in cinque continenti, alla presenza di oltre un milione di fan). Alla conclusione del tour la band si concede un meritato periodo di riposo, dopodiché si ritrova per comporre e registrare un nuovo album. Le prime session per Wake Up And Smell The Coffee hanno luogo nell'estate del 2000 presso i Windmill Lane Studios di Dublino, prima della nascita della seconda figlia di Dolores, Molly. Due mesi dopo il lieto evento, nel marzo 2001, anche Noel diventa papà per la seconda volta con la nascita di Sophie. "Quando hai dei figli la smetti di preoccuparti delle stupidate", osserva Fergal. "E nel nostro caso ci hanno resi più uniti come band. Continuiamo a farci domande del tipo: 'Come va con i primi dentini?'"

Ben presto la band metterà da parte succhiotti e stimola gengive e partirà per una lunga tournée mondiale. I Cranberries sono sempre stati una delle band che lavora più sodo e che si dà più generosamente dal vivo, e nonostante gli impegni familiari tutti i componenti sono ansiosi di tornare "on the road". "L'ultimo tour ci è davvero piaciuto molto", confida Mike. "Suonare ogni sera e riuscire a divertirci come avevamo sempre sognato di fare è stato fantastico. I fan riescono a cogliere le vibrazioni che emettiamo ovunque ci troviamo nel mondo, anche senza capire necessariamente ogni parola dei nostri testi."

Per quanto possano essere degli inguaribili giramondo, per tutti e quattro il posto più bello del mondo rimane la loro città di origine. Dice Fergal: "In molti ci dicono che dovremmo trasferirci a Dublino o Londra. Ma l'idea non ci ha mai attirato. Limerick è la nostra città, il posto in cui viviamo, quella in cui risiedono le nostre famiglie e i nostri amici. E poi, se un irlandese rimane lontano dall'Irlanda troppo a lungo, il cuore gli si appesantisce. Deve tornare a casa per riossigenarsi, in tutti i sensi, anche solo per una settimana o due alla volta. È un posto magico."

Alcuni potrebbero affermare che una parte di quella magia è merito degli stessi Cranberries. Oggi, dopo dieci anni di carriera e 33 milioni di album venduti, la band è in forma smagliante come non mai, sia dal punto di vista musicale che personale. "Siamo davvero felici come band e come individui," dichiara Fergal, "e crediamo che questo album lo rifletta appieno." Con Wake Up And Smell The Coffee, i Cranberries hanno stabilito un nuovo termine di paragone artistico. E buon caffè a tutti.

venerdì, luglio 21, 2006

FLIPPAUT 2006


Oggi e domani riaprono le porte del FLIPPAUT FESTIVAL. Gli organizzatori quest'anno si sono superati, puntando decisamente sulla musica da ballare, con un cast di altissimo profilo che rompe i confini fra la più classica forma di concerto dal vivo e l’esibizione in formato djset.
Ecco il tabellone di stasera, inizio della 2 giorni che si svolgerà all'Idroscalo di Milano...

Fatboy Slim ore 23:05
Paul Weller ore 20:30
George Clinton ore 17:10
Novastar ore 16:10
Scarling ore 15:25
Raffaella Destefano ore 15:00
Boosta ore 00:50
Dj Cam ore 19:20
X-Press 2 ore 22:05

Dj Pandaj (dj resident)

Domani sera invece, sarà la volta dei Massive Attack fare da Headliners, preceduti, durante il giorno, da GOTAN PROJECT, PARLIAMENT/FUNKADELIC, HAPPY MONDAYS DJSET, NEW ORDER DJ SET e altri...
BUON DIVERTIMENTO!

giovedì, luglio 20, 2006

RECENSIONE DELLA SETTIMANA


TITOLO : Mi sa che stanotte
AUTORE : Assalti frontali
GENERE : Hip Hop
PROVENIENZA : Roma (ITA)
ANNO : 2006

Il rap è linguaggio, l’arma il microfono, i proiettili le parole. Davanti al nuovo disco, il sesto di una carriera lunga 16 anni, si pensa a questo e la copertina in un certo senso aiuta: è una citazione della famosa foto di Malcom X con un fucile in mano e la scritta "con tutti i mezzi necessari", quelli previsti dalla Costituzione. Nel nostro caso, ci ritroviamo l’Assalto Frontale con un microfono al posto del fucile, ma con lo stesso sguardo scrutatore sulla realtà.
In fondo, realtà e società sono da sempre i temi del rap, con la politica come variabile impazzita, perché si è militanti sempre, prima, ora, dopo. Gli Assalti Frontali sono stati anche una notizia dei quotidiani nazionali qualche tempo fa, oggetto di inchiesta con l’accusa di terrorismo, intercettati e pedinati perché nei focosi anni 80 sono stati a contatto col terrorista br Mario Galesi.

Assalti Frontali e le nuove brigate rosse: questo il titolo e questa la storia raccontata in "Che stress i Ros", cronistoria dell’anno vissuto pericolosamente dalla crew romana. Per la cronaca, va detto che il gruppo è uscito pulito dalle aule di tribunale. L’esperienza ha colpito le sensibilità di Militant A e soci, tanto da stimolare un percorso a ritroso, un viaggio di riflessione tra passato e presente, partendo dall’origine, dove tutto ebbe inizio. Si rivivono gli anni dei centri sociali nel doposcuola, le gite al mare con la propria donna, gli squat occupati e i primi cortei politici ("Ribelli a vita"). A 18 anni, a emancipazione iniziata, ognuno cerca di darsi una propria ragione di vita: i valori della famiglia e l’educazione ricevuta sono ridiscussi all’interno del nuovo ambiente che ci si costruisce intorno, accettando e assimilando nuove esperienze, nuove traiettorie da cui partire. Gli Assalti Frontali sono partiti e rimangono "Dall’altra parte" (il brano prende la pallacanestro come paradigma di vita), dalla parte di chi è sempre stato contro un sistema (non importa quale), di chi ha difeso diritti e soprusi, annebbiati (visti gli anni) o stimolati da un ideale di uguaglianza.

Una vita scapigliata, sempre al limite della legalità, porta sempre con sé la paranoica idea di essere al capolinea, di essere giunti alla fine di una vita illegale e all’inizio di una nuova vita dietro le sbarre ("Mi sa che stanotte"). A volte, però, il destino è strano: non sono le occupazioni illegali o le voci sempre di protesta, ma un’accusa ben più infamante a turbare gli animi del gruppo: gli Assalti Frontali, come detto, sono rientrati in una lista di nomi di gente insospettabile, colpevole di fiancheggiare organizzazioni terroristiche. Lasciamo a Militant A la propria versione dei fatti in "Che stress i Ros", noi aggiungiamo solo che si tratta di un pezzo perfettamente old school con bassi a palla.
Al proposito, l’anno scorso avevamo registrato oltreoceano un riflusso della vecchia scuola hip-hop (Edan su tutti con il suo "Beauty And The Beat"), e i massimi esponenti del rap italiano non si sono lasciati sfuggire l’occasione di ripescare da un’ideale fonoteca certi suoni dannatamente anni 80, come le schitarrate heavy che fanno tanto Run DMC ("I miei amici sono strani").

La scheggia impazzita è "Gaia per davvero", una vera e propria campfire song fuori contesto e fuori tutto; una dedica per un’amica scomparsa — e così la prendiamo -, una ballatona acustica per chitarra e voce, malinconica il giusto, maliziosa il giusto.
Chiudiamo con "Si può fare così", domanda retorica sullo stato della musica, e sul modo alternativo di farla, e lo facciamo con le parole di Militant A:

"fatti pure il mio cd masterizzato — solo un pezzo? —
ma tutto il disco in qualsiasi formato
in mp3 o fai un po’ te
se c’hai l’originale è pure meglio per me
il mio diritto d’autore è una torta di more
non me lo difende mica quella brutta faccia d’ispettore,
capirai il copyright
noi: Get up, stand up for i nostri right"

Partiti per Bergamo, dove hanno creato le basi per i brani di "Mi sa che stanotte" e spiaggiati poi, per sei mesi, negli studi torinesi Casasonica dei Subsonica (che colorano del loro ormai prezzemolino- sound i brani del disco), gli Assalti Frontali regalano l’album più poetico e politico della loro carriera.

Pier Eugenio Torri

mercoledì, luglio 19, 2006

THE ORIGINAL SOUNDTRACK


Una delle opere cinemato grafiche più grandi di tutti i tempi, un affresco folle e psichedelico di violenza, sesso e pura intelligenza. Tutto raccontato affrontando tematiche vitali per l'uomo, quali la libertà, la giustizia e il ruolo della pena per i crimini umani. Il grande Maestro ci guida attraverso tutto questo con capacità straordinarie.

Arancia Meccanica non necessita di presentazioni, è uno dei film più famosi di tutti i tempi che assieme a 2001:Odissea nello spazio ha consacrato al mondo Stanley Kubrick. Il film, come tutti quelli del regista, è tratto da un'opera letteraria, in questo caso scritta da Anthony Burgess e intitolata "A Clockwork orange": interessante come Kubrick tragga le sue idee e i suoi spunti quasi esclusivamente da libri o racconti.
Il film in sé è un affresco del mondo visto attraverso gli occhi di Alex, un ragazzo violento, altamente problematico che ci presenta un mondo distorto, così come distorto e psichedelico è il modo in cui egli realmente vive: ad esempio si può vedere il locale che egli frequenta (ed in cui beve del "sano" latte più); sua madre, una cara cinquantenne con i capelli viola e tanti altri aspetti del film (interessante il parallelo con Natural born killers di Stone). L'opera non si limita tuttavia a questo ma presenta anche problematiche molto profonde quali la tutela della libertà, la funzione della pena; in particolare quest'ultimo aspetto copre l'intera seconda parte del film, presentando una traviata interpretazione del concetto della pena, ossia una correzione "violenta" dell'individuo, una sorta di riprogrammazione, che lo rende un'altra persona, debole e spaesata, e inoltre sancisce doppiamente la sua inefficacia non facendo altro che spostare il soggetto dalla parte di colui che fa violenza a colui che la subisce fino, poi, a ritornare esattamente come prima.

Come sempre accade, quando un film è culto, la pellicola è accompagnata da una favolosa COLONNA SONORA: un mix geniale di atmosfere e opere che esaltano la follia dei protagonisti e di chi stava dietro la macchina da presa. Ludwigh Van Beethoven è la colonna portante delle musiche che, tra Rossini e riarrangiamenti elettronici, sono per la maggior parte brani di musica classica.

Famosissima la scena della stupro al ritmo di "Singin' in the rain" e quella della gazza ladra che giunge soave alle orecchie di Alex, portandolo ad affermare con violenza la sua netta superiorità sugli altri drughi...

martedì, luglio 18, 2006

THE WHO di nuovo on the road


l nuovo tour mondiale degli Who, rimasti in mano solo a Townshend e Daltrey, è stato presentato come il primo grande giro del mondo da 20 anni a questa parte; suoneranno in tutti i continenti a partire dal 12 Settembre quando arriveranno a Philadelphia e dopo un mese si sposteranno in Sud Africa, Giappone ed Europa.
Il tour è in parte in supporto al nuovo EP “Wire & Glass”, una mini-opera rock uscita il 10 Luglio che segna un ritorno al mercato dei ‘singoli’ dopo 24 anni; il mini LP di sei brani mostra l’amore di Pete Townshend per la tecnologia (nella cartella stampa è sottolineato anche quello per internet) e per il suo racconto “The Boy Who Heard Music” che sviluppa i temi trattati all’interno di “Wire & Glass”.

“Per la prima volta in 25 anni torniamo negli Stati Uniti con uno spettacolo meraviglioso, suoneremo per intero il nostro vecchio catalogo e le nuove canzoni.
Abbiamo dei video bellissimi, una nuova mini-opera e abbiamo intenzione di fare degli spettacoli speciali a tema” ha dichiarato Pete, seguito da Roger: “Siamo molto entusiasti di tornare in America con della nuova musica”.

La formazione vede la conferma di Pino Palladino al basso, Zack Starkey alla batteria e Simon Townshend alla chitarra e cori.

Questa sera gli Who si esibiranno sul palco di Piazza Grande a Locarno in Svizzera all’interno della manifestazione Moon And Stars 2006; il concerto verrà trasmesso da TheWhoLive.TV per le successive 24 ore; è un servizio pay per view e costa 10 Euro che andranno alla Double O, un'organizzazione benefica voluta da Townshend.

lunedì, luglio 17, 2006

QUATTROASSI A RIFO!


A pochi giorni dalla serata di Settimo Milanese, torna il sound dei QUATTROASSI.
Il dj set milanese si esibirà stasera in occasione della festa di chiusura di RIFO! in compagnia dei BRAVI RAGAZZI.
La musica inizierà intorno alle 21 e si ballerà fino a notte fonda.
QUATTROASSI STYLE... ONE STEP BEYOND!

venerdì, luglio 14, 2006

BYE BYE SYD AND THANX FOR ALL...


Con qualche giorno di ritardo diamo il giusto tributo a SYD BARRETT, fondatore di una delle più grandi band di sempre e personaggio ispiratore per moltissimi giovani...
Qui di seguito, l'articolo del corriere che ne annuncia la morte.

CAMBRIDGE (Inghilterra) - Il fondatore dei Pink Floyd Syd Barrett, alla nascita Roger, è morto a 60 anni. Lo ha reso noto un portavoce anonimo dalla sua ex band, poi è giunta la conferma del fratello, che ha parlato di una morte serena a casa e ha annunciato un funerale in forma privata. Le cause del decesso sono legate secondo il sito della Bbc (manca ancora un comunicato ufficiale) al diabete, secondo altre fonti a un tumore. Barrett viveva in solitudine e isolamento da anni in una piccola casa della nativa Cambridge L'artista è stato uno dei fondatori, il primo cantante, chitarrista di punta, autore di pezzi e in definitva l'anima musicale nei primi anni della band. Dopo il primo album, The Piper at the Gates of Dawn (1967) ( ■ Ascolta), lasciò il gruppo a causa anche dell'uso crescente di droghe e all'instabilità di comportamento, che lo classificavano come sofferente di malattie mentali vere e proprie. Negli anni '80 è stato curato nella clinica di Fulbourne, poi ha speso due anni in una struttura di accoglienza, prima di tornare nella natia Cambridge vicino a una sorella. Le ipotesi che circolano sono la schizofrenia e una forma di autismo.

giovedì, luglio 13, 2006

DISCHI CHE HANNO FATTO LA STORIA


Solito appuntamento con gli album che hanno scritto la storia della musica.
Oggi ci spostiamo in California, a Los Angeles precisamente, dove nel 1989 è uscito un disco capace di creare un mito...

L’annosa questione è: quante delle doti intellettuali necessarie alla costruzione di un album di buona musica, ( genio, inventiva, creatività, ironia, passione, consapevolezza, senso estetico, attitudine…) potrebbero tornare utili nella creazione di un album di puro rock’n’roll, magari estremo, ma lontano da qualsiasi fronzolo o orpello di sorta? La risposta è: poche, forse un paio. In tutte le vicissitudini della propria esistenza, le sfumature più estremistiche del rock (punk, heavy metal, hardcore, hardrock) hanno collezionato una sfilza impressionante di facce di merda, e pochissime fra queste si sono poi rivelate all’altezza di un discorso artistico degno di tale nome: perciò non sforzatevi di scavare troppo al di sotto del luogo comune che vuole Axl, Slash, Izzy e compagnia bella degli stronzi da competizione imbottiti di anfetamina fino al midollo. Loro erano degli stronzi da competizione, e per quanto riguarda l’anfetamina diciamo che cominciarono a comprarne all’ingrosso non appena questo disco gli mise qualche soldo nelle tasche. Nonostante questo, anzi, proprio per questo, la potenza insita in “Appetite for Destruction” è qualcosa di inestimabilmente puro e grezzo che puzza esattamente come tutto quel marciume di cui la loro Hellhouse a Los Angeles era piena zeppa: cinque fatti persi si sentivano tanto cazzuti da poter registrare il miglior disco del mondo, ma non ne avevano i mezzi. Così registrarono alla bell’e meglio un semplice rock album e ne venne fuori un capolavoro di cafoneria sonora da far perdere la testa anche al più sfegatato dei fan di Iggy, con tutti i luoghi comuni che piacciono al punk-rocker medio: dalla canzone dedicata allo speed al pezzo ispirato dalla vita notturna fino ad arrivare agli svariati inni al sesso e alle puttane di fiducia, quasi una per ogni componente della band, quasi una per ogni pretestuoso virtuosismo di Slash. Certo quando avessero avuto finalmente i mezzi per incidere un disco che fosse davvero un capolavoro della musica, allora arrivarono i disastri, con quel pappone a due strati di “Use Your Illusion” ambizioso e lambiccato, noioso fino alla morte destinato, grazie a tutti gli dei del rock, ad essere spazzato via dall’ondata grunge che arrivava da Seattle e che mise in ginocchio i Guns fino a trasformarli in quelle spassose macchiette che vedete oggi in TV. Morale per i nipotini: se vuoi essere un artista la tua idiozia ti si ritorcerà contro, ma se sogni di diventare un rocker, tienitela stretta.

mercoledì, luglio 12, 2006

L'ALTRA FESTA! Live music show...


Inizia oggi a Cornaredo (MI) "L'ALTRA FESTA!" una rassegna musicale che durerà fino a domenica e ospiterà gruppi più o meno in vista della scena musicale milanese e non.
Ci saranno, tra gli altri, alcuni gruppi noti come le Jains della vj di Mtv Kris, i Punto G (dark pop di alta qualità) e i Cool Sound Machine, formazione reggae, vista di recente in quel di Liberazione.
La prima serata, stasera, inizierà con l'emo rock dei Daylight Seventimes, gruppo milanese reduce da una lunga tourneè in Giappone nell'estate scorsa.
Nell'area della festa saranno allestiti bar e ristoranti; l'ingresso all'area concerti è gratuito.
Ecco il calendario compleato :

MER 12:
DOUBLE TROUBLE
DAYLIGHT
PUNTO G

GIO 13:
LATO
ATLETICO DEFINA

VEN 14:
MESAS
THE JEANS

SAB 15:
ROSEMARY’S POISON CHOCOLATE – (BACKLINE)
DIGITAL PORPUREA E VEBA - (BACKLINE)
PRIMA LINEA - (BACKLINE)

COOL SOUND MACHINE

DOM 16:
STREUZA

lunedì, luglio 10, 2006

CAMPIONI DEL MONDO!


Doveroso aggiornamento di omaggio alla nazionale che ha vinto i mondiali.
Lo facciamo riproponendo la storica copertina dell'inno "Un'estate italiana", meglio conosciuto come NOTTI MAGICHE, cantato nel lontano 1990 dal duo gianna nannini ed edoardo bennato e, a 16 anni di distanza, tra un PO PO PO PO PO PO PO e un inno di mameli, torniamo a gridare...
...NOTTI MAGICHE INSEGUENDO UN GOL!

venerdì, luglio 07, 2006

HARDCORE NIGHT IN MILANO


Domani sera l'hardcore torna sul palco di Rifo!
La serata vedrà alternarsi sul palco ben tre gruppi della scena italiana : apriranno il concerto gli S.D.E., band milanese diretta e potente, recentemente apparsa sulla compilation MILANO PUNK VOL.2.
Dopo di loro sarà la volta degli ARSENICO di Roma, che scalderanno la folla in attesa dei DECREW, uno dei migliori gruppi HC della scena italiana, che ci delizierà con il suo suono violento e ben suonato.
Il gig si terrà allo spazio giovani e l'ingresso, naturalmente è gratis...
HARDCORE IS MORE THAN MUSIC!

giovedì, luglio 06, 2006

7 luglio concerto alla memoria...


Un concerto nel 46° anniversario della repressione, per non dimenticare i
morti di reggio emilia 7 luglio 1960 e per ricordare a molti che ancora oggi
non è cambiato nulla...gli avvenimenti odierni lo dimostrano"
A Praticello di Gattatico - Via Valle, 1 (RE)
Presso il Centro Giovani "La Palazzina"

Con:

ATARASSIA GROP

Mr. TOMATO

GAVROCHE

Inizio concerto ore 21:00

Sara' Allestito banchetto per ristorazione con gnocco fritto e

salume...birra a volonta'.


Il 7 luglio 1960, nel corso di una manifestazione sindacale, cinque operai
reggiani, tutti iscritti al PCI, sono uccisi dalle forze dell'ordine. I loro
nomi, immortalati dalla celebre canzone di Fausto Amodei "Per i morti di
Reggio Emilia": Lauro Ferioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino
Serri, Afro Tondelli. I morti di Reggio Emilia sono l'apice - non la
conclusione - di due settimane di scontri con la polizia, alla quale il capo
del governo Tambroni ha dato libertà di aprire il fuoco in "situazioni di
emergenza": alla fine si conteranno undici morti e centinaia di feriti.
Questi morti costringeranno alle dimissioni il governo Tambroni, monocolore
democristiano con il determinante appoggio esterno dei fascisti del M.S.I. e
dei monarchici, e apriranno la strada ai futuri governi di centro-sinistra.
Ma soprattutto, contrassegneranno in modo repentino un radicale mutamento di
clima politico nel paese: l'avvento della generazione dei "ragazzi con le
magliette a righe". Sino a quel momento i giovani erano considerati come
spoliticizzati, distanti dalla generazione dei partigiani e orientati al
mito delle "tre M" (macchina, moglie, mestiere): la giovane età di tre delle
cinque vittime testimonia invece la presa di coscienza, in forme ancor più
radicali della generazione che aveva resistito negli anni Cinquanta, di un
nuovo proletariato giovanile. Di questo mutamento di clima - dalla disperata
tristezza per il revanchismo fascista alla rinascita della speranza dopo i
fatti di luglio - sono testimonianza la poesia di Pasolini "La croce
uncinata" (aprile 1960) e l'articolo "Le radici del luglio" (Vie nuove, 29
ottobre 1960).

mercoledì, luglio 05, 2006

RECENSIONE DELLA SETTIMANA


TITOLO : Kill
AUTORI: Cannibal Corpse
ANNO : 2006
GENERE : Metal
PROVENIENZA : New York (USA)

Rieccoli, i Cannibal Corpse. Diciassette anni di carriera e ancora tanta birra in corpo, anche se i bei tempi sono ormai lontani. Devastanti come sempre, senza compromessi, brutali, ma leggermente più musicali del solito (prendete con le pinze queste mie parole). Disco onesto, suonato come al solito in maniera egregia, “Kill” è inevitabilmente lontano dalle vette di lavori epocali per gli sviluppi del metal più estremo quali “Butchered At Birth” (1991) e “Tomb Of The Mutilated” (1992); lontano da quelle muraglie sonore spaventosamente deflagranti e dannatamente contagiose nella loro frenesia iconoclasta.

I brani si susseguono in rapida successione, sferragliando con impeto maniacale, in un assedio bello e buono che “The Time To Kill Is Now” inaugura con un urlo e un ritmo-mitragliatrice che azzanna la musica come un mastino inferocito la sua preda. “Make Them Suffer” è rotta da scariche adrenaliniche di batteria e le dissonanze si confondono e si disperdono, mentre la voce di George "Corpsegrinder" Fisher duella con la musica, nella solita, esaltante carneficina. In “Murder Worship” c’è spazio, invece, per un feroce headbanging , in mezzo alle terrificanti staffilate d’acciaio della chitarra.

E’ proprio vero: la brutalità è ancora più sinistra quando la tecnica fa la sua parte senza menarsela troppo con seghette mentali (“Necrosadistic Warning”). Così, lavorata con perizia, tra allunghi e tracciati più “meditativi”, “Five Nails Through The Neck” accumula una potenza dal volto quasi “meccanico”, prima di mutare in rullo compressore con la successiva “Purification By Fire”. E’ uno sbattere rovinoso, ossessivo, contro un muro di elettrica disperazione, cui manca giusto qualche cosina per ridestare antichi splendori. Ma bisogna pur accontentarsi, perché chiedere di più sarebbe davvero inopportuno. E’ un lento declino, un rarefarsi dell’ispirazione che non possiamo certo biasimare. O, almeno, non più di tanto.

Il groove fragoroso di “Death Walking Terror”, il martellare cinico di “Barbaric Bludgeonings” o, ancora, quello più ragionato di “The Discipline Of Revenge” dimostrano, tra le altre cose, un approccio più thrashy , squisitamente mixato con sentori death provenienti direttamente dal passato più remoto. E’, insomma, un disco che mantiene ancora alto il vessillo della band di Buffalo, ricercando, forse, in quel suo essere leggermente franto e in quei continui mutamenti di dinamica un avvicinamento a certe soluzioni più moderne. Ci riesce, qualche volta, con buonissimi risultati, ma, forse, con una staticità di fondo che fa sentire, ancora, tutto il suo peso enorme. Certo, questo è un discorso che potrebbe essere applicato alla quasi totalità della loro produzione, eppure, se andate a riascoltarvi i due dischi di cui sopra, scoprirete che le cose, una volta, funzionavano davvero a meraviglia ed anche per gli stomaci più forti c'era da stare costantemente all'erta.

Francesco Nunziata -Ondarock-

martedì, luglio 04, 2006

THE ORIGINAL SOUNDTRACK


“Kill Bill” è stato certamente il fenomeno cinematografico del 2003, il grande ritorno di Quentin Tarantino, regista di intransigenti pellicole quali “Le Iene”, “Pulp Fiction” e “Jackie Brown”. Chi conosce l’opera del regista, sa bene l’importanza della componente musicale nella realizzazione delle sue pellicole; era quindi lecito aspettarsi una colonna sonora di grande livello e così è stato anche questa volta. Un lavoro che alterna i commenti strumentali realizzati da Rza del Wu-Tang Clan (anche lui grande conoscitore del mondo delle arti marziali) ad una selezione di brani che spazia principalmente tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta. Gli esperti noteranno l’intelligente gusto citazionista di Quentin Tarantino, che ha utilizzato nel suo score i temi di numerosi film scritti da grandi compositori quali Luis Bacalov, Bernard Herrmann, Isaac Hayes ed Al Hirt. Una colonna sonora spettacolare che ha i propri apici in “Bang Bang” di Nancy Sinatra e nella incalzante “Battle Without Onor Or Humanity” di Tomoyasu Hotei, brani fondamentali anche nell’economia della stessa pellicola.

La colonna sonora di questo film incanta davvero, passando con armonia da Ennio Morricone a Bernard Herrmann (Luis Enrique Bacalov), da Isaac Hayes (Run Fay Fun) a Jonathan Kaplan, da "Woo Hoo" dei 5.6.7.8's a Quincy Jones, Santa Esmeralda e Nancy Sinatra, concludendo con uno struggente ed evocativo flamenco a ritmo di lame che tagliano l'aria innevata. Parte del successo di Kill Bill è da accreditarsi ad una straordinaria Uma Thurman, la cui reale gravidanza ha posticipato le riprese: Uma riesce a tradurre perfettamente l'arte di Tarantino sul grande schermo e ad infondere nello spettatore una inscindibile sequela di emozioni tanto diverse quanto forti e dirette, offrendo così una prova memorabile. Film impreziosito da un buon cast, con David Carradine, lo stesso del serial tv "Kung Fu" mai interpretato da Bruce Lee, Lucy Liu, Vivica Fox e Sonny Chiba ritenuto da Tarantino << il più grande attore che abbia mai lavorato nei film di arti marziali >> (dopo Bruce Lee, aggiungiamo noi...) e che per l'occasione rispolvera il ruolo di Hattori Hanzo della serie tv "Shadow Warriors". Saggia la decisione di non doppiare gran parte del film sottotitolando l'audio originale, una manna per i veri amanti del cinema. Non ci resta che ricordarvi l'antico proverbio Klingon su cui si incentra l'essenza di Kill Bill: << La vendetta è un piatto che va gustato freddo... >>

Quentin Tarantino stesso, regista della pellicola, ha asserito che - nonostante lui abbia girato un'unica pellicola - il volume 1 e il volume 2 hanno degli elementi caratterizzanti: infatti, se il secondo volume è più "occidentale", dedicato agli spaghetti-western, a Leone e a tutti i suoi miti ispiratori, il volume 1 appare invece proteso verso l'oriente, con le atmosfere da film di kung-fu, con riferimenti a film con Bruce Lee e capolavori del genere come Cinque dita di violenza. Non a caso, la versione giapponese del film contiene una dedica al regista nipponico Kinji Fukasaku, regista particolarmente ammirato per il suo stile violento e dinamico, da Tarantino.
Il film nacque dalla mente di Tarantino e della Thurman sul set di Pulp Fiction (1994). Il regista e la donna pensarono al film proprio ricordandosi la storiella del pilota che Mia raccontava a Vincent nel locale. Sul set della scena, Tarantino e Uma si accordarono sul da farsi per il film e pensarono che per la prima volta la donna dovesse essere mostrata con il volto imbrattato di sangue: da qui «La sposa imbrattata di sangue».
Dopo Pulp Fiction, però la Thurman e Tarantino divisero le loro strade; Uma continuò la sua carriera, Tarantino si dedicò a Niente di nuovo sotto il sole, un episodio della serie E.R. - Medici in prima linea. In questi anni Tarantino mise da parte il copione di Kill Bill per dedicarsi a un film di guerra (Inglorious Bastards, atteso per il 2008) per poi trarre dal libro The Switch di Elmore Leonard il film Jackie Brown. Dopo tre anni da Jackie Brown, il regista incontrò nuovamente Uma Thurman e pensò di poter riesumare lo script di Kill Bill che entrambi avevano iniziato a realizzare. Tarantino pensò di girare Kill Bill come regalo di compleanno per i 30 anni compiuti da Uma. Dopo l'inattesa gravidanza della donna (il regista non rinunciò comunque a voler girare con lei) iniziarono le riprese del film.

lunedì, luglio 03, 2006

JIM MORRISON : 35th anniversary


OGGI SI CELEBRA IL 35 ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI JIM MORRISON, SENZA DUBBIO UNO DEI PIU' GRANDI PERSONAGGI DELLA STORIA DELLA MUSICA MONDIALE.
DIFFERENT MUSIC DEDICA AL "RE LUCERTOLA" QUESTO LUNGO SPECIALE IN CUI SI RIPERCORRE TUTTA LA SUA VITA...

Jim Douglas Morrison nacque l'8 dicembre 1943 a Melbourne in Florida figlio dell'ammiraglio George Stephen Morrison e di Clara Clark, entrambi in servizio presso la Marina degli Stati Uniti. Quando fu adulto si distaccò dai suoi genitori, severi e conservatori, al punto che in un'intervista del 1967 dichiarò che erano entrambi morti. Qualcuno sostiene che suo padre ebbe un ruolo chiave nell'incidente nel Golfo del Tonchino e forse questa è una delle ragioni del distacco di Jim.
Secondo Morrison, uno dei più importanti eventi della sua vita avvenne nel 1947 durante un viaggio con la famiglia nel New Mexico. Egli descriveva così questo fatto: “La prima volta in cui ho scoperto la morte... io, mia madre, mio padre, mia nonna e mio nonno stavamo viaggiando in auto attraverso il deserto all'alba. Un camion carico di Indiani aveva sbattuto contro un'altra auto o qualcos'altro: c'erano Indiani insanguinati che stavano morendo sparsi per tutta la strada. Ero solo un bambino e per questo dovetti restare in macchina mentre mio padre e mio nonno scesero a guardare. Non vidi niente, tutto ciò che vidi fu una divertente vernice rossa e della gente distesa attorno, ma sapevo cosa stava succedendo, perché riuscivo a sentire i fremiti delle persone intorno a me, e all'improvviso capii che loro non sapevano più di me cosa stava accadendo. Quella fu la prima volta che ebbi paura... ed ebbi la sensazione, in quel momento, che le anime di quegli Indiani morti – forse una o due di esse – stavano correndomi intorno, ed entravano nella mia anima, e io ero come una spugna, pronto a sedermi là e assorbirle”.
Morrison si diplomò al liceo di Alexandria (Virginia); seguì poi dei corsi al S. Petersburg Junior College e alla Florida State University. Nel 1964 lasciò la Florida e andò in California.

Nel 1965, dopo essersi laureato alla University of California di Los Angeles, condusse una vita in stile bohémienne nelle vicinanze di Venice Beach. Un incontro casuale con il compagno di università Ray Manzarek portò alla formazione dei Doors, in cui confluirono poi anche il chitarrista Robby Krieger e il batterista John Densmore. Il nome The Doors (Le Porte) deriva da un libro di Aldous Huxley, Le porte della percezione, a sua volta preso da un verso di una poesia di William Blake. Una porta è un passaggio tra due mondi, non si sa cosa si incontrerà nell'altro mondo finché non si oltrepassa quel passaggio, come diceva lo stesso Morrison: “Ci sono cose conosciute e cose sconosciute, e in mezzo ci sono le porte”.
I Doors divennero uno dei più popolari gruppi rock di sempre. La loro miscela di blues, jazz e rock era qualcosa che non si era mai sentito prima d'allora. Il suono era dominato dalla profonda, sonora voce baritonale di Jim e dall'inimitabile tastiera di Ray Manzarek.
Tra i vari soprannomi di Jim Morrison si possono ricordare Mr. Mojo Risin, un anagramma del suo nome, e il Re Lucertola, da un verso del suo poema epico Celebrazione della lucertola, parte del quale appare nell'album del 1968 Waiting for the Sun.
La vita di Morrison può essere presentata con una frase di William Blake: “La strada dell'eccesso conduce al palazzo della saggezza”. Già prima della formazione dei Doors, faceva uso di droghe allucinogene, beveva alcol in quantità industriali e si abbandonava in orge, talvolta presentandosi alle registrazioni ubriaco (lo si sente singhiozzare nella canzone Five to One).
Nel 1970 Morrison partecipò ad una cerimonia in stile Wicca, simile ad un matrimonio, con la giornalista/scrittrice Patricia Kennealy, ma egli non considerò la cerimonia molto seriamente, così come racconta in un'intervista nel libro Rock Wives della Kennealy. La relazione infatti non durò molto. La relazione più seria e duratura fu quella con Pamela Courson (22 dicembre 1946- 25 Aprile 1974), da Jim Morrison definita "compagna cosmica", che incontrò per la prima volta a Los Angeles nel 1966 e che morì per overdose tre anni dopo il compagno.
Negli anni di ascesa al successo dei Doors con l’album omonimo e il single di maggior successo Light My Fire, lo stile di vita “sesso, droga e rock and roll” di Jim era sempre più intenso; egli divenne così un accanito alcolista e la band ne risentì.
Nel 1969 durante un concerto a Miami, sotto l'effetto di stupefacenti, fu accusato di atti osceni, avendo mostrato i genitali al pubblico e simulato una fellatio a Krieger mentre suonava: per questo fu poi condannato dopo il processo.

Era attratto dalla cultura beat dei romanzi di Jack Kerouac e delle poesie di Allen Ginsberg, di cui si notano evidenti influssi nelle sue liriche, e dal teatro greco (Dioniso e le Baccanti). Si ritrova comunque nella poetica di Jim Morrison una forte influenza della poesia simbolista francese (Arthur Rimbaud e la sua filosofia sullo sregolamento dei sensi per scoprire l'ignoto).
Già nei primi anni dell'adolescenza si poteva intravedere nella personalità di Jim Morrison la sua vocazione di poeta-ribelle. Incominciò proprio in questi anni a tenere un diario dove scriveva le sue prime poesie che sarebbero comparse in futuro nelle sue canzoni.
Circondato da un'aura che lo ha spesso fatto accostare ai poeti maledetti e a quelli della beat generation, Morrison è stato comunque uno dei maggiori ispiratori della (sotto)cultura - almeno a parere di molti - legata all'uso di sostanze stupefacenti, di cui teorizzò il consumo, confortato dal pensiero di Nietzsche, Rimbaud, Blake, Baudelaire, ecc...

Morrison si trasferì con Pamela a Parigi nel marzo 1971 con l'intenzione di dedicarsi solo alla poesia e di smettere di bere. Morì nella sua casa parigina il 3 luglio 1971, nella vasca da bagno. A 27 anni Jim trova così la tanto decantata morte (“The End, my only friend the End”). Dopo la morte di Morrison, i giornalisti pubblicarono degli articoli nei quali si parlava della "maledizione della j". Dopo la morte di Janis Joplin, Brian Jones, Jimi Hendrix e ora anche Jim Morrison (tutti a 27 anni) si pensava avessero i giorni contati anche John Lennon e Mick Jagger più giovani di qualche anno.

Molti fans e biografi hanno sostenuto che la causa della sua morte fu un'overdose, ma i referti medici ufficiali parlano di attacco cardiaco. Jim è sepolto nel famoso cimitero di Pere Lachaise nella capitale francese; oggi la tomba è circondata da un recinto e la lapide originaria è stata recentemente sostituita a causa dei numerosi graffiti lasciati dai fans, anche sulle tombe circostanti. Tale sostituzione, ad opera dei genitori del cantante, riporta una frase in greco antico (ΚΑΤΑ ΤΟΝ ΔΑΙΜΟΝΑ ΕΑΥΤΟΥ) il cui senso si riferisce alla coerenza con cui egli visse e la cui traduzione potrebbe essere: allineato al suo proprio spirito.

La leggenda di Jim Morrison è stata raccontata nel 1991 da Oliver Stone nel film biografico The Doors, con Val Kilmer nella parte di Jim, splendidamente, oniricamente interpretata. Gli amici più stretti di Jim, tuttavia, ritengono che il film dìa una visione del tutto distorta e parziale della realtà. Lo stesso Ray Manzarek, interpellato da Stone in qualità di consulente, sciolse la collaborazione in seguito al rifiuto di Stone di modificare alcune scene ben poco realistiche e molto spettacolari, e da allora riservò al regista parole aspre.
Molte persone credono che Morrison viva ancora in incognito una vita segreta con Pamela. Le voci su una presunta seconda vita vennero ulteriormente alimentate in seguito alla pubblicazione del libro Vivo! di Jacques Rochard, un grafico francese che sostiene di aver incontrato Morrison a Parigi nel 1980 e al quale Morrison stesso avrebbe confessato di aver inscenato la propria morte per sottrarsi alla pressione della popolarità e dedicarsi alla poesia. Così il mito di Jim, così come quello di altre star “bruciate” come Elvis Presley, James Dean e Marilyn Monroe, vive per sempre.